Quattro passi di là

Dove eravamo rimasti?

Come finirà questa storia? In modo inaspettato. (50%)

...Di là

Bip, bip, bip… bip        …bip            …bip.

L’infermiera Jane sgrana gli occhi, l’infermiera Jane è una tipa in gamba, sa riconoscere immediatamente quando c’è qualcosa che non va. L’infermiera Jane è giovane ma è preparatissima, sa leggere i dettagli lei, un colorito cutaneo, l’alterazione di un parametro vitale, l’odore della pelle, un onda strana in un tracciato… L’infermiera Jane legge i dettagli e li trasforma in condizioni cliniche. L’infermiera Jane non ha nulla da invidiare alle colleghe più anziane, per questo lavora in terapia intensiva, perché è preparatissima dal punto di vista clinico… sono le emozioni ed il coinvolgimento emotivo che la fregano, sono i sentimenti dai quali non sa ancora difendersi.

Jane si alza di scatto e guarda il monitor del ragazzo, il cuore ha iniziato a rallentare e l’elettroencefalogramma…

Lascia improvvisamente il carrello della terapia e imbrocca la porta dello studio medico:

“Dottor Joy?”

Il dottor Sunnyday trasale dalla cartella che sta analizzando:”Che succede Jane?” 

“Si tratta di Doug… del paziente dell’emorragia cerebrale al box quattro”

“Certo, dimmi…”

“Si sta bradicardizzando…”

Sunnyday scatta in piedi mollando la cartella sulla scrivania.”Jane, prepara l’atropina, vengo immediatamente…”

“Non credo sia utile dottore, il problema è che si è modificato l’elettroencefalogramma… si stanno appiattendo le delta…”

“Ci siamo quindi… Chiamerò Wallace…”

Il ragazzo era entrato un mese prima, piombato al box quattro della terapia intensiva direttamente dalla sala operatoria dove i chirurghi gli avevano ricucito il fegato, asportato la milza ed un neurochirurgo aveva tentato infruttuosamente di drenare il vasto ematoma cerebrale. Ma quello che aveva lasciato sbigottiti tutti era la storia che lo aveva portato lì.

La diagnosi asettica recitava: Politraumatismo da percosse, stato di coma postraumatico con frattura della base cranica ed ematoma cerebrale, rottura splenica, vasto ematoma epatico, contusione polmonare bilaterale, fratture costali multiple. Era il modo che i medici utilizzavano per proteggersi dalla violenza con la quale il padre del ragazzo si era scagliato contro di lui durante l’ultima di quelle che poi si scoprirono essere le numerose litigate fra i due. Doug quella sera aveva preso la porta di casa per uscirne definitivamente ma venne raggiunto alla testa dalla bottiglia di birra scagliatagli dal padre, perse coscienza e ricadde all’indietro pestando la base cranica contro il pavimento, quando il padre lo vide a terra infierì violentemente sul corpo con calci e pugni. Lo allontanarono i condomini, lo portarono via i poliziotti, lo interrogarono gli assistenti sociali e venne fuori tutto il marcio che si consumava sulle spalle di quel povero ragazzo che ora lottava tra la vita e la morte all’ospedale.

Doug durante quel mese aveva aperto gli occhi solo quattro volte. La prima volta la deviazione dello sguardo lo costrinse a vedere il vecchio del box di fianco mentre tirava l’ultimo respiro, un fiato asmatico fischiante e lamentoso, come il suono di un vecchio blues. La seconda volta durante uno dei suoi arresti cardiaci fece appena in tempo a vedere gli occhi del dottor Joy Sunnyday mentre gli scaricava sul petto l’energia del defibrillatore e gli ripeteva: “Resta con noi ragazzo, la vita è bella, resta qui e quando usciamo ti porto a ballare…”.

La terza volta incrociò lo sguardo dolce e triste dell’infermiera Jane, allungava il dorso della sua mano sulla sua guancia, in una carezza che racchiudeva in sé tutta l’essenza della cura. Spesso Jane gli si avvicinava e gli sussurrava cose tipo: “Non si può non volerti bene, Doug…”

La quarta volta glia apparse davanti la grande sagoma del primario, il Dott. Andrew Wallace, dal camice immacolato come il ciuffo che sormontava la sua testa. Era stato perentorio con tutta l’equipe: “Il quadro clinico del giovane è decisamente infausto, ma finché persistono quelle onde delta sull’elettroencefalogramma significa che un residuo di attività cerebrale è conservata e finché avremo attività questo ragazzo meriterà tutti gli sforzi che questa equipe sarà in grado di sostenere.”

