Quattro passi di là

Dove eravamo rimasti?

Come risponderà Doug alla proposta di Andrew? Accetterà solo se Joy e Jane decideranno di restare (50%)

Casa e Sangue

Com’è fatta una famiglia? Che cosa è una famiglia?

La culla dove puoi lasciare alle spalle le preoccupazioni e abbandonarti alle cose buone della vita, ai suoi profumi di pane caldo e uova che friggono in padella, alle carezze di una coperta di flanella sui piedi nudi mentre riposi sul divano, ai sorrisi allegri mentre tua sorella balla in tutù il Bolero di Ravel fingendo di essere una ballerina dell’etoile, ai rapimenti dell’immaginazione mentre tuo padre racconta quello che gli è successo al lavoro e tu non hai orecchie che per lui, ai dolci e severi sguardi di tua madre che potranno essere duri e rigorosi ma non smetteranno mai di dirti che ti ama e che non esiste al mondo altro amore più grande di te. 

Ecco cosa è una famiglia: è amore allo stato più elementale, naturale e elegante che esista, l’evoluzione di ciò che inizia con la chimica degli ormoni e si sublima in una fiamma animistica e spirituale nella pura energia del bene.

Per Doug il calore di quella fiamma è da tempo un ricordo lontano: una  macchinina di metallo rossa che si scontra con un camioncino verde su un tappeto tra il divano e la TV mentre mamma in cucina prepara la cena e suo padre fa finta di ascoltare il notiziario e spia i suoi giochi per capire quanto tempo è passato da quella fantasia che ora rinasce dalle manine di suo figlio. Finché non arriva un giorno una notizia che come un innesco appicca una lenta combustione che piano inizia a incenerire tutto quanto: tempo per il gioco, le gustose cenette di mamma, la presenza stessa di mamma a casa, la serenità sul volto del padre che piano scioglie gli sguardi di ammirazione nei suoi confronti annacquandoli sempre più spesso nell’alcool.

Finché si spegne definitivamente tutto con una semplice parola. Morte.

Eppure da una settimana a questa parte Jane che rientra con i sacchetti della spesa tra le braccia e si richiude la porta alle spalle dandole un calcetto con il tallone, Joy sempre indaffarato (o indaffarata, non è ancora ben chiaro in testa con che occhi guardarlo…) in cucina a sminuzzare erbette che inondano l’ambiente di odore di timo, salvia, basilico e pomodoro, Andrew che esce dal suo studio dopo ore di estasi creativa a suon di blues e rock con cento sfumature di colori tra i suoi capelli bianco argento, e le giornate di estate che entrano dalle immense finestre con una valanga calda di luce accendono nella sua memoria dei sussulti che ricordano i momenti passati sul piccolo morbido tappeto tra la TV e il divano.

Che cosa è una famiglia? E’ il posto dove puoi startene seduto in poltrona accarezzando un gatto che ti ricambia con le fusa e che hai chiamato Serenità.

Ed ecco che un’avventura iniziata con un  duro colpo, una bottiglia che si infrange sul muro e una porta di legno che a stento resta su dopo essere stata violentemente sbattuta, piano si trasforma in un angolo di psichedelica normalità.

E piano sparisce la paura e si dissolve la rabbia tra le braccia di Jane, tra i sorrisi di Joy, tra i discorsi sospesi tra il folle e il geniale di Andrew.

Ma ciò che inizia deve finire, come in qualsiasi cosa che ha radici nell’animo umano, che si chiami morte, malattia, sfiga o come cazzo ti piaccia di chiamarla il significato è sempre quello: fine. Nasci muori, ti innamori ti scordi di lei, inizi e finisci. Non importa poi se sei nel mezzo del cammino con tutto il tuo bagaglio di entusiasmo e voglia di continuare, prima o poi arriva e la riconosci come qualcosa che da adesso in poi cambierà le cose. La fine. 

Per Doug poi arriva, con un nome un cognome ben preciso, ripetuta in centinaia e centinaia di giorni sempre uguali, ferma all’angolo di una strada dove cammini spensierato mano nella mano con qualcuno che hai appena scoperto incarnare l’amore, lui sapeva che prima o poi sarebbe arrivata, solo non ci pensa, sospeso tra la luce calda del tardo pomeriggio, il brillare negli occhi di Jane e l’odore dei suoi capelli. Ma la fine ha sempre un modo spettacolare per palesarsi. 

“DOVE CAZZO SEI STATO BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA … ?” 

