STORIA DI UN’INDAGINE

LA CHIAMATA

Il telefono se ne stava sullo scrittoio, muto. Nella penombra pareva un piccolo animale addormentato.
Nella stanza il ticchettio cadenzato di un vecchio orologio da tavolo accompagnava la veglia, preciso, come un metronomo inopportuno che dava sui nervi.
Era arrivata la notte, greve nel suo abito scuro, appesantito dall’umidità. Quando il telefono squillò, di uno squillo gutturale, le lancette dell’orologio stavano entrambe sul dodici. Controvoglia, un uomo si alzò con un gemito dal letto su cui stentava a prendere sonno, si avvicinò al telefono e alzò la cornetta.
Le chiamate notturne lo avevano sempre infastidito, e quella notte pioveva una pioggia fredda e fitta, di quelle che ti fanno intirizzire la pelle sotto i vestiti. Ma doveva uscire di casa, perché un’indagine era pur sempre un’indagine.
Sotto i lampioni gialli, con il bavero del cappotto tirato fin sulla nuca, camminava stancamente il commissario Tani, con le mani nelle tasche e il cappello fradicio sulla testa. Teneva gli occhi bassi, fissi sull’asfalto lucido e pensava solo a quanto avrebbe voluto tornarsene a casa e stendersi sul letto sfatto, in attesa di un sonno che stentava a tornare. Pensava alla sua stanza, male ammobiliata, alla penombra sgombra di pensieri che faceva da cornice a notti interminabili. Sì, avrebbe voluto trovarsi là, al caldo, e non per strada, con quel tempo osceno che gli scannava la pelle e lo faceva sentire come un calzino rivoltato.
Il civico 34 era a metà di una strada lunga e larga. Sul marciapiede deserto incontrò solo se stesso, nell’immagine del suo volto riflessa in gelide pozzanghere, striate di luce artificiale.
Il portone era enorme, di un legno pesante dipinto di verde scuro al cui centro stava un battacchio a forma di zampa di leone.
Ne aveva visti molti negli anni, aveva bussato a decine, centinaia di porte e portoni del tutto simili a quello. Aveva dato notizie orribili a madri inebetite, tirato fuori assassini e ladri da varchi come quello.
Aveva fantasticato, seduto al fianco di Del Gaudio che guidava, guardando fuori del finestrino. Aveva ammirato le costruzioni austere e candide, cercando di immaginare chi si muovesse dietro le tende, chi facesse cosa nell’intimità delle mura domestiche, chi stesse nelle braccia di chi.
Aveva pensato alla vita degli altri, dietro le finestre chiuse, mentre lui, da anni, se ne stava solo, vittima di un’ insonnia crudele, coadiuvata nel suo lento incedere da terribili emicranie.
Ne era passato di tempo, di appostamenti, di indagini e inseguimenti per la città. Scornate con i superiori e amori di passaggio. Ne era passato di tempo, di momenti esaltanti seguiti da lunghi periodi scuri e sfinimenti interminabili, ma era andato avanti perché era fatto così, era uno che si stancava presto, ma che non mollava mai.
Con un ronzio il portone si schiuse. Un uomo in completo scuro e trench color crema, uscì a passo svelto, sfiorandogli una spalla. Tani si voltò a guardarlo, sotto la luce dei lampioni il viso prese un colorito ambrato, occhi scuri e piccoli parvero fissarlo per un istante, ma sparirono in fretta sotto la tesa stretta del cappello. In un attimo, l’uomo gli diede le spalle e sparì sotto la pioggia.
Il commissario s’infilò nell’androne scuro, finalmente a riparo. Si tolse il cappello e rimase in silenzio ad ammirare il lusso lucido e candido tutt’intorno.
Le scale erano larghe e bianche. Il marmo era levigato e stondato alla perfezione alla base di ogni gradino, la ringhiera era un insieme di volute scure, adorne di piccoli fiori di ferro battuto. L’abitazione stava al quarto piano, e già al secondo sentiva i polpacci gemere per lo sforzo e il respiro farsi corto. Si fermò e lasciò scivolare le dita sul corrimano di legno, appena segnato dal tempo. Con il pollice andò avanti e indietro per un paio di minuti, senza pensare a nulla in particolare.
Infine alzò gli occhi, e vide la scala salire vorticando in una spirale scura che si chiudeva in un buco chiaro proprio sotto il lucernaio. Oltre il vetro un chiarore viola dipingeva la notte mentre lui, con fatica, riprendeva la salita.
Il quarto piano si presentava ingombro di piccole piante ornamentali e dell’odore sobrio di incenso appena bruciato.
La porta era a due battenti, pesante e ben lisciata. Suonò il campanello girandolo in senso orario e poi lasciandolo andare. Non udì alcun rumore, ma pochi attimi dopo la porta si aprì.

