Dreamless City

Il risveglio

Jen si era risvegliata sulla panca di uno stanzino piccolo e spoglio, molto simile a quello di una palestra, con indosso una tuta blu-grigia. Dai tubi sul soffitto cadevano piccole gocce d’acqua che tintinnavano sul pavimento, creando delle pozze. Un mal di testa lancinante le martellava la tempia sinistra. Aveva tutti i muscoli indolenziti, come se avesse fatto una brutta caduta, eppure non se ne ricordava affatto. Una volta sedutasi a fatica, cercò di alzarsi e di trovare uno specchio per vedere in che condizioni fosse, ma non ce n’era nessuno. Intorno a lei vedeva altre donne, bambine e ragazze, che indossavano la stessa tuta e che, con molta naturalezza, si salutavano e uscivano: fu allora che il suo pensiero andò alla sua famiglia. Che fine avevano fatto tutti? Mamma, papà, Josh… Che diavolo stava succedendo? Poggiò la mano su una signora di colore, magra e dai capelli ricci. Non appena questa sentì il suo tocco, si voltò. C’era qualcosa di strano in lei: i suoi occhi erano pallidi, quasi bianchi, e, se non l’avesse fissata dritta negli occhi, Jen avrebbe quasi giurato che fosse cieca. Per il resto, avrebbe detto che era una bella donna, tuttavia c’era qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che la faceva sentire osservata, anzi, no, scrutata. Era come se il suo sguardo entrasse dentro di lei e questo le dava una forte inquietudine: Jen odiava essere osservata e questo sguardo era ancora peggio, le dava proprio un senso di angoscia, era come se quegli occhi la mettessero a nudo, rivelando tutto di lei. La ragazza attribuì questa sensazione al suo carattere, alla sua ossessione riguardo l’essere osservati. Quindi, nonostante l’inquietudine che la donna le destava, si fece coraggio e le disse:

“Dove siamo? Che razza di posto è questo?”

La donna fece un sorriso dolce e scosse il capo, come se la ragazza non potesse capire, e rispose “Siamo nell’Anticamera del Boulevard, Jen, presto ti abituerai a tutto questo…”

“Boulevard? Che intendi con Boulevard? Siamo a Leslieville, vero? E come fai a sapere il mio nome?”

La donna rispose: “Presto lo scoprirai. Adesso non fare troppe domande, il Sindaco ti sta aspettando. Devi raggiungere il suo ufficio al più presto.”

“Come il Sindaco??? E mamma, papà e Josh? Loro dove sono?” Continuò a domandare lei, partendo dall’assunto che, se la donna sapeva chi era e conosceva il suo nome, aveva anche sicuramente notizie della sua famiglia.

“Stanno bene, ma uomini e donne devono restare assolutamente separati, pena la morte. Non so quale mansione sia stata affidata a tuo padre e tuo fratello, ma tua madre lavora con me in Sartoria. Non preoccuparti, il Sindaco farà sicuramente qualco…”

Non fece in tempo a finire la frase che Jen esplose in un impeto di rabbia: “Andrà tutto bene??? Andrà tutto bene??? Siamo qui, in questo stanzino angusto, con indosso una squallida tuta come fossimo carcerati. Non so come sono finita qui, mi alzo dolorante senza avere traccia della mia famiglia, poi incontro te, che mi dici che tutto andrà bene e che per giunta conosci anche il mio nome???”

“Jen, ci sono passati tutti, non sei né la prima né l’ultima. Col tempo capirai.” Il tono della donna era così comprensivo nei suoi confronti da risultare quasi odioso.

“Capirò cosa??? Io voglio trovare i miei genitori e mio fratello. E tornarmene a casa! Ecco cosa farò adesso.”

“Temo proprio che tu ti stia sbagliando. Nessuno può andarsene dalla Città. Ti consiglio caldamente di raggiungere il Sindaco nel suo ufficio il prima possibile, così che ti possa affidare una Mansione.”

A quel punto la ragazza scoppiò del tutto: “Ma quale Mansione??? Io non voglio restare qui!!! Adesso vado a cercare la mia famiglia e ce ne torniamo tutti e quattro a Leslieville, piantandola con questa pagliacciata. Adesso spostati.”