Ma adesso le onde delta si stanno inesorabilmente appiattendo e con loro il barlume di speranza che tutti tengono acceso tra il cuore e il camice. 

Si raccolgono tutti al letto del giovane Doug ascoltando il ritmo dei bip della macchina diventare sempre più lento, osservando quella piccola onda diventare sempre più piatta, finché il respiratore non smette di pompare aria nei polmoni, finché il bip non si trasforma in allarme asistolia, finché le lacrime iniziano a scendere dagli occhi di tutti, medici, infermieri, primari e ausiliari, finché il sole tramonta sulla facciata del grande ospedale di acciaio, vetro e cemento.

Di là,

dall’altra parte di un onda su un monitor,

Doug abbraccia la sua Jane con la quale vive, insieme a Joy e Andrew W e sono felici e lui piange di gioia perché Jane glia ha appena annunciato che tra poco sarà padre.

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74 Commenti

  • Ciao Francesco,

    La storia mi è piaciuta tutta, il finale mi ha commosso.
    Direi che è poetica. Ci sono immagini, è disseminata di immagini veramente belle ed efficaci. È uno dei racconti che mi ha colpito di più su questa piattaforma.
    E tu a mio parere sei bravo. Ma veramente, mica come uno come me che fatica a mettere insieme tre o quattro parole e alla fine la sua prosa è comunque piatta e artificiale.
    A proposito, non so quanto ci sia di vero nelle battute che mi scrivi ogni tanto, ma hai fatto male ad affezionarti a Moneta, perché lei non esiste affatto e se leggi il suo profilo ti sarà più chiaro.

    Ciao, non smettere di scrivere.
    Per quanto mi riguarda e se il mondo fosse più giusto, potresti tranquillamente farne la tua prima professione, anche se intuisco che il tuo lavoro ti piaccia parecchio. Quindi è giusto così, regalaci qualche emozione ogni tanto.

  • Quindi tutto il racconto non è altro che il sogno fatto da Doug mentre era in coma, solo per evadere la realtà? E tutte le persone che ha incontrato non erano altro che alcune delle persone presenti in ospedale?
    E’ un dannato (in senso buono) colpo di scena!

  • Una storia drammatica, come può essere drammatica la vita di chi deve lottare, giorno dopo giorno, non solo contro il degrado della realtà in cui vive ma, soprattutto, contro la propria impotenza nel vedere un genitore arrendersi alle difficoltà della vita, senza neanche provare ad affrontarla. Il tuo stile da “show, don’t tell”, poi, mi ha risucchiata nello stesso baratro di Doug. Voto per una fine drammatica, non perché penso che non ci sia salvezza per ragazzi come Doug, ma, come tu stesso hai scritto, la vita è destinata a finire. Complimenti davvero.

  • Scusa per il 50 e 50… ma dico inaspettato…. il lieto fine puro non significa nulla… e tu sei molto bravo a fare autoanalisi, introspezione narrativa, sarai abile anche a stupirci sul finale. Interessanti riflessioni sul concetto di famiglia, se solo un terzo del’umana consapevolezza globale la pensasse così, vivremmo in paradiso…

    • Credo anche io Alessandra…
      E’ che c’è quella cosa che si chiama affetto, amore (o giù di lì) che spesso viene messa da parte per soddisfare quello che si crede siano i bisogni personali. Poi guardo negli occhi mia figlia e tutto assume un altro significato.
      Grazie per il tuo graditissimo commento.

    • Grazie Valerio, mi piacerebbe tanto riuscire a dedicare più tempo alla scrittura. La fregatura è che di tempo tra lavoro e famiglia ne rimane davvero poco. Mi darò da fare… anzi facciamo che se nel prossimo racconto vedrò un tuo commento mi impegnerò a pubblicare ogni tre giorni! 😉

  • Un altro pezzo di bravura, Fra’, degno del miglior stile Francica.
    Pura poesia condita con immagini straordinariamente evocative.
    Ammirazione sconfinata, ma lo.sai già 🙂
    Voto Doug segue Jane nel suo appartamento, diamo una chance a questi ragazzi.
    Un abbraccio e a presto 🙂

  • Del tuo racconto, ho apprezzato molto la tua capacità di costruzione delle immagini. Mentre leggo, mi sembra proprio di vedere Doug che cammina per la città e incontra gli individui più disparati. Mi piace il fatto che tu non abbia paura di inserire nella narrazione scene crude, di disperazione e di degrado, pur riuscendo a mantenere intatta la dignità dei personaggi. Anche per quanto riguarda lo stile, a mio parere, sei sulla strada giusta. Bravo!