Che senso può avere lo sbraitare ubriaco in una strada trafficata vicino ai cantieri di vetro e cemento mentre cammini mano nella mano con un sentimento mai conosciuto? Doug pensa a Jane e non sente nulla…

“FAI FINTA DI NIENTE…? HEY! DICO A TE PICCOLO BASTARDO!”

Doug si ferma e tira a sé la dolce Jane, le cinge la vita con un braccio mentre con l’altro si allunga per cercarle i capelli e la nuca, Jane sorride perché sa che quello è un momento di astinenza del suo Doug, ride, porge le labbra e si abbandona ad uno di quei giochi tra innamorati aspettando quel bacio appassionato che non arriverà.

Lo sguardo profondo di Doug si spegne nel vuoto, la presa perde improvvisamente di forza, qualche scheggia di vetro vola ai lati del volto di Jane, Doug crolla a terra esanime. Oltre le sue spalle un uomo di mezza età stringe in pugno il collo infranto di una bottiglia di birra, respira forte alcool e rabbia. Sulla pettorina della tuta da operaio è stampato il suo nome: Dean.

Come finirà questa storia?

  • Ci sarà un lieto fine. (33%)
    33
  • In modo drammatico. (17%)
    17
  • In modo inaspettato. (50%)
    50
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74 Commenti

  • Ciao Francesco,

    La storia mi è piaciuta tutta, il finale mi ha commosso.
    Direi che è poetica. Ci sono immagini, è disseminata di immagini veramente belle ed efficaci. È uno dei racconti che mi ha colpito di più su questa piattaforma.
    E tu a mio parere sei bravo. Ma veramente, mica come uno come me che fatica a mettere insieme tre o quattro parole e alla fine la sua prosa è comunque piatta e artificiale.
    A proposito, non so quanto ci sia di vero nelle battute che mi scrivi ogni tanto, ma hai fatto male ad affezionarti a Moneta, perché lei non esiste affatto e se leggi il suo profilo ti sarà più chiaro.

    Ciao, non smettere di scrivere.
    Per quanto mi riguarda e se il mondo fosse più giusto, potresti tranquillamente farne la tua prima professione, anche se intuisco che il tuo lavoro ti piaccia parecchio. Quindi è giusto così, regalaci qualche emozione ogni tanto.

  • Quindi tutto il racconto non è altro che il sogno fatto da Doug mentre era in coma, solo per evadere la realtà? E tutte le persone che ha incontrato non erano altro che alcune delle persone presenti in ospedale?
    E’ un dannato (in senso buono) colpo di scena!

  • Una storia drammatica, come può essere drammatica la vita di chi deve lottare, giorno dopo giorno, non solo contro il degrado della realtà in cui vive ma, soprattutto, contro la propria impotenza nel vedere un genitore arrendersi alle difficoltà della vita, senza neanche provare ad affrontarla. Il tuo stile da “show, don’t tell”, poi, mi ha risucchiata nello stesso baratro di Doug. Voto per una fine drammatica, non perché penso che non ci sia salvezza per ragazzi come Doug, ma, come tu stesso hai scritto, la vita è destinata a finire. Complimenti davvero.

  • Scusa per il 50 e 50… ma dico inaspettato…. il lieto fine puro non significa nulla… e tu sei molto bravo a fare autoanalisi, introspezione narrativa, sarai abile anche a stupirci sul finale. Interessanti riflessioni sul concetto di famiglia, se solo un terzo del’umana consapevolezza globale la pensasse così, vivremmo in paradiso…

    • Credo anche io Alessandra…
      E’ che c’è quella cosa che si chiama affetto, amore (o giù di lì) che spesso viene messa da parte per soddisfare quello che si crede siano i bisogni personali. Poi guardo negli occhi mia figlia e tutto assume un altro significato.
      Grazie per il tuo graditissimo commento.

    • Grazie Valerio, mi piacerebbe tanto riuscire a dedicare più tempo alla scrittura. La fregatura è che di tempo tra lavoro e famiglia ne rimane davvero poco. Mi darò da fare… anzi facciamo che se nel prossimo racconto vedrò un tuo commento mi impegnerò a pubblicare ogni tre giorni! 😉

  • Un altro pezzo di bravura, Fra’, degno del miglior stile Francica.
    Pura poesia condita con immagini straordinariamente evocative.
    Ammirazione sconfinata, ma lo.sai già 🙂
    Voto Doug segue Jane nel suo appartamento, diamo una chance a questi ragazzi.
    Un abbraccio e a presto 🙂

  • Del tuo racconto, ho apprezzato molto la tua capacità di costruzione delle immagini. Mentre leggo, mi sembra proprio di vedere Doug che cammina per la città e incontra gli individui più disparati. Mi piace il fatto che tu non abbia paura di inserire nella narrazione scene crude, di disperazione e di degrado, pur riuscendo a mantenere intatta la dignità dei personaggi. Anche per quanto riguarda lo stile, a mio parere, sei sulla strada giusta. Bravo!

