La contea delle cose perdute

Dove eravamo rimasti?

Come si deve chiudere questa storia? Con un trionfo di Bigio, Lhinn e i gatti. (100%)

L’argento e l’amore

L’auto di grossa cilindrata scivolava nella pioggia del buio della sera, si fermò accostandosi al marciapiede. Lui scese aprendo l’ombrello poi aprì lo sportello di lei e le tese la mano sfoderando un sorriso da grande squalo bianco. Lei ricambiò con uno sguardo che prometteva tanto da due occhi taglienti come bisturi. Si abbracciarono sotto l’ombrello ed iniziarono un concerto di tacchi sui ciottoli dirigendosi verso l’insegna del locale.

“Come hai ottenuto i biglietti? Pare sia il locale più esclusivo della città.”

“Non ci crederai, Marta… Erano nel cassetto della scrivania del tuo ex. Ho traslocato tutto nella nuova sede e mi sono trovato davanti la vecchia scrivania del tuo ex: le cicche attaccate sotto come a scuola, la parola “Marta” incisa sul bordo… Che cosa infantile, che fesso! Ho aperto il cassetto e te li trovo lì, ho chiamato e chiesto se fossero stati ancora validi ed eccoci qua.”

“Strano, non era certo il tipo da serate mondane il vecchio Bigio…”

L’insegna al neon sembrò per un momento tremolare poi riprese subito ad illuminare la sera recitando “La Contea delle Cose Perdute Blues Club”.

All’ingresso un vecchio nero e rinsecchito accoglieva gli avventori suonando un vecchio mandolino: “Dimenticate pure qua il vostro ombrello, signori, dimenticate pure tutto quello che volete, qui lo potrete ritrovare… un giorno…” 

Il locale era buio, i tavolini in sala puntavano tutti al palco, la gente era rilassata e nuvole di fumo salivano al soffitto alto e decorato come la volta di un teatro. 

Si sedettero teatralmente, lui fece il galante, fece accomodare lei, le baciò la mano, le sorrise ma solo con la bocca, lei ricambiò, ma solo con la bocca, ci tenevano a far presente al mondo il fatto che fossero lì.

Lui ordinò una bottiglia delle loro migliori bollicine e chiese al cameriere che tipo di spettacolo fosse in programma per la serata. 

Il cameriere rispose cortese: “Beh, signori… questa è la particolarità del locale: ogni sera uno spettacolo diverso e lo spettacolo dipende sempre da voi.” 

Di fianco al loro tavolo era seduta una donna bellissima con i capelli biondi, la pelle chiarissima e due occhi verde smeraldo, vestita di bianco con un foulard al collo. Sorrideva dolce ad una bimba di circa sei anni con una massa di riccioli rosso fuoco in testa, succhiava con una cannuccia un succo di frutta da un bicchierone grande quasi quanto il suo faccino allegro. 

Marta le osservò, sembravano felici ma di una felicità genuina, qualcosa che nasce dai rapporti umani, da scelte sincere e naturali. Lei la sua felicità se l’era costruita pezzo per pezzo, calcolata al centesimo decimale, realizzata dall’alto del suo tacco dodici e accompagnata da un uomo di successo e chi se ne frega poi se qualcun’altro dovette pagare coi sentimenti la sua felicità. 

Le luci si abbassarono, il brusio di sottofondo andò ad affievolirsi e i le teste si voltarono verso il palco dove avevano preso posto un chitarrista arruffato e grigio e un uomo di colore dagli occhi gialli dietro la batteria. 

Biagio entrò da dietro le quinte, Oblio pestò un ritmo sul Charleston e Lapsus lanciò il primo accordo di chitarra, poi imboccò l’armonica e iniziò a spezzare il fiato alla sala.

Marta e il suo uomo sgranarono gli occhi: “Ma quello non è il Bigio?” 

La donna la tavolo di fianco li fulminò con uno sguardo. 

