L’uomo che gli rubavano le idee

Dove eravamo rimasti?

Nel prossimo capitolo: Il questore gli comunica che è stato compiuto un omicidio con uno scolapasta. (50%)

Bersaglio

Si precipitò giù dalle scale.

Era impossibile! Lui vittima di un attentato.

Eppure il questore era stato chiaro. L’incidente davanti a casa sua non poteva essere altro che una rappresaglia. Probabilmente di qualche cosca.

Possibile che Pasqualotto, l’unica persona che avesse mai arrestato in vita sua, fosse parente di qualche pesce grosso? Perché aveva dovuto arrestarlo poi? Nemmeno se lo ricordava. Uncino lo aveva sobillato, tirando imballo onore e gloria, e anche un considerevole aumento di stipendio dovuto alla bella figura. E lui ci era cascato come un pollo. Si diede una sberla da solo.

La sua casa, la sua bella casa ereditata da zia Costantina, con i soffitti bassi e la terrazza vista cantiere navale era stata dilaniata. Il questore non si era astenuto dal riferirgli i più truci dettagli, dalla possibile presenza di vittime alla probabile necessità di passarlo presto a vivere sotto scorta.

Santoro era senza parole. In questo momento sarebbe rimasto sollevato nel riuscire a vomitare qualche mese di santi, invece nulla. Tabula rasa.

Fatti gli ultimi gradini del commissariato due alla volta, mossa che gli avrebbe presto fatto infiammare il nervo sciatico, si strizzò in macchina e dopo un paio di tentativi di accensione a vuoto, straordinariamente non corredati dall’ausilio dei santi, si mise a guidare a zig zag.

Schivò uno scooter guidato da un ragazzetto che gli tirò addosso un secchio di male parole che andavano indietro di due o tre generazioni. Santoro nemmeno gli rispose. Aveva le mani arpionate sul volante e non riusciva a staccarle.

“Madonnina santa, ma chi me l’ha fatto fare a me di diventare commissario,” si ritrovò a farfugliare con le lacrime agli occhi.

Pensare che zio Mimmo si era tanto prodigato per fargli avere un posto come venditore abusivo di souvenir davanti al duomo. E invece lui, fesso, aveva voluto studiare per entrare in polizia. Come Maigret.

“E guarda come va a finire! Fesso due volte,” si disse a voce alta, scuotendo la testa. La roba dei libri deve rimanere nei libri.

Finalmente arrivò alla curva prima della casa di zia Costantina. Sentiva lo stomaco di piombo, e un certo stimolo a andare in bagno. Lo stimolò diventò urgenza, quando realizzò che un bagno non ce l’aveva più.

Trattenne il fiato.

Quello che si trovò davanti agli occhi era oltre l’immaginabile.

La casa, che si ergeva – forse abusivamente – su un pezzo di costa riarsa dal sole, sembrava uscita da un film splatter di periferia.

“Santa Gemma Galgani!”

La sua casa era ancora in piedi, certo, ma poco più in là, nella sterpaglia secca, con le ruote all’insù come un grassone inciampato in una scarpata, rantolava un misero Ape cross rosso ruggine con le ruote posteriori ancora roteanti e il tipico rumore da tagliaerba del vicino che proprio non vuol sapere di spegnersi. Tutto attorno sciami di scolapasta minacciavano di sommergere la casa.

“Possibile che una simile quantità di scolapasta potessero stare tutte sull’Ape,” si chiese Santoro a voce alta, asciugandosi con la manica della giacca una lacrima di sollievo.

Si guardò intorno e non vide nulla. Niente macchine della polizia, tecnici per i rilievi, ambulanze.

“Ma che si è bevuto il questore?” si domandò di nuovo. Il buonumore per lo scampato pericolo lo rendeva ciarliero anche con se stesso.

“Commissario, lei mi deve scusare, ho perso il controllo del mezzo!”

Un ometto paffuto con una maglia a righe troppo corta sulla pancia pelosa, apparve gradualmente, prima la testa, poi il tronco e poi le gambe, insolitamente lunghe per il pezzo sopra. Aveva uno zaino scolorito appeso alla spalla destra e pendeva dalla parte opposta come per bilanciarne il peso.

“La strada per il supermercato passa dall’altra parte del paese,” gli disse Santoro, con la tipica solerzia dettata dal sollievo.

“Ma io non devo andare al supermercato!” gli rispose l’altro. “Ho una consegna per lei!”

“Per me?”

Santoro si grattò la testa.

“Lei è il commissario Francesco Santoro?”

“In persona.”

L’ometto trafficò con lo zaino e gli porse un foglio scarabocchiato che riportava un’intestazione illeggibile e il suo nome in stampatello ordinato.

“Cinquemila scolapasta? Che diavolo me ne faccio? Si riprenda questa roba! Io non la voglio,” sbraitò ricacciandogli il foglio nello sterno.

Quello alzò le spalle in segno di resa. “Io non mi posso riprendere nulla, Commissario. L’unica cosa che mi serve ora è un carro attrezzi!”

E senza aggiungere altro si incamminò verso il paese di buon passo.

Santoro rimase lì fermò come un baccalà in un mare di scolapasta. Quando si riprese e si voltò a vedere dov’era l’uomo, le righe della maglia già non si distinguevano. Era da solo, con gli scolapasta.

“Santa Marinel…”

Almeno i suoi santi erano tornati.

Cosa farà Santoro?

  • Riceve una lettera. (0%)
    0
  • Torna in ufficio di gran carriera per parlare con il vecchio. (67%)
    67
  • Affronta l'impellente problema degli scolapasta. (33%)
    33
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34 Commenti

  • Ciao Aiels,
    molto divertente questo capitolo, peccato che il tempo trascorso dall’ultima pubblicazione mi abbia lasciato un po’ indietro con la storia… sono felice che tu abbia comunque ripreso ora, piuttosto che fra anni.
    Ora aspetto di leggere il finale e ti auguro una buona giornata.
    Alla prossima!
    p.s. dalla Pamela

    • Ti ringrazio per il commento. Me la sono presa comoda per vari motivi, lavoro, altri libri da pubblicare e soprattutto l’aver perso un pò il polso della storia, che nella mia testa era partita con il botto e poi sulla carta si è rivelata un cerino (ihihi). Siccome detesto lasciare le cose a metà sono tornata e conto di finire, spero non con tempi biblici.
      Intanto grazie. Ci risentiamo per il finale se vuoi! 🙂

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