    • Grazie Elena, felice di aver incontrato il tuo gradimento! Sono dell’opinione che la vita è prevalentemente un piatto di cruditè dove di tanto in tanto ti capita di assaporare qualcosa di dolce. Sono un infermiere quarantenne e da venti lavoro in pronto soccorso e 118 e la tragedia è diventata negli anni qualcosa di tangibile, concreto, quasi qualcosa da poter toccare con mano. La salvezza sta proprio nel fatto di esorcizzarla ricercando la poesia negli angoli più bui, tra le lacrime di una madre, in quella fiamma di luce che rimane negli occhi di chi se ne va e la malinconica pietà di chi resta, nella speranza che sgorga dal cuore di chi ce la fa, magari per un pelo ma ce la fa. Chiamare le emozioni con il loro nome e render loro la dignità che comunque meritano giustifica l’evento, dà allo stesso un significato che lo rende concepibile e quindi accettabile, il motivo vero per il quale comunque (tra sangue, acciaio, vetro cemento e sporcizia) la vita va avanti. Vivo quindi in una palude di emozioni forti e travolgenti che cerco di descrivere, se poi anche lo stile piace non posso che esserne felice! Grazie per avermi dedicato il tuo tempo, alla prossima!

  • Uaoo!

    Complimenti. Sei riuscito a prendermi con una storia che descrive “una merda”. Ovviamente la storia non è così. 🙂

    Anzi è molto bella per il capitolo che ho letto. Descrive un mondo. Descrive un modo di vedere triste di Jane e la innocenza di Doug (che alcuni potrebbero vedere come una ingenuità, me stesso forse, mio malgrado). 🙂

    Certo è che ti seguo se prosegue con questo modo ipnotico di scrivere. Ciao! Au revour! 🙂

    • E’ prorpio nella “merda” che Doug si muove in questa notte di avventure lontane dal suo consueto, nonchè tristissimo, modo di vivere per addentrarsi in un mondo altrettanto ai limiti ma non per questo meno sincero o capace di emozioni. D’altronde non è dal letame che nascono i fiori? (F. de Andrè)
      Grazie per il tuo commento e alla prossima. 🙂

  • Sai Francesco, questo tuo racconto mi ha stupito prrché trovo che tu l’abbia scritto in uno stile molto diverso da quello che, almeno io, credevo di conoscere. Ma a tratti riaffiora,e lo valorizza alquanto, la tua vena poetica di sognatore controvento. E leggerti è, in ogni caso, bellissimo. Mi piacciono le opzioni del tetto e l’amore sul tavolo con le candele, ma voto per quest’ultima, molto romantica. A presto 🙂

  • Grazie a tutti di cuore per aver dato uno sguardo ai bordi delle strade. Credo che sia venuto il momento di colorare un po’ il racconto… Dave lo ha salvato dall’alienazione della tristezza e Doug verrà aiutato in ogni incontro finché non capirà che le strade vanno percorse sì ma sopratutto vanno scelte.

  • Come immaginavo, non deludi mai. In questa storia si ritrovano gli elementi a te più cari, la musica in primis e la tua rara sensibilità verso gli “ultimi della terra”.
    Sembra quasi di sentirla quella fisarmonica e il suo blues…
    Ho votato l’opzione in cui Dave muore, dispiace, ma è necessario… Buon proseguimento e a presto! 🙂

  • Ciao! 😉
    Non sarebbe male un elemento drammatico in cui vediamo Dave morire nel suo cartone e Doug che suona qualcosa per lui e se ne va malinconico… per poi ovviamente aprirci a nuove strade e nuove idee attraverso il suo viaggio…. 😉
    Continua a piacermi molto il tuo modo di raccontare.

  • Direi che Dave e Doug parlano tra loro, sorseggiando della birra. Dave però è malato (di cancro? Di cuore?) e regala la sua armonica a Doug, prima di morire, decidendo cosa fare della sua vita: il musicista blues. Magari prima di successo, poi finisce per strada come Dave.

  • Dean, Doug, Dave. Non ti ricorda din don dan? Diversifica sempre i suoni, oltre alle immagini, altrimenti confondi il lettore. Però bello… molto sentito e vivido questo scenario che hai creato. Leggerò la storia.
    Ora vorrei sentire un blues…
    Benvenuto 😉

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