Rotolavano note dal palco e il blues si materializzava nelle teste ondeggianti degli avventori, nei tacchi che tenevano il ritmo, nei sorrisi rapiti e negli occhi chiusi mandati ad osservare scogliere bagnate dalle onde, praterie spazzate dal vento, nuvole che si rincorrevano in cieli tersi.

Solo Marta e il suo uomo sembravano a disagio. La sorpresa, un malumore misto a senso di inadeguatezza cingeva la gola di lei strozzando il fiato. Lui tremava e dovette posare il bicchiere al tavolo perché la mano destra lo aveva abbandonato. 

Dall’armonica iniziarono a materializzarsi miasmi argentei che volteggiando nell’aria si intrecciarono proprio davanti agli occhi di Biagio. Diede l’ultima nota bendata, liberò la mano dallo strumento e acchiappò al volo la moneta d’argento che aveva preso corpo dai fumi. 

La gente applaudì entusiasta, qualcuno urlò, qualcuno chiese il bis. Biagio scese dal palco e si diresse verso il tavolo di Marta e il vecchio capo: “Ciao Marta, ciao boss.– fece saltare dal pollice il penny d’argento che ruzzolò sul loro tavolo – tenete, questa dovrebbe essere la vostra dignità”

“Bigio ma…”

La bimba del tavolo a fianco si alzò e gli saltò in braccio poi guardò seria negli occhi Marta e le disse: “Si chiama Biagio ed è il mio papà”

La donna bionda dalla pelle diafana si strinse ai due come una gatta sorridendo all’indirizzo di Biagio.

“Come sono andato, Senno?”

“Devi enfatizzarle quelle note in minore, tesoro… ricorda che fai il blues! -gli accarezzò i capelli- cosa me lo chiedi a fare? Tanto lo sai che sei il migliore”

Marta li seguì uscire con lo sguardo, si morse il labbro inferiore e lasciò cadere una lacrima, il boss sbuffò.

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148 Commenti

  • Finale perfetto per questo racconto, che mi rimarrà in testa e da qualche altra parte più profonda per tanto tempo. Tutti i capitoli sono stati una sinfonia di colori e sensazioni, ed è bello finire con la musica ed un totale trionfo di Biagio (finalmente per lui, ma anche per Lhinn). Adoro il tuo modo di descrivere e di creare delle immagini che non sono solo visive, ma che riescono ad avere un impatto più consistente su chi legge.
    Quasi mi dispiace che tutto sia finito, mi sarebbe piaciuto vedere anche i luoghi che hai proposto ma che non sono stati scelti per il viaggio. Un giorno, forse.
    Grazie per la tua storia. Magari la leggerai a tua figlia…?

  • Mi ero persa il finale: ogni tanto le notifiche evaporano nel nulla.
    Un vero trionfo, ma lasciami dubitare del fatto che gente come Marta e il “boss” siano abbastanza sensibili da afferrare il trionfo di Biagio. Non può contarsi in banconote e bling bling, quindi per loro non vale.Il che non toglie nulla al trionfo. 🙂
    Alla prossima.

  • Uhm, Marta mi ha ricordato la claretta vestita di pantaloni giaguardami e tigraffierei, per non parlare del gerarchetto con spalline anabolizzate con cui si accompagna.
    Grande finale, mi aspettavo qualcosa del tipo ‘Tutti quanti voglion fare jazz’ degli Aristogatti ma così è molto più significativo e elegante.
    Che dire? Bravo!
    Ogni capitolo è un affresco vivido e fantasioso e la morale sottesa in tutto il racconto è merce rara in questi tempi moderni.
    Ciao Francesco, spero di rileggerti presto!

