Quattro passi di là

Estate

La porta dell’appartamento sbatte secca.

La luce resiste ancora nonostante la sera sia iniziata da un pezzo e insieme a lei l’afa e il caldo prolungano l’umido e asfissiante giorno estivo della città. Le motociclette parcheggiate sotto il palazzo bucano lentamente l’asfalto con i loro cavalletti, domattina qualcuno dovrà disincagliarle dalla palude nero lucida in cui sono sprofondate prima di partire. Bestemmieranno e cominceranno la giornata di merda, come di di merda sono sempre le giornate di fine luglio trascorse in città. 

Doug piazza un piede davanti all’altro, veloce, rabbioso,  mentre respira velocemente e profondamente, come un toro rinchiuso al buio inferocito da drappi rossi sventolanti. Respira profondo ma non sente l’odore di gas di scarico che sale dalla strada. Ha gli occhi rossi di rabbia e liquidi di lacrime trattenute e fissa le scarpe di tela blu: ora la destra ora la sinistra in una marcia di rabbia a pugni chiusi stipati nelle tasche dei jeans. 

E’ quasi arrivato all’incrocio in fondo alla via e, nonostante l’intreccio dei rumori di motori sbuffanti, clacson e centinaia di voci, se tende l’orecchio lo sente ancora lo sbraitare alcoolico del suo vecchio che inanella imprecazioni riguardanti l’assurda ostinazione di Doug di voler finire gli studi prima di muovere quel culo da frocetto e cominciare a guadagnarsi da vivere.

“Non troverai aperto quando tornerai, non ho intenzione di mantenerti a vita…” 

Preferiva uscire di casa Doug quando le cose prendevano quella piega, sapeva bene che se avesse risposto a suo padre gli avrebbe fatto molto più  male rispetto a mollargli un cazzotto in bocca. O magari qualche cazzotto partiva davvero, come l’ultima volta, dopo aver schivato la bottiglia di birra vuota scagliatagli addosso dopo l’ultimo sorso.

Si litigava spesso quando Dean beveva, e Dean aveva iniziato a bere sempre più spesso, solo che il tempo passa per tutti e se prima Doug era costretto a alzare la guardia nel disperato tentativo di cercare di portare a letto la faccia ancora integra, adesso era in grado di porre definitivamente fine alle discussioni mettendo un deciso e perentorio punto ad altezza della mascella o del naso di Dean. Il fatto era che Doug non era un bastardo, e sapeva bene che a sputare in faccia insulti o a menare le mani non era esattamente suo padre, era piuttosto la rabbia che si portava dentro alimentata come benzina sul fuoco da litri di birra. Birra scolata per stordirsi del fatto di essere ormai consapevole del fatto di essere un uomo solo, vedovo di un angelo rapito da una cosa chiamata cancro, che lo costrinse a continuare la sua esistenza senza di lei, tirando su, senza esserne davvero capace, quell’altro uomo che, nonostante poco più che undicenne, era già stato capace di allontanarla da lui.

Allora era meglio girare i tacchi e andare a sbollire da qualche parte piuttosto che vedere il suo vecchio già stremato dall’alcool, messo KO e abbandonato sanguinante sullo stesso pavimento dove fino a qualche anno prima gareggiavano insieme con le automobiline.

Anche stasera Doug preferisce andarsene, anche se la sera non ha ancora voglia di diventare buia, anche se l’afa non ha intenzione di dare tregua, anche se si continua a sudare come alle tre del pomeriggio e la maglia bianca con stampata in petto quelle labbra con la lingua di fuori si incolla alla schiena madida di sudore e rabbia. Marcia deciso Doug, senza una meta, come tutte le sere, si fermerà quando il fiato implorerà alla rabbia di dargli pace, si fermerà quando non riconoscerà il paesaggio attorno a sé, quando la metropoli se lo inghiottirà in un vicolo sconosciuto costringendo le sue passioni a cedere il passo alla ragione per ritrovare la strada di una casa che di casa ha ormai solo il nome.

Il fiato rallenta, il muro di mattoni davanti lo nasconde dagli sguardi indiscreti dei tanti curiosi pronti a scambiarlo per il tossico di turno, adesso può sciogliere le redini del pianto, può singhiozzare e lasciarsi andare, può pestare i pugni contro il muro, può sentirsi tranquillamente, disperatamente, il bambino orfano, può finalmente dare libero sfogo alla sua condizione meschina, la metropoli non lo ascolterà, ha orecchie solo per i potenti.

