In cerca di sè

Il colore dei sogniTirava quel vento che un po’ è come la vita, ti scompiglia i capelli e ti lascia con gli occhi rossi, irritati dalla polvere, metafora esatta dei desideri mancati, delle occasione perse dietro ad un tavolino di un bar, in attesa del treno delle 21, un express destinazione indefinita. Tirava quel vento e tutto metteva tristezza, il campanile della chiesa, le foglie per terra, il cielo nero come il buio della notte, la pioggia sotto i fari delle auto, il bus e il suo girovagare per la città. Metteva tristezza questa pagina bianca e l’odore degli alberi bagnati, l’odore dei giorni che scorrono senza un senso, come canne al vento in attesa di volare, sradicarsi dalla terra d’origine e andare. Metteva tristezza il bianco di quel muro, il ticchettare dell’orologio, quel vetro sporco di salsedine. Era una tristezza che chiedeva il conto, cercava una via, un malanno stagionale racchiuso nell’anima di certe farfalle senza ali. Farfalle inutili, come certe vite racchiuse in spazi angusti, nella penombra a cercare terreno fertile nelle ore quotidiane. Era quella canna al vento in attesa di volare. Era quella nota stonata in attesa di un maestro. Era quel carrello vuoto all’uscita di un centro commerciale, sotto una pioggia torrenziale. Era la sua solitudine. Un giorno o l’altro se ne sarebbe andato in cerca di stesso, con la valigia dei suoi sogni, il suo luogo dell’anima lo attendeva. Il tempo passava e doveva andar via da quel posto, doveva frenare quella tristezza che saliva lungo la schiena, si fermava al collo e gli stringeva il capo. Doveva raccogliere i cocci di quella sfera con i suoi sogni sparsi per terra. Faceva freddo quel giorno, il vento attraversava l’anima intingendola di odori, spogliandola di certezze, derubandole il colore della vita. Un cielo indeciso attraversato da uccelli era come un tavolo da biliardo di cera, vulnerabile dal primo pianto mattutino. Scendeva la prima neve satura di quotidianità, a solleticare la curiosità dei bimbi, àncora di salvezza per gli anziani, preludio di racconti e favole. Da qui, da questa finestra del casolare la città era bellissima, unita, come uova, come tesori d’oriente ancora celati dal fango, desiderati da giovani donne in preda all’adolescenza. Alberi come sostegno della vita, delle case dei nonni dimenticate sull’appennino. Case di segreti e storie, di specchi rotti e porte in legno consumate dall’umidità, dal lento sbiadire della vita quotidiana. Nuvole candide rapivano il blu e rivendicavano il dominio sulla città, sulle vite, sui sogni. Il vento era forte e deciso, toglieva il respiro e si faceva strada tra gli spifferi di questa vecchia finestra, entrava all’improvviso e svegliava i malanni stagionali. Si divertiva a diffondere per la stanza il fumo di quella sigaretta dimenticata sul davanzale, una lucky strike blu. Al bordo del tavolo un bicchiere di Jameson 12, forte ma non per Dan. Una vita a rincorrere una carriera da scrittore e poi ritrovarsi in un fottuto osservatorio di fenomeni geologici. Assurdi tempi di crisi, benedetti casomai. Valla a trovare una via facile in questo mondo, vallo a trovare una sedia su cui accomodarsi nel traffico quotidiano di notizie allarmanti e temporali di suicidi. Dan guardava la città nuova e pensava alla sua Bologna, quelle torri, quella piazza, quell’aria che lo accoglieva in aeroporto, la pizza da Altero o semplicemente un pranzo da Vito. Gli occhi della sua vita. Guardava la città così bella e così lontana dal suo cuore, dai suoi sogni. Perché era così maledettamente difficile essere liberi di scegliere? Avrebbe fatto di tutto per ritornare a casa, starsene sotto i portici o semplicemente in giro a bere vino. Avrebbe giocato a morra o si sarebbe anche travestito da arlecchino. Guardava la città e inevitabilmente una lacrima gli rigò il viso, lenta, precisa, amara. Sperduto su quei colli ripensava alle scelte, alle vie lasciate inesplorate in cerca di una tranquillità dei sensi. Povera anima schiaffeggiata dalla vita. Seduto su quella seggiola rossa sospesa nel verde si passò una mano tra i capelli quasi a voler sospendere i pensieri, fermare quella malinconia che viaggiava in lui. Si sentiva un nulla nella natura, una goccia d’acqua marina o dolce di camomilla. Quel vento pian piano aveva sospeso il tempo, arrivato alle soglie della sua finestra si fermò, quasi a non voler disturbare quell’inquietudine, poi più forte di prima riprese a ritmi di ricordi e stati d’animo. Dan indispettito scese da quella seggiola e guardò lontano, vide il campanile diroccato, un albero, quasi invisibile alle spalle, ricordò i canti di Natale. La croce simbolo di vita e morte. Eterna rinascita e speranza di se stessi. Voleva andarsene e se ne andò quel giorno stesso. Una radio parlava in cabina, ma Dan non c’era già più. Stava per venir giù una tempesta che con la natura aveva poco a che fare, c’entrava la sorte e anche un po’ la libertà. Dan era in viaggio verso se stesso, qualcuno lo ha visto in stazione, altri in una vecchia osteria a ridere di sé e di quell’assurdo giorno di novembre. Con una foto di città nel cuore e una stampata negli occhi, una torre o giù di lì a segnare la via nel bel mezzo di un vento di rivalsa e di nuvole candide come la felicità.

