Tasti bianchi, tasti neri

Le ore acide della notte

Non sono mai stato una persona sicura né tanto meno decisa. In realtà volevo fare il cantante ma una timidezza di fondo, persa poi come vi dirò dopo, convinse i miei genitori a mandarmi a lezione di pianoforte. Il pianoforte è lo strumento ideale per chi si vergogna ad esprimere le proprie emozioni, può farti essere completamente anonimo e farti, poche battute dopo, esplodere in un virtuosismo diabolico che diventa una specie di vendetta contro gli ascoltatori, ed è questa la parte che mi piace di più, l’ho scoperta a tredici anni, una cosa pazzesca.

Abito maledettamente da solo da quando due anni fa la mia convivente, leggasi fidanzata a tempo pieno, mi ha mollato per seguire la sua carriera, carriera inesistente, suona la viola e la suona pure male ma tant’è. Per inciso è ancora sola, anzi si è presa un cane per cui ora rientra nella categoria “donna sola con cane”, una delle peggiori con cui avere a che fare. Non si sa mai infatti dove piazzare la povera bestia quando si esce oppure, nella peggiore delle ipotesi, tocca tornare a casa tutte le sere, peggio che avere un bambino, quello , qualche volta, lo puoi piazzare sempre presso il tuo ex marito, ammesso che tu, un ex marito, l’abbia.
Insomma mi sono ritrovato solo e mi sono concentrato solo e soltanto sulla musica.
Gli effetti li potete immaginare, il mio frigo è pieno di scatolame, pago una donna di servizio e cerco di stare il più possibile lontano da casa. Tutto questo però non fa di me quello che si definisce uno “sfigato”, anzi sono tutto il contrario di quello che si dice “un bravo ragazzo”, se non altro perché non sono più un ragazzo.
Il mio piano è praticamente il centro spirituale della mia vita come il suo sgabello è il centro fisico della mia vita sessuale, inutile dirvi che lo cambio spesso, in ventiquattro anni ne ho rotti otto. Sul leggio del pianoforte ora campeggia la “Fantasia e Fuga in Sol minore” di J.S. Bach riadattata per pianoforte da Liszt. L’originale è per organo figuratevi che macello.
Io l’Abate, ovvero Listz, lo adoro. il brano che probabilmente mi appassiono più a suonare è “Liebenstraum”, “sogno d’amore” per capirci, i titoli li so tutti in lingua originale perché il mio professore di interpretazione quando sbagliavi la pronuncia ti tirava la partitura per la finestra, che se finiva in strada andava anche bene, una volta “la barcarolle” di Mendelssohn precipitò su di un furgone in transito che inchiodò, il preside lo rimproverò e lui se la prese con me. Che gran personaggio era il preside Giuseppone, suonava il corno, diceva, perché era solo uno dei tanti raccomandati che negli anni ’90 senza merito occupavano posti di responsabilità.
Ma torniamo a “sogno d’amore”, probabilmente mi piace tanto proprio perché l’amore non ce l’ho e la musica, con il suo carico emozionale, mi ha fatto sempre credere che fosse qualcosa di alto , bellissimo e pulito. Non ho avuto di queste fortune.

Ho una relazione, o meglio, ne ho molte ma l’unica degna di nota è quella con una collega: Daniela.
Daniela è un’insegnante di arpa ma è tutto il contrario di quella che un’insegnante di arpa rappresenta nell’immaginario, ha un corpo giunonico, un bel viso pieno e delle importanti curve. L’ho corteggiata spietatamente al tempo del conservatorio ma a diciotto anni era già fidanzata con il suo amore di oltre oceano, si sa con gli stranieri e con i ricchi non si può combattere.
Quando ne aveva trenta lui la lasciò quasi morta sulla porta della loro casa a Conye Island e divorziarono, lei si tenne il bambino, Thomas, un ragazzone con la stessa faccia da idiota del padre. Ci frequentiamo una o due volte alla settimana, non avrei chi portare al cinema o ai concerti, è di buona compagnia ed ha una carica erotica rara, mi piace anche dormirci vicino, in qualche modo mi fa sentire protetto.
Al suo ritorno dagli U.S.A. avrei anche potuto chiederle di sposarmi ma il modo ridicolo in cui affrontava l’argomento in un paio di mesi mi convinse che forse era meglio che ognuno stesse a casa propria e così è stato, sono undici anni che è così.
E poi ce lei, Yohanna, padre italiano e madre nigeriana, tribù Hausa, una bellissima e sinuosa linea mulatta che prende lezioni da me tre giorni alla settimana. Non è ne particolarmente brava ne particolarmente giovane, ha quasi trent’anni, ne ha persi un po’ cercando di studiare lettere.
Al piano è pessima, una delle peggiori allieve mai avute, studia pochissimo e legge quasi tutto a vista ma questo non mi spiace più di tanto in fondo non ero molto diverso, anzi.
Quando facciamo lezione non riesco a staccarle gli occhi di dosso, mi perdo tra la montagna di capelli che ha e che fanno disegni sempre diversi in cui ci vedo di tutto, ha un profumo o meglio, un odore che sento anche quando è nel corridoio, non è eccitante ma interrogativo.
Adoro tutti i miei allievi e per loro ci sono sempre, pensate che hanno tutti il mio numero di cellulare.
Ed eccoci a noi, sono le 2.23 per la prima volta il mio angelo nero mi messaggia “che fai prof?”. 

Cosa farò?

  • Scrivo a Daniela e faccio sesso virtuale con lei (25%)
    25
  • Ripongo il cellulare e mi addormento (0%)
    0
  • Rispondo a Yohanna (75%)
    75
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