Gli ultimi raggi di sole tingono il cielo di un giallo vaniglia e imbruniscono ulteriormente i mattoni degli edifici, infiammandoli di ulteriore rosso. I vetri dei capannoni diventano specchi infranti, il cemento sembra assumere una tonalità di grigio più accogliente, l’acciaio che spunta dai muri come spine di geometrici cespugli tra poco si raffredderà.

La notte sta calando e i pipistrelli dei quartieri abbandonati iniziano a volteggiare attorno ai pochi lampioni accesi, concederanno un po’ di tregua dalle zanzare ai variopinti personaggi che, appoggiati sotto, aspettano di scambiare prestazioni sessuali per soldi trattando compensi e performance affacciati ai finestrini delle auto che regolarmente si fermano.

Doug realizza che la rabbia stasera lo ha portato davvero lontano…

Chi incontrerà Doug stasera?

  • Dave un barbone che suona uno straziante blues con l'armonica alla luce di un fuoco acceso in un bidone di latta. (80%)
    80
  • I Silk Cut, una band punk che lo porterà ad un loro concerto (0%)
    0
  • Un travestito che si fa chiamare Joy che lo porterà a casa di artisti. (20%)
    20
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74 Commenti

  • Ciao Francesco,

    La storia mi è piaciuta tutta, il finale mi ha commosso.
    Direi che è poetica. Ci sono immagini, è disseminata di immagini veramente belle ed efficaci. È uno dei racconti che mi ha colpito di più su questa piattaforma.
    E tu a mio parere sei bravo. Ma veramente, mica come uno come me che fatica a mettere insieme tre o quattro parole e alla fine la sua prosa è comunque piatta e artificiale.
    A proposito, non so quanto ci sia di vero nelle battute che mi scrivi ogni tanto, ma hai fatto male ad affezionarti a Moneta, perché lei non esiste affatto e se leggi il suo profilo ti sarà più chiaro.

    Ciao, non smettere di scrivere.
    Per quanto mi riguarda e se il mondo fosse più giusto, potresti tranquillamente farne la tua prima professione, anche se intuisco che il tuo lavoro ti piaccia parecchio. Quindi è giusto così, regalaci qualche emozione ogni tanto.

  • Quindi tutto il racconto non è altro che il sogno fatto da Doug mentre era in coma, solo per evadere la realtà? E tutte le persone che ha incontrato non erano altro che alcune delle persone presenti in ospedale?
    E’ un dannato (in senso buono) colpo di scena!

  • Una storia drammatica, come può essere drammatica la vita di chi deve lottare, giorno dopo giorno, non solo contro il degrado della realtà in cui vive ma, soprattutto, contro la propria impotenza nel vedere un genitore arrendersi alle difficoltà della vita, senza neanche provare ad affrontarla. Il tuo stile da “show, don’t tell”, poi, mi ha risucchiata nello stesso baratro di Doug. Voto per una fine drammatica, non perché penso che non ci sia salvezza per ragazzi come Doug, ma, come tu stesso hai scritto, la vita è destinata a finire. Complimenti davvero.

  • Scusa per il 50 e 50… ma dico inaspettato…. il lieto fine puro non significa nulla… e tu sei molto bravo a fare autoanalisi, introspezione narrativa, sarai abile anche a stupirci sul finale. Interessanti riflessioni sul concetto di famiglia, se solo un terzo del’umana consapevolezza globale la pensasse così, vivremmo in paradiso…

    • Credo anche io Alessandra…
      E’ che c’è quella cosa che si chiama affetto, amore (o giù di lì) che spesso viene messa da parte per soddisfare quello che si crede siano i bisogni personali. Poi guardo negli occhi mia figlia e tutto assume un altro significato.
      Grazie per il tuo graditissimo commento.

    • Grazie Valerio, mi piacerebbe tanto riuscire a dedicare più tempo alla scrittura. La fregatura è che di tempo tra lavoro e famiglia ne rimane davvero poco. Mi darò da fare… anzi facciamo che se nel prossimo racconto vedrò un tuo commento mi impegnerò a pubblicare ogni tre giorni! 😉

  • Un altro pezzo di bravura, Fra’, degno del miglior stile Francica.
    Pura poesia condita con immagini straordinariamente evocative.
    Ammirazione sconfinata, ma lo.sai già 🙂
    Voto Doug segue Jane nel suo appartamento, diamo una chance a questi ragazzi.
    Un abbraccio e a presto 🙂

  • Del tuo racconto, ho apprezzato molto la tua capacità di costruzione delle immagini. Mentre leggo, mi sembra proprio di vedere Doug che cammina per la città e incontra gli individui più disparati. Mi piace il fatto che tu non abbia paura di inserire nella narrazione scene crude, di disperazione e di degrado, pur riuscendo a mantenere intatta la dignità dei personaggi. Anche per quanto riguarda lo stile, a mio parere, sei sulla strada giusta. Bravo!