CHI APRE LA PORTA AL COMMISSARIO?

  • IL COLLEGA DEL GAUDIO (31%)
    31
  • UN UOMO (23%)
    23
  • UNA DONNA (46%)
    46
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217 Commenti

  • Ciao keziarica!

    Scusami se commento con questo ritardo, in realtà avevo già letto il finale ma probabilmente in un momento in cui non potevo commentare, poi mi è passato di mente fino a oggi.
    Il finale mi è piaciuto, così come la storia e le sue atmosfere. All’insospettabile sentimentale che è in me, è piaciuto molto il flashback con Gloria, molto sensuale e struggente. E l’incipit, dove il tempo sembra quasi pesare sulle spalle di Tani, rallentato dai suoi sensi, reso pesante e quasi fermo dal continuo soffermarsi sui dettagli… Ecco, questo in prospettiva lo apprezzi particolarmente, quando scopri che Tani è proprio questo, prigioniero di un’eternità immutabile… o giù di lì, insomma 😀
    L’incastro del giallo è complicato, certo, ma a mio parere non ti devi fare un grosso cruccio se qualche indizio non è stato colto da chi leggeva: in un giallo si deve prestare grande attenzione a ogni minimo dettaglio e qualcuno può (anzi, direi che deve, almeno in prima lettura) sfuggire ai più. Spetta al lettore, poi, se non è convinto, tornare indietro a rileggere il punto in cui è stato così “tonno” da non accorgersi che gli veniva fornito l’indizio 😀
    E comunque la pubblicazione periodica non contribuisce a una lettura ottimale, perché è inevitabile che qualcosa, da un capitolo all’altro, sfugga anche al lettore più attento.
    Ho letto le osservazioni di befana, forse di tenore opposto alle mie, però riflettendoci penso sia una questione di atteggiamento del lettore: io, se non capisco qualcosa tendo a pensare di non aver letto con sufficiente attenzione (e quasi sempre è così), mentre altri possono legittimamente pensare che sia responsabilità di chi non ha scritto abbastanza.
    Qual è la verità, nel tuo caso? Boh! 😀 Posso dirti che, nel genere che JAW bazzica, molto diverso dal giallo, spesso ha deciso di non essere troppo didascalico su alcuni aspetti e la maggior parte dei lettori non c’ha capito nulla 😀 Però, da vero snob, non me ne sono preoccupato, perché sapevo di aver scritto esattamente ciò che volevo scrivere. Poi, ovvio, in altri casi ho capito di avere sbagliato e sono stati i lettori a convincermene.
    Ottimo il colpo di scena su Tani. Quando l’ho intuito, sono andato a rileggermi i capitoli precedenti, e ti indico il punto che mi ha fatto dubitare di aver capito male:

    […] ci finiscono in molte e per far fronte alla vergogna si abbandonano all’eroina.»
    «Non era una prostituta.» Disse Tani fissando il medico.
    «Tuttavia, ha fatto una fine iniqua. È davvero un gran peccato.»
    «Ci sono segni di violenza sessuale?»
    «Nessun segno, ma la giovane non era illibata.»

