La contea delle cose perdute

Gli occhi di Lhinn ed il grande cancello

Il fragore della benna che affondava la sua pala dentata tra i rottami era più forte del rumore del motore della ruspa. A Bigio arrivava ovattato, appena attenuato dai vetri della cabina e ancora più attutito dalle cuffie di protezione che ormai facevano parte del suo volto, come il colore degli occhi, come i capelli sempre più radi sulla fronte, come la sigaretta accesa che penzolava dall’angolo della bocca, come quel modo di strizzare l’occhio irritato dal fumo e come quella sua malinconia con cui conviveva da qualche anno a questa parte. 

Il suo vecchio lavoro impiegatizio se lo era dimenticato, la vecchia azienda aveva chiuso i battenti e lo aveva abbandonato al suo destino. Poco dopo la stessa cosa la fece anche Marta stanca di vederlo affondare nell’apatia. Solo che Marta, Biagio, non l’aveva mai dimenticata e dopo il suo addio l’apatia si incancrenì tra le pieghe della sua mente spegnendo per sempre il sorriso dal volto, fu allora che tutti iniziarono a chiamarlo il Bigio.

Si era quindi inventato un’altra esistenza, lasciò perdere conti, bilanci e computer, si prese un patentino per macchine da movimento terra, assecondando un antico desiderio infantile, e ottenne un lavoro alla discarica della grande metropoli. Spostava rottami e immondizia e spesso considerava il fatto che tra lui e tutto quel pattume non c’era poi tanta differenza. La gente butta via le cose che non gli servavo più ed anche lui era stato rifiutato da un sistema di valori a cui si era completamente affidato.

Solcava con la sua terna gialla colline fetide abitate dai gabbiani nella completa solitudine di una cabina, circondato da ratti e sacchetti di plastica a perdita d’occhio. Quando il sole spariva oltre la torre dell’inceneritore era arrivato il momento di smetterla di accumulare rifiuti e tornava al mondo civile dove camminava radente ai muri, schivo e raccolto nelle sue spalle per evitare pericolosissimi contatti umani. Fu proprio intorno alle sei di sera, di un Settembre inoltrato, con il cielo che inizia ad arrossire, che il Bigio incontrò Lhinn.

Aveva violentemente piantato la benna nel cumulo di rottami, gli aveva fatto tirare su i denti per evitare di spandere in giro troppi detriti ed aveva sollevato il braccio oltre la cabina per avere visibilità di manovra. Se la ritrovò davanti, in piedi nella buca appena scavata, con il suo sguardo sognante il sorriso disteso, apparsa dal nulla, tenendo in braccio il suo grosso gatto nero.

Trasalì lasciando cadere la sigaretta sul pavimento di metallo della cabina, in un momento gli balenò in mente il fatto di averle potuto far del male. Che ci faceva una bambina nel mezzo di un cumulo di rottami? Il volto di Bigio si colorò delle tinte del panico ed iniziò ad urlare: “Hey!! Tu!! Va tutto bene?” da dentro la cabina, sbracciandosi per cercare di catturare la sua attenzione. 

La bimba, poteva avere sei o sette anni, si voltò in direzione dell’uomo con estrema calma, lo guadò dritto negli occhi, gli sorrise ed aprì la sua manina al suo indirizzo in un cenno di saluto. Bigio tirò un sospiro di sollievo nel vedere che la bambina stava bene, poi osservò quegli occhi. Erano occhi grandi nonostante il taglio a mandorla, lontani dall’essere orientaleggianti e di un verde profondo, come bottiglie di vetro ma con screzi dorati e con le sclere bianchissime, quasi luminose. La pelle era diafana, tempestata di lentiggini sul piccolo nasino all’insù e sugli zigomi alti, sopra due finissime labbra pesca che disegnavano un sorriso grandissimo che lasciava intravedere i piccoli dentini bianchi come perle. Sopra la fronte una cascata di riccioli di un estremo rosso acceso ed infuocato le cadeva ai lati del viso sparendo oltre le spalle. Indossava un grosso maglione di lana grezza a treccioni panna e arancio che le scendeva oltre i fianchi e dal quale spuntava quel che si poteva vedere di un vestito di velluto a costoni verde, lungo oltre le ginocchia dal quale spuntavano due gambette magre e nude che si tuffavano in un paio di scarponcini di cuoio sopra misura.