    • Grazie Elena, felice di aver incontrato il tuo gradimento! Sono dell’opinione che la vita è prevalentemente un piatto di cruditè dove di tanto in tanto ti capita di assaporare qualcosa di dolce. Sono un infermiere quarantenne e da venti lavoro in pronto soccorso e 118 e la tragedia è diventata negli anni qualcosa di tangibile, concreto, quasi qualcosa da poter toccare con mano. La salvezza sta proprio nel fatto di esorcizzarla ricercando la poesia negli angoli più bui, tra le lacrime di una madre, in quella fiamma di luce che rimane negli occhi di chi se ne va e la malinconica pietà di chi resta, nella speranza che sgorga dal cuore di chi ce la fa, magari per un pelo ma ce la fa. Chiamare le emozioni con il loro nome e render loro la dignità che comunque meritano giustifica l’evento, dà allo stesso un significato che lo rende concepibile e quindi accettabile, il motivo vero per il quale comunque (tra sangue, acciaio, vetro cemento e sporcizia) la vita va avanti. Vivo quindi in una palude di emozioni forti e travolgenti che cerco di descrivere, se poi anche lo stile piace non posso che esserne felice! Grazie per avermi dedicato il tuo tempo, alla prossima!

  • Uaoo!

    Complimenti. Sei riuscito a prendermi con una storia che descrive “una merda”. Ovviamente la storia non è così. 🙂

    Anzi è molto bella per il capitolo che ho letto. Descrive un mondo. Descrive un modo di vedere triste di Jane e la innocenza di Doug (che alcuni potrebbero vedere come una ingenuità, me stesso forse, mio malgrado). 🙂

    Certo è che ti seguo se prosegue con questo modo ipnotico di scrivere. Ciao! Au revour! 🙂

    • E’ prorpio nella “merda” che Doug si muove in questa notte di avventure lontane dal suo consueto, nonchè tristissimo, modo di vivere per addentrarsi in un mondo altrettanto ai limiti ma non per questo meno sincero o capace di emozioni. D’altronde non è dal letame che nascono i fiori? (F. de Andrè)
      Grazie per il tuo commento e alla prossima. 🙂

  • Sai Francesco, questo tuo racconto mi ha stupito prrché trovo che tu l’abbia scritto in uno stile molto diverso da quello che, almeno io, credevo di conoscere. Ma a tratti riaffiora,e lo valorizza alquanto, la tua vena poetica di sognatore controvento. E leggerti è, in ogni caso, bellissimo. Mi piacciono le opzioni del tetto e l’amore sul tavolo con le candele, ma voto per quest’ultima, molto romantica. A presto 🙂

  • Grazie a tutti di cuore per aver dato uno sguardo ai bordi delle strade. Credo che sia venuto il momento di colorare un po’ il racconto… Dave lo ha salvato dall’alienazione della tristezza e Doug verrà aiutato in ogni incontro finché non capirà che le strade vanno percorse sì ma sopratutto vanno scelte.

  • Come immaginavo, non deludi mai. In questa storia si ritrovano gli elementi a te più cari, la musica in primis e la tua rara sensibilità verso gli “ultimi della terra”.
    Sembra quasi di sentirla quella fisarmonica e il suo blues…
    Ho votato l’opzione in cui Dave muore, dispiace, ma è necessario… Buon proseguimento e a presto! 🙂

  • Ciao! 😉
    Non sarebbe male un elemento drammatico in cui vediamo Dave morire nel suo cartone e Doug che suona qualcosa per lui e se ne va malinconico… per poi ovviamente aprirci a nuove strade e nuove idee attraverso il suo viaggio…. 😉
    Continua a piacermi molto il tuo modo di raccontare.

  • Direi che Dave e Doug parlano tra loro, sorseggiando della birra. Dave però è malato (di cancro? Di cuore?) e regala la sua armonica a Doug, prima di morire, decidendo cosa fare della sua vita: il musicista blues. Magari prima di successo, poi finisce per strada come Dave.

  • Dean, Doug, Dave. Non ti ricorda din don dan? Diversifica sempre i suoni, oltre alle immagini, altrimenti confondi il lettore. Però bello… molto sentito e vivido questo scenario che hai creato. Leggerò la storia.
    Ora vorrei sentire un blues…
    Benvenuto 😉

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