    Ti riporto l’intero spezzone per spiegare meglio il mio dubbio: parla il medico, poi Tani interviene e in effetti nessuno ci ha mai detto che qualcun altro, oltre noi, lo sente… però dopo c’è una frase che comincia con un “tuttavia” che pare proprio avversativo della considerazione precedente. Io ho attribuito questa considerazione al medico, perché sei andata a capo. Mi rimane il dubbio che sia sempre Tani a parlare, ma in questo caso, a mio parere, sarebbe stato necessario esplicitarlo meglio. Se invece è il medico… a chi oppone quel “Tuttavia”?

    Va be’, la pianto… se hai avuto la pazienza di arrivare a leggere fin qui, potrai finalmente leggere il mio
    Ciao, a presto 😀

    • Ciao Jaw,
      cosa posso rispondere a un commento del genere? Non saprei… Grazie? Può bastare? Forse. Probabilmente con la linea di pensiero che ho potuto conoscere in questi mesi, sì.
      Grazie per essere tornato indietro a leggere, per aver cercato di capire quali siano stati, davvero, gli elementi che ho disseminato nella storia per dare a Tani un’aura che, nel finale, potesse rivelarne la condizione. Grazie per l’approccio educato e delicato che usi con ogni racconto, per quel modo garbato con cui fai notare una dimenticanza, una distrazione o semplicemente un errore.
      Riguardo al tuo dubbio: sì, è il dottore a parlare, seguendo il filo della frase precedente, dove afferma che le ragazze finiscono per fare uso di droghe per far fronte alla vergogna e alle situazioni torbide in cui si ritrovano. Tuttavia sta per comunque, nonostante fosse una prostituta e una drogata, ha fatto una fine iniqua. Il commissario Tani interagisce coi presenti, senza essere ascoltato o meglio sentito.
      Nella frase successiva è Del Gaudio a chiedere se ha subito violenza e il medico a rispondere. Ho lavorato molto e ho cercato di fare molta attenzione per evitare che Tani potesse interagire con altri se non con la medium e la ragazza morta. Il sensitivo è riuscito a fargli una foto, a volte capita (almeno così sostengono gli spiritisti) di poter cogliere l’immagine di un fantasma.
      Ora basta spiegazioni, so di aver peccato di ingenuità con questo racconto, ho puntato a un genere difficile, ricorrendo anche a un risvolto soprannaturale, non mi aspettavo di fare centro alla prima; ho in mente di rispolverare i personaggi per un nuovo racconto, non credo sarà il prossimo.
      Grazie, perdona le virgole bislacche e la lungaggine.
      Alla prossima!

  • Ciao K,
    Insomma ce l”hai fatta, hai finito! Ti dico la verità, ad un certo punt, verso l’8 capitolo, credevo che ti saresti arresa e avresti buttato giù qualche frase a casaccio tanto per concludere,invece alla fine te la sei cavata più che bene. Diciamo, i dubbi li avevo anche io e non li ripeterò perché sui commenti hai già dato abbastanza spiegazioni, inutile anche ripeterti che il giallo in così poco spazio e con i lettori che decidono per te che piega deve prendere il racconto, è un’impresa titanica e secondo me tu ne sei venuta fuori vincitrice. Poi te l’ho ripetuto un sacco di volte che a me come descrivi personaggi e scene,mi piace troppo. Hai già altro per la testa? Aspetto un altro tuo racconto; spero di non arrivare tardi questa volta! Ciao, brava:)

    • Ciao Flow,
      sei davvero troppo gentile. Non importa quanto volte hai ripetuto il verbo ripetere… Ops, 😉
      Questo racconto mi ha insegnato una lezione importante, bisogna progettare. Soprattutto con il genere giallo, troppo complicato nella sua semplicità. Come dice Befana, dedico troppo tempo alle descrizioni e agli stati d’animo e invece dovrei badare più alla trama. Napo consiglia una progettazione e ha ragione! Il problema non sono i pochi caratteri, il problema è trovare il modo di sfruttarli al meglio. Al momento ho diverse idee per la testa, questo non promette nulla di buono, perché potrebbe significare ancora due racconti scritti parallelamente… Vedremo, dovrei scriverne uno per volta ma è più forte di me.
      Grazie ancora per il passaggio e per avermi seguito fin qui, non sei in ritardo tranquilla 🙂
      Alla prossima!

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