    • Grazie Elena, felice di aver incontrato il tuo gradimento! Sono dell’opinione che la vita è prevalentemente un piatto di cruditè dove di tanto in tanto ti capita di assaporare qualcosa di dolce. Sono un infermiere quarantenne e da venti lavoro in pronto soccorso e 118 e la tragedia è diventata negli anni qualcosa di tangibile, concreto, quasi qualcosa da poter toccare con mano. La salvezza sta proprio nel fatto di esorcizzarla ricercando la poesia negli angoli più bui, tra le lacrime di una madre, in quella fiamma di luce che rimane negli occhi di chi se ne va e la malinconica pietà di chi resta, nella speranza che sgorga dal cuore di chi ce la fa, magari per un pelo ma ce la fa. Chiamare le emozioni con il loro nome e render loro la dignità che comunque meritano giustifica l’evento, dà allo stesso un significato che lo rende concepibile e quindi accettabile, il motivo vero per il quale comunque (tra sangue, acciaio, vetro cemento e sporcizia) la vita va avanti. Vivo quindi in una palude di emozioni forti e travolgenti che cerco di descrivere, se poi anche lo stile piace non posso che esserne felice! Grazie per avermi dedicato il tuo tempo, alla prossima!

  • Uaoo!

    Complimenti. Sei riuscito a prendermi con una storia che descrive “una merda”. Ovviamente la storia non è così. 🙂

    Anzi è molto bella per il capitolo che ho letto. Descrive un mondo. Descrive un modo di vedere triste di Jane e la innocenza di Doug (che alcuni potrebbero vedere come una ingenuità, me stesso forse, mio malgrado). 🙂

    Certo è che ti seguo se prosegue con questo modo ipnotico di scrivere. Ciao! Au revour! 🙂

    • E’ prorpio nella “merda” che Doug si muove in questa notte di avventure lontane dal suo consueto, nonchè tristissimo, modo di vivere per addentrarsi in un mondo altrettanto ai limiti ma non per questo meno sincero o capace di emozioni. D’altronde non è dal letame che nascono i fiori? (F. de Andrè)
      Grazie per il tuo commento e alla prossima. 🙂

  • Sai Francesco, questo tuo racconto mi ha stupito prrché trovo che tu l’abbia scritto in uno stile molto diverso da quello che, almeno io, credevo di conoscere. Ma a tratti riaffiora,e lo valorizza alquanto, la tua vena poetica di sognatore controvento. E leggerti è, in ogni caso, bellissimo. Mi piacciono le opzioni del tetto e l’amore sul tavolo con le candele, ma voto per quest’ultima, molto romantica. A presto 🙂

  • Grazie a tutti di cuore per aver dato uno sguardo ai bordi delle strade. Credo che sia venuto il momento di colorare un po’ il racconto… Dave lo ha salvato dall’alienazione della tristezza e Doug verrà aiutato in ogni incontro finché non capirà che le strade vanno percorse sì ma sopratutto vanno scelte.

  • Come immaginavo, non deludi mai. In questa storia si ritrovano gli elementi a te più cari, la musica in primis e la tua rara sensibilità verso gli “ultimi della terra”.
    Sembra quasi di sentirla quella fisarmonica e il suo blues…
    Ho votato l’opzione in cui Dave muore, dispiace, ma è necessario… Buon proseguimento e a presto! 🙂

  • Ciao! 😉
    Non sarebbe male un elemento drammatico in cui vediamo Dave morire nel suo cartone e Doug che suona qualcosa per lui e se ne va malinconico… per poi ovviamente aprirci a nuove strade e nuove idee attraverso il suo viaggio…. 😉
    Continua a piacermi molto il tuo modo di raccontare.

  • Direi che Dave e Doug parlano tra loro, sorseggiando della birra. Dave però è malato (di cancro? Di cuore?) e regala la sua armonica a Doug, prima di morire, decidendo cosa fare della sua vita: il musicista blues. Magari prima di successo, poi finisce per strada come Dave.

  • Dean, Doug, Dave. Non ti ricorda din don dan? Diversifica sempre i suoni, oltre alle immagini, altrimenti confondi il lettore. Però bello… molto sentito e vivido questo scenario che hai creato. Leggerò la storia.
    Ora vorrei sentire un blues…
    Benvenuto 😉

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