  • Ciao Francesco
    Un finale bello, un trionfo elegante.
    La tua storia mi rimane nel cuore: le atmosfere, il sentimento vero, depurato da retoriche inutili, la potenza evocativa di molte immagini e la sfrenata fantasia.
    Ti ammiro, anche perché la tua è una storia semplice, pura, positiva.
    Per il mio cinismo l’avrei messa tra le fiabe, perché mi piacciono molto i ‘lieto fine’, ma li vedo possibili solo nei mondi paralleli della cinematografia americana o nelle storie di pura fantasia. ‘Beh, allora è cretina, se pensa che la mia non sia storia di fantasia le manca qualcosa di importante!’ penserai. E allora mi spiego: l’ambiente allegorico del tuo racconto è certamente di fantasia, ma ciò che ci sta dietro, o dentro, è un mondo autentico, un mondo dove le persone amano, soffrono, sbagliano. Non un mondo di celluloide di sorrisi stereotipati, di relazioni studiate a tavolino per coinvolgere il maggior pubblico possibile, di ammazzamenti a raffica e supereroi senza macchia o di supereroi macchiati ma in modo tale che sono affascinanti pure le macchie e portano ancora più pubblico pagante nei cinema.
    Ricorderò la tua storia.
    Ciao ciao

    • A dire il vero avevo in tasca solo due opzioni… il vissero tutti felici e contenti l’ho buttato lì per dare la terza opzione sperando che facesse storcere il naso ai più. Obiettivo centrato, e dato che tutti siamo d’accordo con il trionfo finale significa che ci siamo davvero affezionati ai personaggi. Grazie di cuore. 🙂

  • Per favore, forse è scontato o non ti piace, ma non ho potuto fare a meno di votare per il trionfo finale. Si meritano un po’ di felicità, tutti quanti. Insieme Lhinn e Bi(a)gio avranno quello che è loro mancato 🙂
    Ed ecco Bigio/Biagio che sconfigge i suoi demoni! 😀 Alla riscossa! Mi aspettavo che la musica fosse davvero di armonica, quando ho aperto il link, ma va bene così.
    Aspetto il gran finale!

  • Ovviamente trionfo!!! ^__^
    Bellissimo questo capitolo, forse il mio preferito.
    La lotta di Bigio e l’abbraccio di Lhinn: semplicemente meravigliosi!
    Bravo! Al gran finale! 😉

    PS: “Biagio prese in braccio Lhinn, lei lo strinse forte singhiozzando dallo spavento.
    “Non piangere piccolina, ci sono io qui con te…”” – frase bellissima, mi sono commossa! 🙂

  • Ma quale finale tragico, ma chi vuoi prendere in giro? Sai che i tuoi lettori non lo sceglierebbero mai! Felici e contenti andrebbe bene, ma ‘trionfo’ dà più l’idea di festa scanzonata, mi ricorda la notte jazz degli aristogatti. Quindi trionfo, per me, grazie!
    Infine, nella contea ciò che qualcuno ha perso può trovare altre persone in grado di dargli nuova vita. È uno scambio alla pari, a quanto vedo, perché Bigio, no, da ora in poi è Biagio, e Lhinn si sosterranno a vicenda, una tornerà al mondo, l’altro colorerà il proprio, tingendolo, guarda caso, con le tinte spettacolari di una piccola vita di cui sarà il custode. E a cui dovrà pulire le chiappe per anni, ci ha pensato Biagio? 😀
    Aspetto il finale!
    Notte notte!

    • Le chiappette di mia figlia sono l’orgoglio del papà (che a dire la verità è un po’ preoccupato per il futuro, ma ho già provveduto con l’acquisto di una splendida carabina!!! 😉 )
      Anche io pensavo ad una trionfale festa in musica, credo che abbiano aperto un locale giù alla contea, chissà che roba suonano.

