L’uomo che gli rubavano le idee

Dove eravamo rimasti?

La prossima mossa Santoro soi fa riferire l'interrogatorio da Unicino (67%)

Svolte?

“Commissario, quello sta fuori come i panni stesi d’estate!”

“E quello l’avevamo capito, ma che vi siete detti?”

Santoro stava esercitando tutto il suo scarno autocontrollo per non strozzare Uncino come un pollo. Il sottoposto quella mattina sembrava essere particolarmente ottuso e sembrava non voler collaborare. Quando gli aveva chiesto del vecchio ci aveva messo una buona mezz’ora a ricordare che solo il giorno prima l’aveva ascoltato da solo, e per più di un’ora e mezza, almeno a sentire il poliziotto all’entrata che aveva segnato l’ora in cui il vecchio se n’era andato.

“Commissario, non me lo ricordo. Quello diceva un sacco di fesserie!” Uncino stava girando la paletta nel bicchierino del caffè e non aveva energie mentali per le domande moleste di Santoro. “Che lo volete sapere a fare poi? Ieri me lo avete scaricato come una rapa bollente!”

“Si dice patata!”

“Rapa, patata, che differenza fa? Nessuno se la vuole pigliare e tocca a me sbrogliare le matasse!”

Santoro emise un sospiro che sembrava una folata di bora.

“Almeno hai raccolto la sua deposizione. Portami il rapporto e mi accontenterò di quello.”

Uncino sembrò improvvisamente interessato al contenuto delle sue tasche. Si curvò tutto come una cannuccia buttata sul fuoco e Santoro si coprì la faccia con la mano.

“Non hai raccolto la deposizione.”

Uncino alzò le spalle. “Commissario, glielo ripeto, quello diceva un sacco di fesserie. Ieri non ne voleva sapere e me l’ha rifilato; come mai ora è così interessato?”

“Andiamo nel mio ufficio!”

Santoro chiuse la porta alle spalle di Uncino e gli fece cenno di accomodarsi. Poi gli raccontò quello che era successo il giorno precedente.

“E lei crede che c’entri il vecchio?”

“No, Uncino, ma non ho nulla da fare e vado levando le zecche dai cani! Certo che c’entra. Il vecchio parla di scolapasta e io mi ritrovo la casa sommersa. Ha un nipote carabiniere, eppure viene qui a parlare con me-“

“Ma lo sa anche lei che con i carabinieri c’è poco da ragionare.”

“Nel nostro mestiere non esistono coincidenze. Lo sappiamo bene. Quindi o quel vecchio ce l’ha con me, oppure c’è sotto qualcosa e io lo devo scoprire.”

“Sicuro, commissario?”

“Certo che sono sicuro. Ho la casa sommersa dagli scolapasta. Questa notte ho dovuto dormire fuori, e io detesto dormire fuori. Quindi ora tu ti concentri e mi riferisci parola per parola quello che vi siete detti ieri!”

Uncino si dimenò a disagio sulla sedia. Sarebbe stato un lungo pomeriggio.

“Il vecchio è venuto qui con un giornaletto di quelli, dicendo che c’era un indizio. Qual era?”

“Indizio? Io ho visto solo delle gran belle figliole. Dica commissario l’ha vista quella con la chiave inglese?”

“La chiave inglese te la do in testa se non ti dai una regolata. Qual era l’indizio?”

“Commissario, il vecchio non mi ha detto nulla di significativo, lo giuro,” disse Uncino, alzando le mani in segno di resa. “Tutto quello che ha fatto per due ore è stato snocciolare un elenco di invenzioni strampalate e fornire una serie di dettagli che nella sua testa dimostravano che qualcuno gliele stesse sottraendo una per una.

“Ad esempio?”

“Ad esempio cosa?”

“Quali sarebbero queste invenzioni strampalate?”

“E chi se le ricorda, io non sono mica stato ad ascoltarlo!”

La vena sul collo di Santoro si gonfiò come un palloncino. Uncino vede la faccia del superiore diventare color barbabietola e si affrettò a tamponare la gaffe. “Ha blaterato qualcosa sulla necessità di trovare la propria arte e custodirla e poi si è messo a parlare di ombrelli da piedi e penne per mancini.”

“E che differenza hanno?”

“Nessuna! Sono delle stramaledette penne bic, che si trovano in qualsiasi cartoleria. E dice di averle inventate lui. A momenti salta fuori che ha inventato pure il telefono. Alla faccia di Bell.”

“Bell non ha inventato il telefono, l’ha solo brevettato.”

“Ah,” disse Uncino restando con la faccia di uno che ha sbattuto il naso contro una porta

Santoro rimase un attimo in silenzio e Uncino si rilassò sulla sedia.

“Hai ancora il giornale quello che ha portato il vecchio?”

“Certo commissario.”

Andò a ritirarlo dal cassetto della sua scrivania e lo porse a Santoro con un sorrisetto cospiratore che il commissario ignorò. Sfogliò le pagine fino all’immagine che gli aveva sottoposto il vecchio. Osservò lo sfondo cercando di ignorare il contenuto del completo da infermiera. Era difficile ignorare quelle cosce piene ed esposte, ma cercò di concentrarsi. Sullo sfondo c’era un divano con degli oggetti sparsi. Gli occhi di Santoro riconobbero con qualche difficoltà uno stetoscopio, un paio di calzini da uomo, un ombrello, un fagotto che poteva essere uno scialle con una stecca di allumino che sporgeva. Non sembrava ci fosse nulla di sospetto. Rimase ancora qualche istante sui pixel patinati, mentre Uncino lo guardava in attesa.

Santoro stava per ripiegare il giornale con stizza quando qualcosa nell’angolo dell’immagine, mezzo tagliato dalla pagina attirò la sua attenzione.

Si grattò il mento, perplesso. Forse il vecchio non era così suonato.

Santoro nell’immagine riconosce

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  • Ovviamente uno scolapasta (100%)
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34 Commenti

  • Ciao Aiels,
    molto divertente questo capitolo, peccato che il tempo trascorso dall’ultima pubblicazione mi abbia lasciato un po’ indietro con la storia… sono felice che tu abbia comunque ripreso ora, piuttosto che fra anni.
    Ora aspetto di leggere il finale e ti auguro una buona giornata.
    Alla prossima!
    p.s. dalla Pamela

    • Ti ringrazio per il commento. Me la sono presa comoda per vari motivi, lavoro, altri libri da pubblicare e soprattutto l’aver perso un pò il polso della storia, che nella mia testa era partita con il botto e poi sulla carta si è rivelata un cerino (ihihi). Siccome detesto lasciare le cose a metà sono tornata e conto di finire, spero non con tempi biblici.
      Intanto grazie. Ci risentiamo per il finale se vuoi! 🙂

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