Come proseguirà la storia?

  • Un improvviso terremoto sovrasta i pensieri e il dovere umano le sue ambizioni (17%)
    17
  • Dan resta in quell'osservatorio rapito da quella donna arrivata per caso (17%)
    17
  • Dan parte e lascia la sua città, finendo per ritrovarsi per le strade di Bologna senza un soldo in tasca, ma felice (67%)
    67
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62 Commenti

  • Giuseppe, sono rimasta di sasso quando ho visto che avevi già concluso il racconto! Io mi sono assentata un pò e tu sei stato velocissimo! Che dire… complimenti! Da un certo punto ha preso una piega inaspettata e intensa, mantenendo le note dolci e amare con cui era cominciato, intrecciando la storia con le emozioni sempre vive del protagonista…bello! l’unica cosa, aspettami la prossima volta! (anche se al contrario tuo io sono lentissimaaaa!!) 🙂

  • Non ho fatto in tempo a votare i precedenti due capitoli sei stato molto veloce! Letti tutto di un fiato gli ultimi tre, si nota subito un salto di qualità notevole, come se avessi trovato lo spazio giusto dove inserire i tasselli che l’ispirazione produce. Niente altro da dire se non che il crescendo del racconto è evidente, culmina in una malinconia commovente che è, per quanto mi riguarda, il bello della vita.
    Molto bravo, aspetto il prossimo racconto, ma rallenta un pochettino, dai tempo agli utenti di leggerti!

  • Visto che finora sta andando tutto troppo liscio direi che la casa di Gianni nasconde qualcosa…
    Sempre interessante e coinvolgente il tuo stile, sai creare una buona tensione, che perde un po’ di intensità soltanto con i dialoghi, forse troppo artefatti, poco naturali. Al prossimo, visto che vai veloce credo sarà molto presto!

  • Sveliamo il segreto… Capitolo che esplora l’animo umano, non esattamente il più facile da scrivere! A mio parere riesci bene nel tuo scopo, anche se forse acceleri un po’ troppo sulla solidità del rapporto tra Dan e Gianni. Un altro consiglio che posso darti, questo dettato esclusivamente dai gusti personali, è di ricorrere meno alle metafore, che non sempre trovo efficaci come volevano farci credere ai tempi della scuola! 🙂
    Al prossimo capitolo con rinnovato interesse.

  • Trova l’ispirazione per scrivere. Molto bella la parte che riguarda il cane, commovente. Troppo sbrigativa e rapida invece l’assunzione, forse avresti potuto dedicare un capitolo all’incontro con il titolare o comunque rendere le cose un po’ più difficili.
    Al prossimo capitolo sempre con interesse.

  • Parte parte… tutta l’inquietudine giovanile, la voglia di partire e di lasciarsi tutto alle spalle, la voglia di un nuovo inizio, aspetti tipici della tua età riversati molto bene in questo incipit malinconico.
    Adesso devi fare attenzione a non sfociare in un racconto simile a tante altre cose scritte sull’argomento. Ti seguo.

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