Silenzi, luci di vita

In un mondo di luci

Un ragazzo nota una ragazza all’angolo di una via del centro, ne segue i riflessi sfumati dei suoi capelli, che si confondono tra gli odori di un borgo medievale. E’ in attesa del suo via verso la vita, un rosso ai pedoni, un verde di là, e lei sfugge via, nel caos della città, nel silenzio inesatto di un’anima in attesa. Cammina lento, accarezza i bordi delle panchine in legno, giù per il lungomare. I colori della distesa blu sono un ricordo d’infanzia, una melodia che affolla la sua mente, un percorso di viali alberati e sampietrini, sempre in silenzio, con il caos circostante che allunga i pensieri. Si siede, accende una sigaretta, sempre in silenzio.
Lo iodio solletica le mucose, quasi un vento d’estate che colora i campi d’aprile. Silenzio. Si allontana i capelli dalla fronte, con una mossa semplice, inesatta. Eccola lei, la lampadina s’accende, illumina la parte destra, quella vuota, della panchina in legno. Un brivido gli tinge la schiena, cicatrizza le ansie. Un singhiozzo. Eccola lì. Di nuovo lei, nel suo eskimo vintage, che racchiude centosettanta centimetri di timidezza. Ancora un brivido, ancora un singhiozzo. Sempre in silenzio, non ha voce la felicità di incontrare un’anima vagante, come la sua, che si ferma e riparte, in silenzio, sempre in silenzio.

“Ciao..”.

Cade come la neve, soffice, quel suono ovattato, quelle sillabe morbide. E lei lo guarda, ha le cuffie, le toglie. “

Scusa?”

La polvere solleva le emozioni e qualcuno canta vicino al ciliegio in fiore.

“Mi fai compagnia?”. 

Lei lo guarda, toglie l’altra cuffia, si accarezza il pollice con l’indice, poi si scrolla i capelli, si accende una sigaretta. 

“Non ti conosco nemmeno, chi sei?”. 

Lui abbassa lo sguardo, raccoglie i pochi spiccioli per terra, guarda in fondo alla ricerca di qualche sillaba, le porge la mano.

“Vieni con me, ho bisogno di te”. 

Lei si accarezza i capelli, guarda la scia della luna sul bagnasciuga, e una lacrima le riga il viso.
In silenzio, sempre in silenzio.

La città scorre accanto, con i suoi rumori, i suoi odori, la sua frenesia di un lunedì sera qualunque. Lei avrebbe voluto fuggire lontano, lasciare quel tale lì, in balia dei suoi ricordi, della sua infelicità, ma i pensieri le affollano i silenzi, le legano le forze, la fanno inciampare in qualche giorno andato, quando con la sua chitarra chiedeva qualcosa e il mondo le scorreva indifferente, preso dai ritmi della propria quotidianità.

Quanto tempo era passato da quella sera di maggio?

Cantava la vita e le si avvicinò un cane, si accucciò con la testa sulle sue gambe, e voleva solo affetto, e lei smise di suonare, per non disturbare.

Perché quell’uomo le aveva ricordato quel giorno, prologo della sue rinascita?

Aveva lasciato la chitarra e in silenzio aveva cominciato a coccolare il suo nuovo amico, l’unico in grado di comprendere i suoi lamenti. Avevano reciproco bisogno d’affetto.

Ora era lì, con quel ragazzo che le chiedeva del tempo e lei che non sapeva che fare, quanti pensieri contrastanti le riempivano la testa, come una rete imbrigliata, nella quale non riusciva a vedere i colori, per quanto fosse fitta, per quanto fosse tesa.

La città brillava di luce e il faro in lontananza sembrava lanciare segnali anche a lei, e l’odore degli angoli delle strade sembrano richiamarla indietro.

“Sono giorni che non parlo, mesi che non mi emoziono, anni che non scrivo più”.

Aveva ripreso a parlare lento il ragazzo, come a voler chiedere scusa, ritirare l’amo delle sue parole. Certe persone vivono così in silenzio, che quando sono sature si allungano, oltrepassano i confini delle loro paure, per annusare l’odore delle rive, sentire le onde del mare accarezzare i piedi di un’acqua fredda, come anestetizza l’anima, lasciandola orfana, abbandonata, senza àncora, ma sospesa nel fluire della propria timidezza, scalfita da qualche goccio di rosso, che allenta le parole, e la fa uscire, roche, impercettibili.

