Ranger

NebbiaIl terreno nevoso iniziava a vedersi a stento sotto la coltre nebbiosa. Il vento ululava sbattendo i rami degli alberi. “Se la nebbia si alza sarà un problema” pensò Alfir. Non poteva dire se qualcuno stesse avanzando verso di loro con tutto quel rumore. Sentiva i piedi intirizziti per il freddo e li mosse per cercare di allontanare la nebbia, ma appena lo faceva altra ne prendeva il posto. Lanciò una breve occhiata a Berdor, immobile col fucile in spalla. Se stava provando le sue stesse sensazioni, queste non trasparivano dal suo volto concentrato.
Riportò lo sguardo in avanti. La cacofonia di suoni stava andando acquietandosi e al di sotto riuscì a sentire un lieve tonfo venire da nord-est che lo fece sobbalzare. “E’ soltanto neve caduta da un albero, idiota!” si disse.
L’urlo di Berdor lo fece sussultare e girare al contempo. Alfir impallidì nel vederlo trascinato in avanti da una forza invisibile. Lasciata la lanterna, scattò in avanti e lo afferrò dal braccio destro con entrambe le mani. Un violento strattone lo fece barcollare in avanti, ma riuscì a non cadere e riprese a tirare puntando i piedi, affondando lentamente di metà stivale.
Berdor lanciava urla di dolore, dibattendosi. Alfir riuscì a tirarlo indietro di due passi, rientrando nell’area illuminata dalla lanterna, e con orrore vide due mani scheletriche fatte di nebbia più fitta strette attorno alle gambe del caposquadra. Fu violentemente tirato in avanti, ma mantenne salda la presa e grugnendo strattonò con tutta la forza, quasi cadendo supino quando la nebbia perse la presa.
Una mano spettrale si sollevò di scatto, agguantando Alfir all’avambraccio sinistro. Il gelo aggredì sulla carne, strappandogli un forte urlo di dolore. Stringendo i denti, diede un violento colpo col braccio che sfaldò la nebbia, quindi riprese a indietreggiare finché non raggiunse la lanterna. Afferrata con la destra, si piegò sulle ginocchia per illuminare il volto di Berdor. Era pallido quanto la neve. “E’ morto?” pensò, quasi stupendosi dell’angoscia che avvertì. Aveva il respiro affannato per la fatica, il freddo e la paura, mentre il braccio era intorpidito e dolorante.
Un artiglio di nebbia si sollevò vicino alle gambe di Berdor, ma Alfir scattò in avanti col braccio teso e quando la lanterna gli s’avvicinò si sfaldò fino a scomparire. Voltatosi, Alfir sferrò a Berdor un leggero calcio tra le gambe che lo fece rinvenire subito con un forte gemito e gli occhi sgranati, le mani che corsero a stringere il punto offeso. Mugugnò qualcosa d’incomprensibile, il respiro che gli usciva da un lato della bocca in fumo bianco.
«Dobbiamo fuggire» gli disse Alfir, guardandosi attorno col cuore in gola. Passata la lanterna alla mano sinistra sfoderò la spada, la lama che brillava alla luce gialla. Indietreggiò sino ad arrivare al fianco di Berdor.
«Che…» gemette lui. «Non riesco a muovere le gambe» disse con voce tremante.
Uno scricchiolio frenò Alfir dal guardarlo. Al limitare della luce della lanterna lingue di nebbia si alzarono, intrecciandosi, fondendosi e formando una massa compatta, una figura alta due metri o poco meno, dalla forma vagamente umana che dal busto in giù era ancora un tutt’uno con la nebbia. Alfir aprì la bocca, ma qualunque cosa volesse dire lo dimenticò per lo stupore. Il respiro andò accelerando come per andare di pari passo ai battiti cardiaci, per poi mozzarsi quando la paura ebbe un nuovo incentivo. Il braccio destro della figura di nebbia si era solidificato in una lama di cristallo.
Alfir sentì il rumore emesso da Berdor nel trascinarsi indietro. «Che stregoneria è questa?!» esclamò, la voce piena di paura.
«Resta…vicino…alla luce» gli disse Alfir, sforzandosi per far uscire le parole. Quando la creatura fece un passo avanti fu tentato di farne uno indietro, poi un altro e infine fuggire. “Berdor non può muoversi, e poi perché dovrei difenderlo?”
La creatura si muoveva lentamente, ma c’erano soltanto quattro metri a separarli. Doveva decidere in fretta.

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