“…scusa è colpa di Oblio, il mio gatto, è scappato fuori dal cancello alla ricerca delle sue amiche rondini… ma ora l’ho ritrovato… mi riaccompagni a casa?”

Bigio le allungò la mano e fece salire la piccola e il suo gatto sulla ruspa puntando in direzione del piazzale. 

“… dove vai? Non abito da quella parte io… per piacere, Bigio, gira intorno a questa collina…” 

“Come sai il mio nome?”

” Beh… è scritto sulla ruspa… anche se non è il tuo vero nome vero?” 

Bigio si sorprese dall’accenno di sorriso spuntatogli sul volto, tra il pensiero di quella scritta dipinta dai colleghi e l’idea che la bimba volesse fare un giro sulla sua ruspa. Allora girò il volante e puntò nella direzione indicata dalla piccola: “E tu come ti chiami piccina?”

“Io sono Lhinn, ed abito là…” Indicando  con il dito un enorme cancello di rame inverdito a foggia di foglie, frutti e rami che sparavano in alto tra spuntoni e riccioli raccolti al centro dei  grossi battenti.

Cosa volete conoscere prima di tutto?

  • La storia del cassetto del comodino (9%)
    9
  • Il teatro degli ombrelli (18%)
    18
  • La storia del gatto,le rondini ed il lampione. (73%)
    73
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148 Commenti

  • Finale perfetto per questo racconto, che mi rimarrà in testa e da qualche altra parte più profonda per tanto tempo. Tutti i capitoli sono stati una sinfonia di colori e sensazioni, ed è bello finire con la musica ed un totale trionfo di Biagio (finalmente per lui, ma anche per Lhinn). Adoro il tuo modo di descrivere e di creare delle immagini che non sono solo visive, ma che riescono ad avere un impatto più consistente su chi legge.
    Quasi mi dispiace che tutto sia finito, mi sarebbe piaciuto vedere anche i luoghi che hai proposto ma che non sono stati scelti per il viaggio. Un giorno, forse.
    Grazie per la tua storia. Magari la leggerai a tua figlia…?

  • Mi ero persa il finale: ogni tanto le notifiche evaporano nel nulla.
    Un vero trionfo, ma lasciami dubitare del fatto che gente come Marta e il “boss” siano abbastanza sensibili da afferrare il trionfo di Biagio. Non può contarsi in banconote e bling bling, quindi per loro non vale.Il che non toglie nulla al trionfo. 🙂
    Alla prossima.

  • Uhm, Marta mi ha ricordato la claretta vestita di pantaloni giaguardami e tigraffierei, per non parlare del gerarchetto con spalline anabolizzate con cui si accompagna.
    Grande finale, mi aspettavo qualcosa del tipo ‘Tutti quanti voglion fare jazz’ degli Aristogatti ma così è molto più significativo e elegante.
    Che dire? Bravo!
    Ogni capitolo è un affresco vivido e fantasioso e la morale sottesa in tutto il racconto è merce rara in questi tempi moderni.
    Ciao Francesco, spero di rileggerti presto!