  • “La collina planava dolce verso la riva”. Non so perché questa frase mi sembrava perfetta! Così come il suono del mare di sottofondo per tutto il racconto. Sono tentata di lasciarlo mentre studio 🙂
    “La osservò sorridere con gli occhi e pensò a quanto fosse facile far sgorgare la gioia dal cuore di un bimbo. Poi, intenerito dallo sguardo gioioso, le allungò una mano tra i capelli, accarezzandoli”. Questo è il papà che sei, vero? Lo trovo delicato e dolcissimo.
    Voto perché siano Bigio e l’armonica ad affrontare Marta. Adoro questo racconto e sono contenta che tu sia tornato 🙂

  • Eccolo! Temevo fossi sparito! 🙂
    Ottima l’idea di unire Speranza e Marta. Mi piace tantissimo come descrivi le scene ed adoro sia Lhinn che i gatti (oltre a Bigio). ^_^
    Io voto Bigio che così fa l’enplain, ma un aiuto da parte dei gatti (che son lì per quello) glielo farei fare. Non ti azzardare ad ammazzarmi Lhinn, grazie!

    Mi chiedo come vorrai far finire questa splendida storia e se avrai intenzione di farne un seguito.

    Ciao 🙂

  • Francesco!
    Mi pare di non leggerti da mesi, e forse è vero, ma scopro di essermi perso un solo capitolo! Beh, meglio così. Vedo che i paragoni con Benni fioccano e ne capisco il motivo, ma se posso essere sincero c’è una cosa che ti mantiene piuttosto distante dal Lupo: il ogni suo racconto c’è un’ironia soffusa, che mitiga la malinconia o il cinismo di certe situazioni. Qui l’atmosfera è malinconica senza molti contraltari. Ovviamente dovresti rispondermi: ma vedi di farti un po’ gli affari tuoi, sarà affar mio come scrivo! E avresti assolutamente ragione. No, non lo scrivo certo per criticare in alcun modo il tuo stile. L’ho scritto solo perché leggendoti mi è venuto spontaneo sperare che alla fine Bigio ‘esploda’ di mille colori, facendo festa con… che so, coi gatti, magari ingroppandosi una passante consenziente o facendo orgoglioso outing davanti alla sede dei nazisti dell’Illinois. Cose così.
    Insomma, tifo per Bigio e lo voglio vedere felice!
    A presto!

  • Che razza di domanda: lo affronta Bigio, il viaggio è suo, la vita è sua.
    Ciao,
    L’ho quasi sentita sulla pelle l’afa di questa estate interiore.
    Molto bella e poetica la descrizione del mare e della spiaggia. La poesia è una tua costante.
    Ciao Ciao

  • Sarà la scelta scontata, ma bisognerà che la affronti da solo, a suon di armonica se può aiutarlo.
    La manina appiccicosa di ghiacciolo squagliato mi ha fatto sentire a casa, anche in un mondo onirico come quello della tua storia.
    Davvero un peccato che la fine sia già così vicina, mi piace molto questa contea.

  • La perdita della speranza di una vita che sappia concedere un po’ di felicità.
    Cavoli se mi ricorda Elianto! E’ un viaggio all’interno della sua stessa mente, per curare una malattia che per molti è terminale.
    Bravo, complimenti, scusa il ritardo nella lettura ma ero molto impegnata ultimamente.
    Ciao Ciao

  • Cavoli, mi ero persa il capitolo della mongolfiera. Ero un po’ indecisa tra Marta e la speranza, poi ho deciso Marta. Innanzitutto, sembra essere il suo grande dolore fin dall’inizio della storia, e poi, affrontando i propri dolori, la speranza orna ad accendersi da sola, no?

  • La speranza, credo sia indispensabile per superare le altre due difficoltà…così come molte altre cose della vita…

    Bellissimo capitolo e Jimy taciturno e protettore degli strumenti musicali mi piace molto!
    Attendo il prossimo!

