Ritorno
Adran camminava lentamente, misurando ogni passo.
Sapeva che se avesse provato a correre per quella via rocciosa e ripida, che s’inerpicava su per la montagna, sarebbe resistito pochi minuti, poi sarebbe caduto a terra sfinito.
Eppure aveva voglia di correre, perché finalmente era tornato.
Era stato via dodici anni, dodici lunghi anni passati a combattere al fronte sud del regno, dove i nemici della sua terra continuavano a pressare per poter invadere Arcandia.
Arcandia, quanto gli era mancata.
Ricordava perfettamente le sue valli ricoperte da erba e papaveri, i villaggi più piccoli accesi dalle luci delle feste e dai clamori delle danze, il profumo di resina e muschio che aleggiava nelle foreste, le ninfe degli alberi che ballavano sotto la luna, e gli spiriti dell’acqua che correvano sulla superficie dei laghi.
Gli era mancato tutto, perché al fronte si vedeva solo morte e distruzione: cadaveri impalati sulle barricate e le creature della notte che ti divoravano il cuore se non facevi attenzione quando calava il sole.
Ricacciò indietro quei pensieri: avevano vinto la guerra, al sud, perciò poteva smettere di pensarci.
La Via Innis era un sentiero che procedeva quasi verticalmente su per i monti, superati quelli, Adran ricordava i campi e i viali costeggiati da alberi da frutto.
Avrebbe proceduto su quella via fino al raggiungere di Xeravis, il piccolo paesino tra i terreni ricoperti di spighe di frumento, la sua casa, il luogo dove era nato e cresciuto.
Avrebbe rivisto i vecchi amici d’infanzia, i saggi Anziani che amministravano la comunità e tutti gli altri abitanti che l’avevano cresciuto.
Sorrise, ma subito si sgridò per essersi abbandonato ai ricordi, non era il momento.
Lo avrebbe fatto arrivato in paese, con un bel boccale di birra in mano, magari.
S’immaginò seduto davanti al fuoco di una locanda, accerchiato da una folla di bambini curiosi che gli chiedevano di raccontare la sua storia…
Lo stava facendo di nuovo. “Non pensare, Adran” si disse “Cammina e basta”.
Il sentiero roccioso, seguendo l’andatura della montagna, svoltava un ultima volta.
Poi, dall’alto dei monti, Adran avrebbe potuto ammirare la sua terra in tutto il suo splendore.
Non riuscì a resistere: corse.
Quattro, cinque passi, il sentiero svoltò e lui con esso, sei, sette passi, poi Adran si fermò.
E rimase a bocca aperta.
Perché davanti a lui niente era come ricordava.
Perché davanti a lui c’era l’immagine che era sempre stata presente nei suoi incubi, tutte le notti passate al fronte.
Davanti a lui c’erano campi distrutti e incendiati, boschi di alberi da frutto abbattuti, distese di terra arida e data in pasto al deserto e Xeravis, la sua città, era solo un mucchio di macerie e cenere.
La morte lo aveva preceduto.
♦ ♦ ♦
Durante la discesa dalle montagne aveva cominciato a piovere.
In principio Adran si era aspettato che dal cielo cadesse sangue, tanto per restare in tema, ma era solo acqua.
Semplice. banalissima, acqua piovana.
Adran non sapeva cosa pensare, procedeva come un morto vivente sul sentiero, perché era così che si sentiva: era come se gli avessero scavato nel petto, gli avessero strappato il cuore e lo avessero sostituito con un pugno di fango pulsante.
E la pioggia non aiutava, cadeva fitta e impediva di vedere bene.
L’acqua gli entrava nella cotta di maglia e nella leggera camicia di stoffa, gli percorreva il petto, lo appesantiva di più ad ogni passo.
Al fronte aveva conosciuto un uomo che era in grado di riscaldare l’aria, così da non aver mai freddo, al momento non gli era sembrato un dono straordinario, ma ora cominciava ad apprezzarlo.
Era appena arrivato a Xeravis, o a quel che rimaneva di lei.
La terra era ricoperta dalla cenere e da pezzi di legno bruciato, assi e frammenti di vetro spuntavano dove non te l’aspettavi.
Il pozzo, al centro del paese, era l’unica cosa rimasta intatta.
L’acqua era sporca di fuliggine, ma in fondo s’intravedeva il luccichio delle monete, ogni moneta equivaleva ad un desiderio posto agli Dei.
