Il Maresciallo Virzì e lo strano caso delle biciclette smontate

“A Torino c’è sempre la nebbia”, dicevano.

Non è vero, che Torino è una città grigia: sarà la primavera, sarà che appena sceso in stazione ho visto una bella ragazza che mi ha sorriso, così, gratuitamente, salvo poi abbassare lo sguardo e avvampare, ma io la trovo splendente. Certo, qui non c’è il mare, però hanno dei parchi meravigliosi e la montagna che ripara dal vento. Tutto sommato, mi aspettavo di peggio. Forse ha ragione mia madre quando sostiene che non sono abbastanza meridionale (là dove la meridionalità è considerata un punto d’orgoglio, ovviamente).

Non è vero nemmeno che non sono ospitali. Sì, hanno una deferenza nei modi che pare di stare a corte anche quando si va ad orinare, probabilmente per via del loro retaggio sabaudo, ma sono gentili. Forse lo sono soltanto con me, perché indosso una divisa e rappresento l’Arma. Forse, appena volto le spalle bisbigliano fra di loro dandomi del terrone, del “napule”. 

Li ho visti, i miei compaesani, scendere a Porta Nuova con le valige di cartone e gli occhi pieni di speranza. Quando stavo a Palermo e li vedevo partire, mi chiedevo sempre come sarebbe stato il loro arrivo: nell’immagine nebulosa che avevo del Nord, me li figuravo persi nella nebbia e mai più ritrovati, fagocitati dallo stabilimento della FIAT nel migliore dei casi. 

Ho visto anche i cartelli affissi sulle porte degli affittacamere “Non si fitta ai meridionali”, recitano. Vorrei poterli staccare tutti e dire a questi signori che non siamo pericolosi, forse solo un po’ rumorosi, tanto di più rispetto a loro, ma che siamo qui perché vogliamo, come tutti, ricominciare a vivere e dimenticare l’incubo ancora troppo vicino della Guerra.

Mio zio Pasqualino, però, mi ha insegnato una cosa importante: l’unico modo per dimostrare che si è degni di rispetto, è agire in modo da suscitarlo. Per questo ho accettato il trasferimento: se saprò fare il mio lavoro per bene, un giorno la gente smetterà di fare differenze fra meridionali e torinesi e guarderanno solo al valore del singolo individuo.

È quello che sto raccontando alla signorina Giraudo, di anni sessantacinque, che mi affitta una stanza nella mansarda della sua casa, mi prepara due pasti al giorno e mi stira le camicie alla modica cifra di cento lire al mese. Dice che a lei non importa da dove vengo, ma che la fa star tranquilla avere un Maresciallo in casa, “Con i tempi che corrono”. E intanto mi piazza davanti la sua specialità, gli agnolotti fatti in casa, col sugo d’arrosto. Sono buonissimi, ma non posso far a meno di pensare che se i piatti tipici di questa città fossero più colorati, allora anche i suoi abitanti sorriderebbero più spesso. Mi riprometto che quando mamma mi spedirà il pacco con le provviste, regalerò un vasetto della sua salsa pomodoro e melanzane alla signorina Giraudo per ringraziarla di avermi ospitato e di prendersi cura di me.

Quando bussano alla porta, io sono a metà del piatto e della mia storia. 

– Mi scusi, né? Vado a vedere chi disturba a quest’ora. 

La signorina Giraudo indossa il golfino, perché non si esce, nemmeno sull’uscio, senza coprirsi; sciabatta fino all’ingresso, incolla l’occhio allo spioncino e poi chiede chi è. Dall’altro lato si sente una voce femminile, ma non riesco a capire cosa dica. Fra un “Signur” e un “Mi mi” (tipiche esclamazioni piemontesi, ho scoperto), la signorina Giraudo dischiude il battente in legno, ma senza togliere il catenaccio: ha paura dei ladri. 