“Qui la vita è monotonia, e a me non resta che leggere. Mi porti qualche libro?”

Qualcuno passava accanto ai due, separati dal velo della vita, ma profondamente legati da un filo sottile, quello delle parole di lui che scalfivano le certezze di lei.

La ragazza aveva osservato lontano, distinguendo le luci di una crociera, che prendeva il largo, e chi restava partiva  per spiagge senza vento, solo quello del proprio alito interiore, a scandagliare le occasioni.

“Sei riuscito a pranzare?”

Le uscirono solo quelle parole tra le tante che avrebbe voluto mettere al mondo.

“Abbiamo diviso un panino”, disse il ragazzo indicando un cane che gli dormiva addosso, con gli occhi tristi.

Le luci, le luci della città. A volte è solo questione di luci, da dove le guardi, che cosa illuminano, che giorno salutano, che vita imbrattano. 

Ricordava ancora le ragazza, aveva letto molto per viaggiare, per vivere davvero.

“Domani piove” aveva detto lui.

“C’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo”, aveva risposto lei, citano Faber.

Lui rise, e già pensava all’ultima volta.

Ha uno strano odore la complicità.

Che succede?

  • commenta e indica la strada, quella che secondo te è la migliore per i due (22%)
    22
  • Sono perfetti sconosciuti in un mondo di luci (56%)
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  • I due si conoscono e stanno fingendo, sperimentano la vita (22%)
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75 Commenti

  • Ciao Giuseppe
    Capitolo riflessivo e intimista, in cui mi sembra tu trovi il tuo modo migliore d’espressione.
    Finale sul cambiamento, sulla chiusura di un percorso a cerchio che ognuno di noi si trova a fare, prima o poi, ad un certo momento della propria vita.
    In un punto qualsiasi di detto percorso, più o meno preciso, più o meno chiaro ai nostri occhi, ci siamo noi puntuali all’appuntamento, in attesa di essere presentati a noi stessi “tutto ha un sapore differente in base al periodo della vita, alle stagioni interiori, ai pensieri. Andar via richiede sempre una grande dose di coraggio, lasciare le certezze per dei giorni evanescenti, immateriali” e ancora “Passeggiare ora era muoversi in se stesso”.
    Allora mi chiedo, se quello che normalmente chiamiamo cambiamento personale non sia altro che un ritrovarsi, nelle cose che ci sono congeniali, un riconoscersi in quello che già eravamo senza esserne pienamente consapevoli. Rimuovendo gli ostacoli che ci separano dalla conoscenza di noi, possiamo finalmente scivolare dentro la nostra identità ritrovata con la leggerezza, comodità e conforto con cui entrano le nostre dita in un morbido e aderente guanto.

    A rileggerti
    Ciaoooo

    PS mi dispiace non averti avuto tra i lettori del mio racconto 🙂

    • Che bel commento, grazie di cuore. Hai colto nel segno, mi piacciono molto i capitoli riflessivi, che tendono ad analizzare quello che non appare e che, nonostante tutto, è.
      Mi spiace non aver letto il tuo racconto, soprattutto dispiace non averlo “condizionato”, ma purtroppo sono stato un po’ lontano da questo sito, ahimè, come il troppo tempo impiegato per finire la storia dimostra.
      Punto a leggerlo ugualmente, così come il tuo prossimo.

      A prestissimo e buon anno 🙂

  • Caro Giuseppe, l’ultima volta purtroppo non sono riuscita a commentare, pur avendo letto il tuo nono capitolo. Io avrei scelto di vedere Erich e Samantha ritrovarsi per caso lì dove si erano (ri)conosciuti. Sono però contenta di aver letto questo capitolo, molto riflessivo e introspettivo. Mi è piaciuto molto, sembra davvero giusto per lui, per la storia. L’ho trovato esatto, vero, tuo. Grazie per la compagnia e al prossimo racconto 😉

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