  • Bellissimo questo pezzo sulla mongolfiera e il sapore/colore della nuvole.
    Mi permetto solo una critica, un racconto che finisce con la melodia che hai scelto non può iniziare con la parola ” ravanò “, molto più adatta alle mani nelle tasche dell’ultimo avventore della bettola di periferia che al vestitino di velluto di un sogno di bambina!! 😉
    Voto parole e suoni

  • Andiamo a scoprire parole e note.
    Felice di averti ritrovato grazie a un tuo commento in giro…
    Però, cavolo, Francesco, tu sei davvero un poeta strappato al mondo del sognatori veri e piombato in mezzo a noi disincantati per salvarci tutti dal regno del cinismo. Penso che darei qualunque cosa per sentirti raccontare questa storia con la tua voce.
    Se ti seguo? In capo al mondo.

  • Meraviglioso! Forse il mio preferito, fino ad ora. Sono felicissima di aver votato questo e di averlo visto realizzato. Davvero onirico, un po’ bambino, un po’ malinconico. Poi quando ho aperto il link di youtube e ho trovato Hoppípolla mi sono stupita che la conoscessi, ma ho apprezzato moltissimo il finire di leggere con la musica in sottofondo. Questa musica 🙂
    Voto per prateria, parole e note! Sorprendici ancora!

    Nota di correttrice: “nella quale, lesti ed eccitati, i gatti vi balzarono in un baleno”. Nella quale vi è una ripetizione. Via il vi, prima di pubblicare con Feltrinelli, mi raccomando 😉
    “L’uomo prese tra le braccia Lhinn che teneva stretta il mandolino” (teneva strettO). Poi ad un certo punto ci sono due “e” di fila.

  • Definirei rassicurante la tua scrittura…la vena malinconica dà il giusto contrasto alle immagini evocate. La panchina LOGOS l’ho trovata molto interessante, diamo troppa poca importanza ai luoghi in cui accadono le cose e di cui però gli oggetti necessitano per impregnarsi di ricordi e sentimenti…o, come nel caso del mandolino, per aprirsi e raccontare la propria storia…

    Per i sentimenti e le immagini che riesci ad evocare mi hai ricordato un pò (anche se è sicuramente meno conosciuto di Benni) come racconta Davide Van de Sfroos nei suoi libri…

    Complimenti davvero e voto il bar ma solo perchè soffro di vertigini!

    • Caspita, il Bernasconi!!!
      Sinceramente lo conosco molto di più per le sue canzoni che in effetti sono davvero dei disegni fantasiosi fatti di parole e suoni:
      “Sugamara cuore diesel
      cun t’i zanzari in del cervel
      vita storta, senza filtro
      sistemata col martell”
      Ma devo davvero leggerlo qualche suo libro. Grazie anche per il paragone a Benni che reputo più uno dei miei supereroi preferiti che uno scrittore (una cosa tra batman e paperoga).
      Sto in effetti infilando tutta una serie di simboli all’interno del racconto e la panchina è uno di quelli: la Cornucopia che vomita lettere alla rinfusa che si concretizzano nel Logos, la scelta, il racconto, il pensiero.
      Non preoccuparti poi per le vertigini, il volo sarà solo sensoriale, avremo tempo di bere qualcosa insieme al bar…

  • Malinconico e dolce questo episodio del mandolino. Ma, forse sono ottusa, quali sono le parole smarrite? Ho letto un amore smarrito, un figlio dovuto abbandonare, dei ricordi serbati in segreto, ma le parole smarrite? Sono quelle di Lhinn?
    Sono poco originale, mongolfiera di carta.

    • Poco originale? Ma chi non vorrebbe volare a bordo di una lanterna?
      Le parole perdute sono quelle dell’emozione imprigionata e custodita dall’oggetto che, ormai dimenticato, finisce nella contea e ritrovano una strada attraverso le parole di Lhinn, la quale si fa rapire dall’emozione catturata dai mici. L’emozione trova una strada ma come tutte le emozioni possono muovere ad un’azione impulsiva e devastante (il varano) oppure, riconosciute e metabolizzate da istinto (Lapsus), ragione (Senno) ed esperienza (Oblio), possono dare origine ad un accrescimento nel racconto. Le parole sono perdute nell’emozione ma trovano strada nella panchina di pietra che da cornucopia si tramuta in parola o scelta (Logos).

