Dove eravamo rimasti?
Perdonami.
Ivan bofonchia ed esulta per l’agendina che finalmente ha scovato nei recessi del cassetto, mentre Lucrezia stringe la vecchia foto della donna sconosciuta seduta sulla vettura che suppone di riconoscere. Poggia la foto e si appropria del tesoro ritrovato di Ivan. Inizia a sfogliarlo in preda alla curiosità.
Già dalle prima pagine si leggono frasi d’amore scritte con inchiostro rosso glitterato:
Questa sera il cielo mi ricorda i tuoi occhi blu – mi manchi
Dalla finestra arriva il profumo delle fresie come la domenica sotto il sole assieme a te
Stanotte ho sentito il gorgogliare del torrente, il ronzio degli insetti, il profumo fresco delle ombre verdi e il calore delle tue braccia – ma era solo un ricordo struggente amore mio
E tante altre frasi simili, a tratti infelici e disperate. Lucrezia riconosce la grafia, è la stessa della poesia che Ivan ha consegnato a Carlo. Indubbiamente femminile, lettere tondeggianti e molti cuoricini a completare i messaggi. Non riesce a spiegarsi come possa trovarsi a casa sua da cui l’amore latita da anni. “O forse non c’è mai stato” conclude amaramente. Coi polpastrelli della mano destra strofina la cicatrice nella guancia, col pollice della sinistra fa scorrere le piccole pagine. Così facendo un riquadro di carta si libera levitando sino a terra. E’ un biglietto dei Baci Perugina, quelli che riportano aforismi e citazioni.
“Tante volte uno deve lottare così duramente per la vita che non ha tempo di viverla – C. Bukowski”.
Sul retro una supplica: PERDONAMI.
Scritta in stampatello, con un tratto diverso da quello delle frasi d’amore; squadrato e duro, definitivo. Lucrezia si incupisce, sollevando lo sguardo sulla foto di suo padre Paolo. Gli occhi blu brillano sopra la barba, le larghe spalle gravate dal peso del lavoro faticoso sono coperte da una camicia da boscaiolo e i robusti avambracci sono nudi e tengono lei, bimba di qualche anno. Ivan gli staziona a fianco con sguardo imbambolato, aveva circa 10 anni. Il bambino sembra uno sfregio all’armonia familiare, una crepa nel cristallo perfetto della serenità. Ma Lucrezia vede che, dalle braccia del padre, lei lo guardava con amore, senza sapere che un giorno avrebbe dovuto cambiargli il panno e consolarlo dei suoi pianti assurdi per una disperazione senza senso.
Ivan che ha gli occhi del padre, blu come il cielo serale.
Riporta lo sguardo sulla prima frase d’amore – “occhi blu” – e, in preda ad un’illuminazione, si precipita alla sezione della libreria dove Paolo tiene i faldoni dei documenti aziendali e i vecchi blocnotes ad anelli che porta in cantiere. Ne estrae uno con la copertina macchiata di malta, e lo posa sul tavolo al centro della stanza. Lo apre col cuore in gola, e Ivan alle calcagna.
Sebbene nelle pagine di lavoro la grafia mostri una certa noncuranza, il tratto è facilmente riconoscibile. Le parole di rammarico vergate nel biglietto sono state scritte da suo padre.
Lucrezia è sbalordita.
L’agendina è datata 1988, l’anno in cui è nato Ivan. I suoi genitori erano sposini novelli convolati a nozze perché Carmen era rimasta incinta di Ivan, quindi visto il risultato quell’anno l’aveva passato in preda ai fumi dell’alcol, non certo a scrivere dolcezze al marito.
Lurida stronza.
Ma allora la ragazza nella foto è stata l’amante di suo padre? L’auto è convinta di averla già vista, ma dove?
Ivan la sovrasta col suo lungo corpo dinoccolato, e la scruta come se potesse capirci qualcosa. Lucrezia sente un groppo in gola, e gli accarezza la guancia ispida.
“Povero scemo”, sussurra “Molto in fondo hai l’anima di Sherlock Holmes, ma non hai idea di cosa hai trovato. Un po’ come me”.
L’iPhone segna le 11. Senza darsi troppo tempo per pensare, chiama Paolo. Non sa cosa gli chiederà: “Pa’, hai mai avuto un’amante?”. Ma anche no, non son cose da chiedere ad un genitore.
La chiamata viene aperta, e un frastuono di betoniere martelli e imprecazioni giunge fino a lei. Poi la voce acuta di Scintilla, il manovale meno fidato di Paolo chiamato così per il suo scarso acume, le urla all’orecchio: “Sì pronto!”
Lucrezia allontana il telefono, sospira e lo riaccosta: “Ciao. Puoi passarmi papà?”
Un rumore confuso e il padre allontana bruscamente Scintilla, per poi esclamare: “Dimmi Lu”.
“Possiamo vederci a pranzo?”.
“Troppo lavoro, mi faccio un panino al MC. Devi dirmi qualcosa, piccola?”
“Sì, ma non al telefono”.
Paolo riflette un attimo, poi dice in tono deciso: “Ci sono sempre per te. Facciamo intorno alle 3 al caffè davanti al cantiere”.
Dopo aver chiuso la telefonata, Lucrezia guarda il fratello. C’è una cosa che ancora non gli ha chiesto. “Davvero sei riuscito a leggere quelle frasi d’amore?”.
Lui si illumina, felice di esser stato interpellato. “No legge io! Core, tatti cori, come Tizzano”.
Lucrezia annuisce. “Già, i cuori”.
“E foto senza mamma Cammen”. A queste parole Ivan abbassa lo sguardo, avvilito.
Lucrezia si acciglia. “Quali foto?”.
Lucrezia parlerà con Paolo, e ci sarà anche Ivan. Da chi verranno interrotti?
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04/01/2018 at 01:49
?
28/10/2017 at 12:00
Veramente un bel finale. Complimenti. 🙂
06/10/2017 at 11:08
Finale coerente e in linea con i toni del racconto, brava.
Tra l’altro si intravede, in questa fosca atmosfera, un barlume di speranza per una nuova rinascita.
Ciao Gio,
a presto
05/10/2017 at 15:13
The End.
Bene, temevo avessi abbandonato il racconto a un passo dalla fine.
Ciao Gio, a presto