  • Ciao Francesco
    Un finale bello, un trionfo elegante.
    La tua storia mi rimane nel cuore: le atmosfere, il sentimento vero, depurato da retoriche inutili, la potenza evocativa di molte immagini e la sfrenata fantasia.
    Ti ammiro, anche perché la tua è una storia semplice, pura, positiva.
    Per il mio cinismo l’avrei messa tra le fiabe, perché mi piacciono molto i ‘lieto fine’, ma li vedo possibili solo nei mondi paralleli della cinematografia americana o nelle storie di pura fantasia. ‘Beh, allora è cretina, se pensa che la mia non sia storia di fantasia le manca qualcosa di importante!’ penserai. E allora mi spiego: l’ambiente allegorico del tuo racconto è certamente di fantasia, ma ciò che ci sta dietro, o dentro, è un mondo autentico, un mondo dove le persone amano, soffrono, sbagliano. Non un mondo di celluloide di sorrisi stereotipati, di relazioni studiate a tavolino per coinvolgere il maggior pubblico possibile, di ammazzamenti a raffica e supereroi senza macchia o di supereroi macchiati ma in modo tale che sono affascinanti pure le macchie e portano ancora più pubblico pagante nei cinema.
    Ricorderò la tua storia.
    Ciao ciao

    • A dire il vero avevo in tasca solo due opzioni… il vissero tutti felici e contenti l’ho buttato lì per dare la terza opzione sperando che facesse storcere il naso ai più. Obiettivo centrato, e dato che tutti siamo d’accordo con il trionfo finale significa che ci siamo davvero affezionati ai personaggi. Grazie di cuore. 🙂

  • Per favore, forse è scontato o non ti piace, ma non ho potuto fare a meno di votare per il trionfo finale. Si meritano un po’ di felicità, tutti quanti. Insieme Lhinn e Bi(a)gio avranno quello che è loro mancato 🙂
    Ed ecco Bigio/Biagio che sconfigge i suoi demoni! 😀 Alla riscossa! Mi aspettavo che la musica fosse davvero di armonica, quando ho aperto il link, ma va bene così.
    Aspetto il gran finale!

  • Ovviamente trionfo!!! ^__^
    Bellissimo questo capitolo, forse il mio preferito.
    La lotta di Bigio e l’abbraccio di Lhinn: semplicemente meravigliosi!
    Bravo! Al gran finale! 😉

    PS: “Biagio prese in braccio Lhinn, lei lo strinse forte singhiozzando dallo spavento.
    “Non piangere piccolina, ci sono io qui con te…”” – frase bellissima, mi sono commossa! 🙂

  • Ma quale finale tragico, ma chi vuoi prendere in giro? Sai che i tuoi lettori non lo sceglierebbero mai! Felici e contenti andrebbe bene, ma ‘trionfo’ dà più l’idea di festa scanzonata, mi ricorda la notte jazz degli aristogatti. Quindi trionfo, per me, grazie!
    Infine, nella contea ciò che qualcuno ha perso può trovare altre persone in grado di dargli nuova vita. È uno scambio alla pari, a quanto vedo, perché Bigio, no, da ora in poi è Biagio, e Lhinn si sosterranno a vicenda, una tornerà al mondo, l’altro colorerà il proprio, tingendolo, guarda caso, con le tinte spettacolari di una piccola vita di cui sarà il custode. E a cui dovrà pulire le chiappe per anni, ci ha pensato Biagio? 😀
    Aspetto il finale!
    Notte notte!

    • Le chiappette di mia figlia sono l’orgoglio del papà (che a dire la verità è un po’ preoccupato per il futuro, ma ho già provveduto con l’acquisto di una splendida carabina!!! 😉 )
      Anche io pensavo ad una trionfale festa in musica, credo che abbiano aperto un locale giù alla contea, chissà che roba suonano.