  • Porteranno il mandolino alla mongolfiera di carta.
    Ogni capitolo è un collage di immagini vivide e suggestive, sotto la nota malinconica si cela la gioia o almeno il sollievo che porta l’elaborazione di un lutto.
    Ciascun ‘estinto’, dapprima rifiutato, si consegna infine al ricordo di qualcuno che ne farà tesoro.
    Leggo dapprima triste, poi mi rassereni.

    Ciao Ciao

  • Ciao, la tua storia resta sempre bellissima e affascinante, e decisamente inventiva! Ma scusami se mi permetto una criticuzza: i congiuntivi! Nonostante rifiorissero, non rifiorivano.
    Per il voto, dopo le scelte sbagliate, è il momento delle parole perdute. Sono così tante…

  • Mi hai fatto pensare alla scuola materna, quando la maestra insistette così tanto per farmi assaggiare l’arancia che da allora ne odio pure l’odore. Hai un gatto che mi possa aiutare? Bello, come i precedenti. Qui non ho capito da dove viene fuori la ruspa 😉

    Ciao Ciao

    • A dire il vero ne ho due ed uno è uguale a Lapsus. Ma è tutta una metafora del controllo delle emozioni. Lapsus è il riaffiorare delle emozioni: quel dejavu che non ti spieghi ma che ti toglie il fiato. Senno è la dolce gattina bianca che da un nome all’emozione: la ragione. Oblio è la conquista dell’esperienza, la memoria esperienziale che ti aiuta ad affrontare le sfide di tutti i giorni. E l’oggetto è un transfert. Quei gatti li possiedi anche tu. Ma non dirlo a nessuno. Per la ruspa ti rimando al primo episodio. 😉

  • Leggere le tue parole è un po’ perdere il contatto con la realtà, e questo è bene sopratutto per un fantasy.
    Mi piace che Bigio abbia partecipato, vorrei capire perchè è finito in questo mondo. Cos’è Bigio, se il varano era un liuto?
    Notiziona, non voglio più venire a teatro (:-)!), mi siederò in attesa su questa panchina di pietra.
    Alla prossima.

  • Ciao!
    Questa storia mi piace sempre di più. Ho come l’impressione di immergermi in un altro mondo, incantato e sconosciuto, che cattura e coinvolge. I gatti che parlano, gli alberi e il laghetto hanno il sapore di una fiaba e si scontrano con la tristezza e il grigiore della realtà. Lui che si vede malinconico, ma soprattutto la scoperta della vera identità di Lhinn: lei non è mai esistita, è una scelta sbagliata. Emozionante! Bravissimo!
    Alla prossima!

  • Meraviglioso, non me l’aspettavo affatto! Una scelta sbagliata; qualcuno che sarebbe esistito se…
    C’è sempre questa aura di mistero e un sapore di magico, nostalgico, polveroso (nel senso migliore del termine, bada bene!) tra le tue parole ed è davvero affascinante perdervisi.
    Voto il teatro degli ombrelli, anche se il cassetto del comodino mi incuriosiva: ci sarebbe stato dentro un qualche sogno riposto e non realizzato?

    Da correttrice ufficiale di bozze, ti segnalo un “tpiù” che ti è caduto dentro (è qui: Tre torri abbracciavano un edificio centrale e dalla tpiù grande sulla sinistra si apriva un terrazzo affacciato sull’acqua) e, come JAW, che alcune frasi sono un po’ lunghe. Spezzandole anche solo con un punto e virgola, sarebbe più facile leggerle 🙂