Mi sporgo un pochino per cercar di intravedere chi ci sia sul pianerottolo, ma non ci riesco. Sento che la donna parla con tono basso e concitato, le due discutono, ma lo fanno come se parlassero del tempo. Capisco che c’è qualcosa che non va soltanto perché sento la signorina Giraudo ripetere “Basta là!” come un mantra. Infine si decide a togliere il catenaccio e a lasciar entrare la sua interlocutrice.

È talmente bella che mi alzo subito in piedi, vergognandomi di esser stato colto in flagrante nel mezzo del pasto, e mi metto sull’attenti; lei sorride, perplessa. 

– Mi scusi, Maresciallo, se la disturbo.

 

La bella donna che è appena entrata

  • Ha perso il cane. (12%)
    12
  • Ha trovato la propria bicicletta smontata (68%)
    68
  • Ha scoperto un cadavere (21%)
    21
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362 Commenti

  • Oggi avevo un po’ di tempo e mi sono cimentata nella lettura di questa tua storia. Devo riconoscere che The Incipit ha due cose ottime: le storie restano e, anche a distanza di anni, sono qui per essere lette; e la seconda: danno la possibilità di leggerle per intero, senza votazioni, senza tempi morti tra un episodio e l’altro. E se i racconti episodici sono oggi il sale della fiction contemporanea e alimentano il valore del venduto favorendo il prodotto interno lordo, io sono una di quelle che guarda le serie tv o che legge gli episodi tutti in una volta. Full immersion, per capirci, laddove -naturalmente – valga la pena.
    Terminata questa lunga premessa: tu ne sei valsa la pena.
    Non ti conosco, non so nulla di te, ho letto solo questa tua storia – per quel che ne so potresti essere pubblicata da feltrinelli e tradotta in trentasei lingue e alla decima risptampa del tuo ultimo romanzo – ma per quel che ho letto qui devo dire che sei una scrittrice con le palle. Inutile starti a dire che il linguaggio era tematico e calzante persino dove altri avrebbero fallito di sicuro; inutile dirti che la trama era studiata e ben argomentata, che il plot era ingegnoso, che i personaggi erano ben caratterizzati, che le digressioni in giro per la città o sui dialetti erano pignole e sensibili quanto basta per essere godibili e mai stancanti. Una storia molto bella e ben scritta con rarissimi refusi. Insegna che – leggere un episodio al mese – toglie animo alle opere. Invece leggerle di fila regala grandi emozioni. Ti rimprovero solo il finale. Un po’ frettoloso, non ingegnoso come il resto. Ma capisco che il tempo è tiranno, non sempre si può essere al mille per mille.
    Felice di averti letta.

    • Grazie, Alessandra, per questa recensione così approfondita. Questo racconto è uno di quelli che ho amato più scrivere e purtroppo hai ragione riguardo il finale: come spesso mi capita, mi sono ritrovata al decimo episodio senza accorgermi in tempo che era ora di chiudere. I caratteri non mi sono bastati e ho optato per un finale “panoramico” che non mi ha soddisfatta, ma ho preferito non lasciare nulla in sospeso (a differenza di altre volte durante le quali ho scritto dei sequel). Devo ancora imparare a scrivere un racconto breve, la sintesi non è il mio forte 🙂

  • CASO PIU UNICO CHE RARO TUTTO FINISCE BENE . MIII…….NON CI POSSO CREDERE!!!!!!!!!!
    Comunque bella ambientazione e storia molto verosimile, sembra di leggere le cronache di un caso realmente accaduto,molto piu ben scritte, si intende .

  • E, fuori tempo massimo, mi faccio vivo anch’io. Non è stato difficile recuperare dieci puntate tutte d’un colpo, il racconto fila liscio come l’olio. Molto leggibile, senza ghirigori e trappole per il lettore, si sa sempre chi dice cosa e chi fa cosa (il che su TI è quasi una rarità). Mi è piacuto molto il protagonista assoluto: Torino.

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