  • “La collina planava dolce verso la riva”. Non so perché questa frase mi sembrava perfetta! Così come il suono del mare di sottofondo per tutto il racconto. Sono tentata di lasciarlo mentre studio 🙂
    “La osservò sorridere con gli occhi e pensò a quanto fosse facile far sgorgare la gioia dal cuore di un bimbo. Poi, intenerito dallo sguardo gioioso, le allungò una mano tra i capelli, accarezzandoli”. Questo è il papà che sei, vero? Lo trovo delicato e dolcissimo.
    Voto perché siano Bigio e l’armonica ad affrontare Marta. Adoro questo racconto e sono contenta che tu sia tornato 🙂

  • Eccolo! Temevo fossi sparito! 🙂
    Ottima l’idea di unire Speranza e Marta. Mi piace tantissimo come descrivi le scene ed adoro sia Lhinn che i gatti (oltre a Bigio). ^_^
    Io voto Bigio che così fa l’enplain, ma un aiuto da parte dei gatti (che son lì per quello) glielo farei fare. Non ti azzardare ad ammazzarmi Lhinn, grazie!

    Mi chiedo come vorrai far finire questa splendida storia e se avrai intenzione di farne un seguito.

    Ciao 🙂

  • Francesco!
    Mi pare di non leggerti da mesi, e forse è vero, ma scopro di essermi perso un solo capitolo! Beh, meglio così. Vedo che i paragoni con Benni fioccano e ne capisco il motivo, ma se posso essere sincero c’è una cosa che ti mantiene piuttosto distante dal Lupo: il ogni suo racconto c’è un’ironia soffusa, che mitiga la malinconia o il cinismo di certe situazioni. Qui l’atmosfera è malinconica senza molti contraltari. Ovviamente dovresti rispondermi: ma vedi di farti un po’ gli affari tuoi, sarà affar mio come scrivo! E avresti assolutamente ragione. No, non lo scrivo certo per criticare in alcun modo il tuo stile. L’ho scritto solo perché leggendoti mi è venuto spontaneo sperare che alla fine Bigio ‘esploda’ di mille colori, facendo festa con… che so, coi gatti, magari ingroppandosi una passante consenziente o facendo orgoglioso outing davanti alla sede dei nazisti dell’Illinois. Cose così.
    Insomma, tifo per Bigio e lo voglio vedere felice!
    A presto!

  • Che razza di domanda: lo affronta Bigio, il viaggio è suo, la vita è sua.
    Ciao,
    L’ho quasi sentita sulla pelle l’afa di questa estate interiore.
    Molto bella e poetica la descrizione del mare e della spiaggia. La poesia è una tua costante.
    Ciao Ciao

  • Sarà la scelta scontata, ma bisognerà che la affronti da solo, a suon di armonica se può aiutarlo.
    La manina appiccicosa di ghiacciolo squagliato mi ha fatto sentire a casa, anche in un mondo onirico come quello della tua storia.
    Davvero un peccato che la fine sia già così vicina, mi piace molto questa contea.

  • La perdita della speranza di una vita che sappia concedere un po’ di felicità.
    Cavoli se mi ricorda Elianto! E’ un viaggio all’interno della sua stessa mente, per curare una malattia che per molti è terminale.
    Bravo, complimenti, scusa il ritardo nella lettura ma ero molto impegnata ultimamente.
    Ciao Ciao

  • Cavoli, mi ero persa il capitolo della mongolfiera. Ero un po’ indecisa tra Marta e la speranza, poi ho deciso Marta. Innanzitutto, sembra essere il suo grande dolore fin dall’inizio della storia, e poi, affrontando i propri dolori, la speranza orna ad accendersi da sola, no?

  • La speranza, credo sia indispensabile per superare le altre due difficoltà…così come molte altre cose della vita…

    Bellissimo capitolo e Jimy taciturno e protettore degli strumenti musicali mi piace molto!
    Attendo il prossimo!

