Ciò che il mare riporta

Una spiaggia di ricordi

Era il mare.
Non era mai stato il suo elemento, ma col tempo aveva imparato ad affezionarsi. Per la maggior parte dell’inverno si teneva lontano dalla spiaggia, tranne qualche luminoso tardo pomeriggio in cui si sentiva particolarmente ispirato.
In quei momenti, uscendo dal buio magazzino dove lavorava, saliva in macchina e si dirigeva verso quella spiaggia sferzata dal vento freddo e pungente, ogni volta doveva alzare il bavero della giacca per combatterlo (ripararsi). Il bello della spiaggia in inverno era che non c’era quasi nessuno, solo qualche sparuto visitatore intento a guardare le grosse onde infrangersi contro gli scogli e i pontili di pietre.
Regnava la pace e ogni volta si ritrovava a sorridere nell’accorgersi di quanto quella spiaggia gli sembrasse insieme il luogo più silenzioso e più rumoroso in cui fosse mai stato. Le onde sbattevano contro i grossi scogli e le pietre squadrate dando vita ad un rombo assordante, che sembrava riempire l’aria creando una dimensione a sè. I rumori della strada trafficata a duecento metri scomparivano.
Era anche per quello che andava proprio in quel fazzoletto di spiaggia, si sedeva su una delle grosse lastre di pietra che spuntavano dalla spiaggia ghiaiosa e guardava il mare, con una sigaretta tra le dita.

 D’estate, invece, era diventata un’abitudine consolidata da quando si era trasferito lì. Col passare del tempo una nuova abitudine si era aggiunta alle sue peregrinazioni lungo la spiaggia, soltanto d’inverno quando la trovava deserta e sgombra.
Tutto era iniziato un pomeriggio di febbraio, quando camminando distrattamente aveva intravisto qualcosa di blu acceso sotto delle assi di legno marcio e filamenti di alghe. Si era fermato incuriosito e ne aveva tirato fuori un ciuccio per bambini, abbandonato o perso chissà quando, forse arrivato proprio dal mare.
La storia misteriosa di quell’oggetto iniziò a riempire i suoi pensieri più del dovuto e già dalla visita successiva si scoprì a camminare scandagliando la spiaggia in cerca di oggetti abbandonati.
Dopo un anno aveva costruito un vero e proprio museo, sconosciuto a tutti e messo in mostra in vetrinette comprate apposta e sistemate nella cameretta vuota dell’appartamento.
All’inizio, quando si era trasferito anni prima, in quella camera aveva sistemato un ampio armadio e la scrivania, ma la sua nuova ossessione aveva preteso uno spazio tutto suo.
L’armadio era stato eroicamente smontato e rimontato, diviso, nella camera da letto e la scrivania con il computer era stata relegata in un angolo vicino alla portafinestra del salottino.

Al principio aveva comprato una sola vetrinetta a due ante, ma col tempo erano diventate quattro e presto, se avesse continuato, avrebbe dovuto fare un ulteriore acquisto. Ogni vetrinetta aveva cinque ripiani ed erano tutti per lo più colmi di oggetti d’ogni dimensione, fattura, materiale e dimensione, alcuni più insignificanti ed altri quasi preziosi. Per ognuno si era figurato una storia, un destino, una nascita, un ex proprietario a volte arrabbiato, o triste, o felice, spesso sbadato.
Una bacchetta per cibo cinese laccata di nero adornata in cima da una fascia di stoffa verde, apparentemente raso,raffigurante alcune anatre mandarine che si fanno il bagno in un lago. Il disegno era pregiato e dai colori brillanti, era uno dei suoi pezzi preferiti, perdeva le ore nel tentativo di ricostruire la storia che aveva portato alla divisione tragica delle due bacchette gemelle.
Un pennello da pittore sporco d’un colore a metà tra il viola e il blu, le setole erano rimaste impiastricciate di pittura e lui non se l’era sentita di provare a lavarlo.
Una scatola rotonda di legno, piccola e sbeccata su un lato del coperchio, qualcuno doveva averci appiccicato una figurina o un adesivo e adesso rimaneva soltanto la colla e alcuni rimasugli di carta bianca.  Questi e altre centinaia di oggetti abbellivano le mensole.
Fu questa ossessione che lo portò, in una serata fresca di maggio, a rovistare col piede sotto un mucchio di cocci di legno marcio trovando un vecchio libretto dalla rilegatura rigida color rosso porpora. Resurrezione di Lev Tolstoj, uno dei suoi autori prediletti.
Un’edizione tascabile del 1935, le pagine erano ingiallite ma integre ed anche la rilegatura era rimasta ben salda e unita. Si rigirò il libro tra le mani, entusiasmato da quella scoperta finchè non si accorse di una busta color carta da zucchero. Sigillata, era incastrata tra pagina 43 e 44. La prese tra le mani osservandola per un pò, poi si avvicinò ad una lastra di pietra e si sedette. 
Alla curiosità non aveva mai resistito, tastò la busta e notò che sembrava nuova, probabilmente non era rimasta molto sotto quei cocci. Si strinse di più il bavero del cappotto intorno al collo, si accorse di essere rimasto solo in spiaggia. Sulla busta l’indirizzo del destinatario era scritto in un corsivo delicato e ben leggibile: Sig.na Anna Fatimi, Via Ferrara 6 Alessandria (AL) 15121 IT.

Cosa decide di fare l'uomo?

  • Spedisce la lettera alla destinataria (14%)
    14
  • Cerca di contattare la destinataria, senza aprirla (57%)
    57
  • Apre la busta e legge la lettera (29%)
    29
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73 Commenti

  • Oh, sì, ti seguo senza pensarci nemmeno : un giallo (mio genere preferito ) da una mia vicina di casa (sono di Torino), ben scritto e con un incipit affascinante. ça va sans dire, mia cara, mi hai già conquistata. Ho votato perché lui la cerchi di contattare

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