Jen le dette uno spintone senza farla replicare e uscì dallo spogliatoio, ritrovandosi in uno stanzone nero lungo e stretto, il cui corridoio sembrava non finire mai: doveva essere il Boulevard. Centinaia di donne se ne stavano lì a parlare, come può fare una persona nel quotidiano. Erano tutte accomunate dal fatto che indossavano quella brutta tuta e avevano quei pallidi occhi azzurri senza iride, per il resto sembravano normalissime: parlavano allo stesso modo in cui parli quando sei in caffetteria con un gruppo di amiche. Jen sembrava l’unica a essere spaventata: era la sola persona che correva come una forsennata, non capendo cosa stesse succedendo. Si fece spazio tra la folla con gli occhi puntati addosso. Andò verso le pareti spingendo la gente, alla ricerca di una finestra per cercare di capire dove fosse: niente. Lo stanzone non aveva alcuna apertura all’esterno, era illuminato solo da pallide luci al neon sul soffitto. Dopo una breve sosta riprese a correre, nel disperato tentativo di vedere il padre, la madre e il fratello. Non sapeva perché, ma aveva l’impressione che più correva e si agitava, più il corridoio si allungava, prolungando la sua corsa all’infinito.

Cosa succederà a Jen?

  • Durante la corsa precipita e si risveglia a casa (27%)
    27
  • Sente uno sparo da lontano che la colpisce e la fà cadere (45%)
    45
  • Durante la corsa si imbatte in sua madre (27%)
    27
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59 Commenti

  • Ciao. 🙂 Si rifiuta. Mi sembra la più stimolante. La storia si sta sviluppando molto bene. Anche in questo episodio c’è quella suspance che ti tiene incollato allo schermo del computer dall’inizio alla fine. Brava. 😀

  • Rifiuta di ricevere una mansione. Dato il suo caratterino, liquido o no, si ribellerà, secondo me.
    Molto interessante il tema che hai sollevato:
    in un’epoca – la nostra – in cui i social network ci spiano e tutti conoscono tutto di noi e sembriamo non avere più una privacy, tu incarni il tema con un racconto fantascientifico in cui tutto è chiarissimo: un liquido innestato ci dona la VISTA che altro non è che una forma di spionaggio autorizzato che rende tutti noi consapevoli del privato dell’altro. In un mondo così, come riusciremo a distinguere ciò che ci serve sapere da ciò che serve solo a influenzarci? Molto brava e molto bene, Sara, continua così. Fai solo attenzione alla narrazione: mai usare doppi e tripli punti ( ???!!!), non è linguaggio narrativo. E quando presenti un personaggio dì subito chi è: un uomo entra in scena e ha la sua importanza, ma solo nell’ultima riga ci dici che è il Sindaco. Lei poi, che è la voce che ci racconta, in terza persona limitata, ora possiede la VISTA , quindi sa già chi è costui, ce lo dovrebbe dire subito, lo ha “letto”.
    Bravissima.

  • Ciao, Sara, e – dato che non mi pare di conoscerti – benvenuta.
    In bio scrivi di essere una grande lettrice, quindi non ti dispiacerà se ti riservo un doppio parere:
    da un punto di vista puramente sintattico e grammaticale, ti consiglierei di fare attenzione alle ripetizioni, e di usare sinonimi – quando il concetto stesso è ripetuto per esigenze di narrazione.- Es. dare forte inquietudine. Al posto di “dare”, usa “provocare”, “provare”, “trasmettere”;
    presta attenzione ai termini che usi mettendoli in relazione con i successivi: occhi pallidi. Gli occhi non possono essere pallidi. Il pallore è nel volto, non nello sguardo. E dato che tu ti riferivi al fatto che le iridi erano spente, quasi prive di vita, direi “scoloriti”.

    Da un punto di vista strutturale, è presto per comprendere il plot che stai architettando ma la storia mi interessa, e voglio seguirti.

    NB noi non ci conosciamo, ma voglio che tu sappia che l’analisi – sebbene logicamente sintetica – la faccio solo alle storie che ritengo valide. Se dovessi analizzare tutti, sarei già impazzita… 🙂
    Al prossimo episodio.

    direi che si risveglia a casa.

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