  • Bellissimo questo pezzo sulla mongolfiera e il sapore/colore della nuvole.
    Mi permetto solo una critica, un racconto che finisce con la melodia che hai scelto non può iniziare con la parola ” ravanò “, molto più adatta alle mani nelle tasche dell’ultimo avventore della bettola di periferia che al vestitino di velluto di un sogno di bambina!! 😉
    Voto parole e suoni

  • Andiamo a scoprire parole e note.
    Felice di averti ritrovato grazie a un tuo commento in giro…
    Però, cavolo, Francesco, tu sei davvero un poeta strappato al mondo del sognatori veri e piombato in mezzo a noi disincantati per salvarci tutti dal regno del cinismo. Penso che darei qualunque cosa per sentirti raccontare questa storia con la tua voce.
    Se ti seguo? In capo al mondo.

  • Meraviglioso! Forse il mio preferito, fino ad ora. Sono felicissima di aver votato questo e di averlo visto realizzato. Davvero onirico, un po’ bambino, un po’ malinconico. Poi quando ho aperto il link di youtube e ho trovato Hoppípolla mi sono stupita che la conoscessi, ma ho apprezzato moltissimo il finire di leggere con la musica in sottofondo. Questa musica 🙂
    Voto per prateria, parole e note! Sorprendici ancora!

    Nota di correttrice: “nella quale, lesti ed eccitati, i gatti vi balzarono in un baleno”. Nella quale vi è una ripetizione. Via il vi, prima di pubblicare con Feltrinelli, mi raccomando 😉
    “L’uomo prese tra le braccia Lhinn che teneva stretta il mandolino” (teneva strettO). Poi ad un certo punto ci sono due “e” di fila.

  • Definirei rassicurante la tua scrittura…la vena malinconica dà il giusto contrasto alle immagini evocate. La panchina LOGOS l’ho trovata molto interessante, diamo troppa poca importanza ai luoghi in cui accadono le cose e di cui però gli oggetti necessitano per impregnarsi di ricordi e sentimenti…o, come nel caso del mandolino, per aprirsi e raccontare la propria storia…

    Per i sentimenti e le immagini che riesci ad evocare mi hai ricordato un pò (anche se è sicuramente meno conosciuto di Benni) come racconta Davide Van de Sfroos nei suoi libri…

    Complimenti davvero e voto il bar ma solo perchè soffro di vertigini!

    • Caspita, il Bernasconi!!!
      Sinceramente lo conosco molto di più per le sue canzoni che in effetti sono davvero dei disegni fantasiosi fatti di parole e suoni:
      “Sugamara cuore diesel
      cun t’i zanzari in del cervel
      vita storta, senza filtro
      sistemata col martell”
      Ma devo davvero leggerlo qualche suo libro. Grazie anche per il paragone a Benni che reputo più uno dei miei supereroi preferiti che uno scrittore (una cosa tra batman e paperoga).
      Sto in effetti infilando tutta una serie di simboli all’interno del racconto e la panchina è uno di quelli: la Cornucopia che vomita lettere alla rinfusa che si concretizzano nel Logos, la scelta, il racconto, il pensiero.
      Non preoccuparti poi per le vertigini, il volo sarà solo sensoriale, avremo tempo di bere qualcosa insieme al bar…

  • Malinconico e dolce questo episodio del mandolino. Ma, forse sono ottusa, quali sono le parole smarrite? Ho letto un amore smarrito, un figlio dovuto abbandonare, dei ricordi serbati in segreto, ma le parole smarrite? Sono quelle di Lhinn?
    Sono poco originale, mongolfiera di carta.

    • Poco originale? Ma chi non vorrebbe volare a bordo di una lanterna?
      Le parole perdute sono quelle dell’emozione imprigionata e custodita dall’oggetto che, ormai dimenticato, finisce nella contea e ritrovano una strada attraverso le parole di Lhinn, la quale si fa rapire dall’emozione catturata dai mici. L’emozione trova una strada ma come tutte le emozioni possono muovere ad un’azione impulsiva e devastante (il varano) oppure, riconosciute e metabolizzate da istinto (Lapsus), ragione (Senno) ed esperienza (Oblio), possono dare origine ad un accrescimento nel racconto. Le parole sono perdute nell’emozione ma trovano strada nella panchina di pietra che da cornucopia si tramuta in parola o scelta (Logos).