  • Sono affascinata da cos’è Lhin, una scelta sbagliata. Davvero una bellissima invenzione e una fiaba stupenda. Spero che anche Bigio si colori un po’ e non rimanga sullo sfondo.
    “Ad ogni alito di vento i soffioni rilasciavano nuvole di pappi che assumevano in aria volteggiando ora la forma di un treno ora la forma di un elefante, ora di aeroplano.”
    Questa a mio avviso la frase più bella.
    Cosa ho votato? Inutile dirlo!!! 🙂

  • Ciao,
    Mi è piaciuto questo capitolo pieno di ‘invenzioni’ e immagini struggenti. L’atmosfera incantata permane, alcune frasi non scorrono proprio lisce, molto lunghe e con poca punteggiatura: dai l’idea di averla scritta di getto, anche questo è notevole vista la ricchezza dei contenuti.

  • Io so’ dura…rivoto il teatro degli ombrelli, anche se ho molto apprezzato la storia della bambina…
    Anche mi viene il dubbio che solo in apparenza sia una bambina. Alla frase “Lhinn tu non puoi sapere com’era fatto il Lampione…. non eri ancora nata quando…” .Svicola, cambia discorso….
    Bravo sempre più curiosa.

      • Mamma mia, devo prendere sul serio l’invito? Non sai a cosa vai incontro… Temo che mi odierai a morte, dopo questo, ma io ci provo lo stesso e lavoro 😀

        In questa frase molto lunga (Ai lati i due grandi battenti montavano su colonne di pietra alte circa tre metri sovrastate dai resti di due gatti di marmo che reggevano tra le zampe targhe sulle quali si intravedevano ancora incise le parole “Lapsus” e “Senno”) avrei messo un paio di virgole, ma perché a me piacciono e staccano un po’ le parole lasciando che l’occhio si riposi. Sono come un cuscinetto per farti prendere “fiato”.

        Nella riga subito sotto c’è un “trai” invece di “tra i”.

        In “Lanciò un miagolio pietoso e struggente tanto da impietosire le povere rondinelle” c’è una ripetizioncina.

        “Bigio è sì un felino degno della specie”… Panico! Bigio o Oblio? Ho pensato per un attimo che Bigio fosse un gatto umanoide.

        Concludo dicendo che mi piace un sacco questa storia, che adoro le parole che usi e che trovo il tutto onirico e poetico. Veramente, non è per addolcire la pillola! 😀
        La prossima volta farò la semplice lettrice e non la professorina rompiscatole, se no mi cacciano da THe iNCIPIT!

  • Il teatro degli ombrelli…mi attira anche se non è la scelta più votata, ma io ci provo ….
    La storia decolla alla grande, trovo nelle tue parole una capacità di caratterizzazione dei personaggi…. Il tuo Bigio si vede, è quasi vivo con la sua sigaretta che penzola di lato…
    Sono sulla ruspa anche io….partiamo!

  • Ciao,

    Se trovo una bimba tra un mucchio di rottami per prima cosa mi chiedo come è arrivata lì. Gatto e rondini!
    Mi stuzzica molto un aspetto del tuo incipit: dài come l’impressione che il macilento Bigio abbia un atteggiamento molto meno disfattista di quanto voglia trasparire, in sostanza mi pare un uomo che tutto sommato vuole ancora, prepotentemente, sognare ad occhi aperti. C’è un’ottima spiegazione (o ci potrebbe essere!) per la presenza della bambina, per il fatto che conosce il suo nome, ma non è la prima cosa che Bigio pensa. Del resto, lui stesso sta assecondando i suoi sogni infantili e adesso non vede l’ora di condividere il divertimento di un giro in ruspa con la piccola.
    Voglio leggere il seguito, quindi seguo il tuo grigio Peter Pan!

  • Il tuo stile di descrizione mi piace, lo trovo poetico, se posso usare questa parola. Usi molte dislocazioni a sinistra, però, che sono più tipiche del parlato. Sono più immediate, ma forse stonano un pochino con lo stile, appunto, elegante. Mi hai incuriosita fin dal titolo (per questo ho voluto cominciare a leggere). Vediamo che succederà.

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