Si portò le mani alla cintura, afferrò un piccolo sacchetto di stoffa che tintinnava ad ogni movimento e ne estrasse una mezzaluna di rame.
La lasciò cadere nel pozzo, e la guardò svanire tra la fuliggine grigia e bianca.
Desiderò fosse solo un incubo.
♦ ♦ ♦
Adran procedeva ancora sotto la pioggia, che s’era fatta sempre più forte.
Se la sua mente son fosse stata così scossa, avrebbe cercato di trovarsi un riparo molto prima.
Ma lo era, perciò l’uomo vagava senza meta.
Stava proprio per arrendersi alla disperazione, quando in lontananza scorse il tremolio di una luce.
Non era troppo lontano, perciò la speranza si riaccese in lui.
Si mise a correre, ignorando la pioggia e il fango malevolo che lo faceva scivolare di continuo.
La luce si faceva sempre più vicina e Adran finalmente scorse il profilo di un’abitazione, una casa scampata per miracolo, una locanda.
Poi, sedute nel fango e con la schiena appoggiata al muro di legno della locanda, li vide.
La pioggia avrebbe potuto ingannarlo, ma non quella volta.
Due bambini.
Di cosa parleremo nel prossimo capitolo? Ovviamente vi parlerò di tutte e tre le opzioni, ma la maggiormente votata di più delle altre.
- I due bambini. (50%)
- Il Dono (30%)
- Le Porte di Etelios, che cosa sono, perché si sono aperte. (20%)

14/02/2021 at 12:20
Rieccomi, Nicholas.
Accipicchia, sei a a un passo dal traguardo. Che aspetti? Fai un ultimo sforzo e chiudi questa bella storia! Così, magari, ne puoi cominciare un’altra 😉
Ciao, ti auguro un’ottima domenica
13/06/2018 at 14:08
Ciao Nicholas. Abbiamo letto il tuo racconto e lo abbiamo trovato bellissimo! Scrivi davvero bene, riesci a proiettare un’atmosfera perfetta,
Continua così! Ci dispiace di essere arrivati alla fine, perchè ci sarebbe davvero piaciuto assistere alla formazione del tuo racconto.
Saluti, Elizabeth e Nathaniel.
04/04/2018 at 23:08
Ciao Nicholas. Inanzitutto complimenti. Hai 13 anni ma scrivi come se lo avessi fatto da una vita. Mi piace il tuo stile, è fluido, grammaticalmente corretto e lo stile che hai creato è molto simile a quello di Cronache del mondo emerso. Ci sta.
E’ stato piacevole leggere la tua storia, mi ha incuriosito moltissimo la storia dei Doni.
Pero un unico appunto: forse hai messo un po’ troppa carne sul fuoco.
Insomma, passare da villaggi distrutti a montagne con labirinti sotterranei a sirene a rifugi nella foresta va bene, ma è un po’ veloce.
Per il resto davvero, non posso che rinnovarti i complimenti.
Continua così.
Io ho scelto i bambini e i sogni. Due cose che vanno a braccetto da sempre.
05/04/2018 at 07:27
Ciao Yaniv.
Fa sempre piacere avere un nuovo lettore.
Sono felice che il racconto ti sia piaciuto.
In realtà non credo ci sia stata troppa carne sul fuoco, ma troppo poco fuoco. Il limite di capitoli e caratteri mi hanno costretto a numerosi salti temporali e forse devo ammettere di aver “farcito” un po’ troppo il racconto.
Ciao
03/04/2018 at 09:39
Ciao, Nic.
Fantastico! Incredibile! Spettacolare! Magico! (vuoi un’altra ondata di complimenti o posso andare avanti? 😛 )
Sei sorprendente, riesci, in qualche strano modo, a scrivere con quello stile scorrevole e semplice in un perfetto equilibrio tra spensieratezza e azione.
Questa cosa del sacrificio è molto inquietante, spero che tu abbia già un’idea perché altrimenti dovremo sacrificare qualcuno e la cosa non mi attira per niente!
Continua così, Nic! Viaggia fino alla fine di questo racconto incredibile.
Ci sentiamo al gran finale! 🙂
03/04/2018 at 09:52
Ciao, Fior!
Grazie mille per i complimenti, davvero apprezzatissimi.
Spero di non deludere le tue aspettative.