  • Porteranno il mandolino alla mongolfiera di carta.
    Ogni capitolo è un collage di immagini vivide e suggestive, sotto la nota malinconica si cela la gioia o almeno il sollievo che porta l’elaborazione di un lutto.
    Ciascun ‘estinto’, dapprima rifiutato, si consegna infine al ricordo di qualcuno che ne farà tesoro.
    Leggo dapprima triste, poi mi rassereni.

    Ciao Ciao

  • Ciao, la tua storia resta sempre bellissima e affascinante, e decisamente inventiva! Ma scusami se mi permetto una criticuzza: i congiuntivi! Nonostante rifiorissero, non rifiorivano.
    Per il voto, dopo le scelte sbagliate, è il momento delle parole perdute. Sono così tante…

  • Mi hai fatto pensare alla scuola materna, quando la maestra insistette così tanto per farmi assaggiare l’arancia che da allora ne odio pure l’odore. Hai un gatto che mi possa aiutare? Bello, come i precedenti. Qui non ho capito da dove viene fuori la ruspa 😉

    Ciao Ciao

    • A dire il vero ne ho due ed uno è uguale a Lapsus. Ma è tutta una metafora del controllo delle emozioni. Lapsus è il riaffiorare delle emozioni: quel dejavu che non ti spieghi ma che ti toglie il fiato. Senno è la dolce gattina bianca che da un nome all’emozione: la ragione. Oblio è la conquista dell’esperienza, la memoria esperienziale che ti aiuta ad affrontare le sfide di tutti i giorni. E l’oggetto è un transfert. Quei gatti li possiedi anche tu. Ma non dirlo a nessuno. Per la ruspa ti rimando al primo episodio. 😉

  • Leggere le tue parole è un po’ perdere il contatto con la realtà, e questo è bene sopratutto per un fantasy.
    Mi piace che Bigio abbia partecipato, vorrei capire perchè è finito in questo mondo. Cos’è Bigio, se il varano era un liuto?
    Notiziona, non voglio più venire a teatro (:-)!), mi siederò in attesa su questa panchina di pietra.
    Alla prossima.

  • Ciao!
    Questa storia mi piace sempre di più. Ho come l’impressione di immergermi in un altro mondo, incantato e sconosciuto, che cattura e coinvolge. I gatti che parlano, gli alberi e il laghetto hanno il sapore di una fiaba e si scontrano con la tristezza e il grigiore della realtà. Lui che si vede malinconico, ma soprattutto la scoperta della vera identità di Lhinn: lei non è mai esistita, è una scelta sbagliata. Emozionante! Bravissimo!
    Alla prossima!

  • Meraviglioso, non me l’aspettavo affatto! Una scelta sbagliata; qualcuno che sarebbe esistito se…
    C’è sempre questa aura di mistero e un sapore di magico, nostalgico, polveroso (nel senso migliore del termine, bada bene!) tra le tue parole ed è davvero affascinante perdervisi.
    Voto il teatro degli ombrelli, anche se il cassetto del comodino mi incuriosiva: ci sarebbe stato dentro un qualche sogno riposto e non realizzato?

    Da correttrice ufficiale di bozze, ti segnalo un “tpiù” che ti è caduto dentro (è qui: Tre torri abbracciavano un edificio centrale e dalla tpiù grande sulla sinistra si apriva un terrazzo affacciato sull’acqua) e, come JAW, che alcune frasi sono un po’ lunghe. Spezzandole anche solo con un punto e virgola, sarebbe più facile leggerle 🙂

  • Sono affascinata da cos’è Lhin, una scelta sbagliata. Davvero una bellissima invenzione e una fiaba stupenda. Spero che anche Bigio si colori un po’ e non rimanga sullo sfondo.
    “Ad ogni alito di vento i soffioni rilasciavano nuvole di pappi che assumevano in aria volteggiando ora la forma di un treno ora la forma di un elefante, ora di aeroplano.”
    Questa a mio avviso la frase più bella.
    Cosa ho votato? Inutile dirlo!!! 🙂

