Never wake up – The end game

Allora, c’era Shinji in coma che...

28 Novembre 1944, Amburgo, mezzanotte meno venti minuti.

Siediti composta! Che vieni su tutta storta!!!

Le sembrava di sentirla, sua mamma, sempre pronta a correggere la sua postura sgraziata, ma non poteva farci nulla, non appena poggiava il culo su una sedia aveva l’infelice tendenza a scivolare sullo schienale e ritrovarsi seduta con le spalle.

Il problema è che aveva trenta anni, un’età in cui bisognerebbe avere imparato come ci si siede… A meno di non chiamarsi Peter Griffin.

Tentò di raddrizzarsi ma finì con il piegarsi in avanti, stendendo le braccia sulla scrivania davanti a sé; le incrociò e ci appoggiò sopra il mento. Chiuse gli occhi e tentò di pensare.

Con i pollici si accarezzò il segno del cavo d’acciaio che Fratellino le aveva lasciato sul collo, sarebbe bastato qualche secondo in più e l’avrebbe strozzata. Fortuna che Alfred aveva fatto un tiro da 20 e l’aveva salvata.

Incredibile, tutto questo non ha senso, sono a un passo dalla fine della mia sanità mentale e quando ripenso a come per poco non ci ho rimesso le bucce faccio citazioni dai giochi di ruolo. Allora è proprio vero che più le cose si fanno serie e più le cagate fioccano alla grande…

Alzò lo sguardo e fissò l’orologio appeso al muro: era fermo a meno venti minuti a mezzanotte.

Nel suo ultimo pensiero c’erano almeno un paio di particolari che non quadravano, ma cercò di non pensarci troppo. Aveva paura di ripercorrere tutto quello che le era successo da quando si era svegliata, non la parte iniziale… Quella era stata abbastanza regolare, è quello che le era successo dopo a spaventarla. Si era alzata, era andata in cucina e aveva fatto colazione. Poi si era preparata per andare e lavoro, aveva preso le chiavi dell’Impala e, d’un colpo, tutto era diventato nero attorno a lei.

E si era risvegliata ad Amburgo.

Si aprì la porta dietro di lei.

-Ma allora è tutto vero…-.

L’educazione ebbe la meglio, si voltò e si alzò in piedi.

-Buonasera Hinka, le darei la mano ma preferirei non metterla a disagio-.

Lo vide sussultare, quasi gli facesse onore essere riconosciuto. -Non fa nulla- si schermì chiudendo la porta dietro di sé.

-Quando Beier me l’ha detto non ci volevo credere… Ma sei qui, siediti per favore. Vuoi qualcosa da bere?-.

-Sono a posto, grazie, credo che mi accontenterò delle risposte. Voglio sapere cosa mi ha impedito di andare a lavoro-.

Hinka si permise una risata. -Oh, non preoccuparti, sono certo che la contrattualistica dei lavoratori abbia fatto dei passi avanti dal secolo in cui vieni e che la malattia sia tutelata-.

-Malattia?-.

-Dovresti essere in coma da circa sei ore, Penelope-.

Come?-.

-Mi dispiace essere io a darti questa notizia ma è così. L’unica cosa che posso dirti è che quando tutto questo si risolverà ti risveglierai e sarà come se nulla fosse mai accaduto. E, nel caso non dovesse risolversi, probabilmente nessuno di noi ne uscirà vivo e tutto verrà spazzato via-.

-Ma che diavolo sta succedendo? E perché sta succedendo a me?-.

-Non si tratta solo di te-.

-Ma sono io quella che si è ritrovata all’improvviso nella Germania della seconda guerra mondiale e per poco non si è fatta ammazzare dai suoi amici immaginari di quando era bambina!-.

Hinka la fissò arricciando le labbra, uomini… Fanno sempre così quando centri il punto della questione!

Tirò un respiro profondo. -Che sta succedendo?-.

-Il 28 novembre 1944 il sole è tramontato e non è più sorto. Da allora gli orologi di tutte le nazioni del mondo si sono fermate-.

Decisamente una spiegazione più fantasiosa del “ci siamo scordati di cambiare le pile all’orologio”.

-E da quel momento in poi il conflitto mondiale si è arrestato perché tutti si stanno concentrando nel tentare di capire che diavolo sta succedendo. Il buio ha coperto tutto il pianeta in una notte densa e perenne. Non esistono più fusi orari, non esiste più emisfero nord o sud, est o ovest… Tutto il pianeta è al buio e questo non è per niente naturale-.

Si alzò in piedi.

-Credo di aver bisogno di un po’ d’aria-, i segni al collo lasciategli dal cavo d’acciaio le mandarono una fitta, si sentì soffocare.

-Pensavo volessi avere delle risposte-.

Che codarda, si stava comportando come una specie di Shinji Hikari?

Tutto quello che Hinka le aveva detto da quando era entrato in stanza era assurdo. Il suo coma improvviso, la notte perenne…

-Ti porteremo a Karl Münck Platz, parlerai con Paul Bielert-.

La Gestapo, fantastico!

-Siamo arrivati-. Il motore dell’auto si spense con un gemito.

Si chinò per spiare meglio la facciata della sede della Gestapo illuminata dalle luci rossastre dei lampioni.

-Vuoi che ti accompagni?-.

Guardò fuori dal finestrino. -Onestamente non so nemmeno perché tu sia qui. Aspetta, lo so. La mia patente non è valida in quest’epoca e non posso guidare-.

-Penelope, non c’è niente da ridere-.

Strinse i pugni sulle ginocchia, la presenza del Vecchio Unno accanto a lei era ingombrante come una supernova.

Cosa chiede Penelope al Vecchio?

  • "Cosa mi dici di quella notte in ospedale?" (0%)
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  • "Sai nulla di quello che sta succedendo?" (50%)
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  • Non gli chiede nulla, esce dall'auto e entra nella sede della Gestapo (50%)
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