Dove eravamo rimasti?
Un incontro rocambolesco
«… a sinistra»!
Il sorriso sul volto di Fabio si incrina, adesso, al pensiero di quel momento. Davanti al fuoco, guarda ancora la figlia e decide che è il momento di portarla di sopra. Beve un ultimo sorso di liquore e sale le scale, nella penombra fredda della notte. Sistemata la figlia e messo un caldo pigiama, si osserva la cicatrice sulla mano e il pensiero vola ancora una volta a quel giorno e al momento in cui se la fece. Incredibile quanto fosse stato coraggioso, a quel tempo. Si rimbocca le coperte e accarezza i capelli alla moglie. Chiude gli occhi e si addormenta profondamente.
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L’indomani il sole brilla e quasi si teme che la neve si sciolga in tutta la vallata. L’uomo fa colazione con la famiglia e dice che esce a comprare qualcosa in negozio. Uscito fuori casa, non ha alcuna esitazione nel ripercorrere le orme di molti anni fa. Passo dopo passo, raggiunge la piccola radura in cui sorgeva la casa del padre di Anna. L’abitazione non c’è più, al suo posto un negozio che affitta moto slitte.
«Disturbo?», chiede Fabio varcando la soglia e facendo suonare un piccolo campanello d’ingresso.
«Affatto», risponde il venditore.
«Mi chiedevo se avesse informazioni sul vecchio proprietario del luogo. Sa, prima di questo negozio ci abitava un’altra persona».
«Ah, forse intende il vecchio Giuseppe?».
«Sì, proprio lui. Sa che fine ha fatto?».
«Fino a qualche anno veniva qui a chiedere una tazza di caffè. Dopodiché stava fuori fino a quando il tempo glielo permetteva. Una volta è rimasto così a lungo che ho temuto si congelasse».
«E ora?».
«Nell’ultimo anno non si è ancora visto. A quanto so si è trasferito in città. Troppo freddo quassù per uno della sua età».
Fabio esce dal negozio, ringraziando il venditore, e fuori osserva gli alberi che crescono attorno. Lo sguardo si concentra su un ramoscello e il ricordo si materializza con forza insistente.
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«Sinistra quindi?», chiese ancora una volta Anna. Fabio annuì, prontamente. I due ragazzini, allora, si diressero verso i rami abbattuti.
«Vedrai che andrà tutto bene», disse il ragazzo. Anna sembrava non averlo minimamente ascoltato. Proseguirono così per un una quindicina di minuti, camminando tra la neve, poi Anna si appiattì a terra ad un tratto, invitando Fabio a fare lo stesso, intimandogli di fare silenzio. Erano arrivati all’entroterra di un bosco seguendo i rami rotti e spezzati. Erano come persi o volutamente lasciati indietro, magari da un fascio più grande. Il ragazzo ebbe un battito di cuore in meno quando se ne rese conto, osservandosi intorno con il petto a terra. Sarebbero riusciti a ritornare a casa? Lo sperava davvero. Lo spavento durò poco però, perché un’altra scena, molto più importante, ne catturò l’attenzione.
Un uomo litigava con quello che doveva essere il padre di Anna. L’aspetto di quest’ultimo era quello di un uomo possente, dalle grandi braccia e dalla folta barba castana; eppure, il suo avversario, seppur non di troppo meno robusto, riusciva ad incutergli minore. I due ragazzini non riuscivano però a capire cose stessero dicendosi. L’uomo sconosciuto, dalla giacca nera e i guanti di pelle marroni, diede uno spintone al padre di Anna. La ragazza fece per scattare, ma venne fermata da Fabio.
«E’ mio papà», sussurrò lei.
Il padre di Anna sembrava non reagire, poi, però, l’uomo sconosciuto, forse stanco di questo suo atteggiamento, tirò fuori un coltello. Fu solo in quel momento che Fabio si lasciò andare alla carica, inconsapevole di possedere tanto coraggio.
«Ma che diavolo?», urlò il loro nemico. Per istinto questo diede un fendente, colpendo la mano del ragazzo. Fu in quel momento che Anna iniziò a colpirlo di pietre. Il padre della ragazza, ripresosi un attimo dallo stupore, aggredì il suo avversario. In un attimo fu sopra di lui, scacciandogli il coltello dalle mani. Dopo un paio di colpi ben assestati, parlò.
«Vattene», gli disse, «E non farti più rivedere».
Lo sconosciuto guardò l’uomo con occhi carichi di ira. Se avesse potuto fulminarlo lo avrebbe fatto. Poi, però, vista l’inferiorità numerica, abbassò lo sguardo, digrignando i denti, e, rimessosi in piedi, si incamminò da solo nel bosco. Era ferito, ma forse più nell’orgoglio.
«State bene ragazzi?», domandò il padre della ragazza, con una voce pastosa e calda.
«La mia mano…», disse Fabio, mostrando ai presenti il taglio sul palmo.
«Oh accidenti. Vieni, ritorniamo a casa e vediamo di sistemarla».
«Chi era quello, papà?», domandò la ragazzina.
«E’ una lunga storia tesoro. Ne riparliamo a casa, il tuo amico… Come ti chiami?».
«Fabio».
«Ecco, piacere Fabio. Il tuo amico Fabio, Anna, ha bisogno di cure per quella mano. Nulla di grave però, stai tranquillo ragazzo».
Insieme, così, ritornarono indietro per il sentiero. E capirono il perché di quei rami sparsi per terra. Appartenevano al padre di Anna, il quale li aveva persi dalla cesta che portava sulle spalle.
«Eccoci arrivati», disse l’uomo, dinnanzi alla porta d’ingresso.
«Io sono Giuseppe, ragazzo. E grazie per avermi salvato la vita».
«Dunque, chi era quello papà?», domandò Anna.
- «E' tuo zio, Anna. Mio fratello». (67%)
- «E' un vecchio nemico, antichi rancori mai sanati...». (33%)
- «E' uno strozzino. Devo un mucchio di soldi». (0%)

26/07/2023 at 23:03
Lo zio di Anna! Se erano lì per cercare le informazioni dello zio, è giusto che trovino lo zio!
E come volevasi dimostrare il villaggio viene distrutto non per colpa di una neonata per colpa della solita cretineria della gente. Ed il vecchio non se ne accorge nemmeno! Perché se non avessero iniziato con insulti, minacce e violenze ma avessero ringraziato e congratulato, non ci sarebbe stato nessun incendio e nessun villaggio distrutto. Ma si sa: l’umano è peggio dell’asino!
Ciò detto, la storia mi intriga ancora molto e sei riuscito a salvarti in corner dall’errore fatto nel capitolo precedente. Mi piace come si sviluppa. Peccato che le lunghe pause mi hanno fatto dimenticare diversi dettagli.
Ciao 🙂