  • Ciao,
    Mi è piaciuto questo capitolo pieno di ‘invenzioni’ e immagini struggenti. L’atmosfera incantata permane, alcune frasi non scorrono proprio lisce, molto lunghe e con poca punteggiatura: dai l’idea di averla scritta di getto, anche questo è notevole vista la ricchezza dei contenuti.

  • Io so’ dura…rivoto il teatro degli ombrelli, anche se ho molto apprezzato la storia della bambina…
    Anche mi viene il dubbio che solo in apparenza sia una bambina. Alla frase “Lhinn tu non puoi sapere com’era fatto il Lampione…. non eri ancora nata quando…” .Svicola, cambia discorso….
    Bravo sempre più curiosa.

      • Mamma mia, devo prendere sul serio l’invito? Non sai a cosa vai incontro… Temo che mi odierai a morte, dopo questo, ma io ci provo lo stesso e lavoro 😀

        In questa frase molto lunga (Ai lati i due grandi battenti montavano su colonne di pietra alte circa tre metri sovrastate dai resti di due gatti di marmo che reggevano tra le zampe targhe sulle quali si intravedevano ancora incise le parole “Lapsus” e “Senno”) avrei messo un paio di virgole, ma perché a me piacciono e staccano un po’ le parole lasciando che l’occhio si riposi. Sono come un cuscinetto per farti prendere “fiato”.

        Nella riga subito sotto c’è un “trai” invece di “tra i”.

        In “Lanciò un miagolio pietoso e struggente tanto da impietosire le povere rondinelle” c’è una ripetizioncina.

        “Bigio è sì un felino degno della specie”… Panico! Bigio o Oblio? Ho pensato per un attimo che Bigio fosse un gatto umanoide.

        Concludo dicendo che mi piace un sacco questa storia, che adoro le parole che usi e che trovo il tutto onirico e poetico. Veramente, non è per addolcire la pillola! 😀
        La prossima volta farò la semplice lettrice e non la professorina rompiscatole, se no mi cacciano da THe iNCIPIT!

  • Il teatro degli ombrelli…mi attira anche se non è la scelta più votata, ma io ci provo ….
    La storia decolla alla grande, trovo nelle tue parole una capacità di caratterizzazione dei personaggi…. Il tuo Bigio si vede, è quasi vivo con la sua sigaretta che penzola di lato…
    Sono sulla ruspa anche io….partiamo!

  • Ciao,

    Se trovo una bimba tra un mucchio di rottami per prima cosa mi chiedo come è arrivata lì. Gatto e rondini!
    Mi stuzzica molto un aspetto del tuo incipit: dài come l’impressione che il macilento Bigio abbia un atteggiamento molto meno disfattista di quanto voglia trasparire, in sostanza mi pare un uomo che tutto sommato vuole ancora, prepotentemente, sognare ad occhi aperti. C’è un’ottima spiegazione (o ci potrebbe essere!) per la presenza della bambina, per il fatto che conosce il suo nome, ma non è la prima cosa che Bigio pensa. Del resto, lui stesso sta assecondando i suoi sogni infantili e adesso non vede l’ora di condividere il divertimento di un giro in ruspa con la piccola.
    Voglio leggere il seguito, quindi seguo il tuo grigio Peter Pan!

  • Il tuo stile di descrizione mi piace, lo trovo poetico, se posso usare questa parola. Usi molte dislocazioni a sinistra, però, che sono più tipiche del parlato. Sono più immediate, ma forse stonano un pochino con lo stile, appunto, elegante. Mi hai incuriosita fin dal titolo (per questo ho voluto cominciare a leggere). Vediamo che succederà.

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