La cella
L’uomo apre gli occhi, ma è come se li avesse ancora chiusi: il buio lo avvolge come una pesante coperta. Non sa dove si trova, è confuso e spaesato. Porta le mani al volto con un gemito: il primo rumore nel silenzio assordante che gli regna intorno. La superficie su cui è disteso è fredda come il ghiaccio. Una fitta di dolore lo trafigge alla spina dorsale, strappandogli un nuovo mugolio e una smorfia. Tenta di sollevarsi, ma ha il corpo indolenzito. Con uno sforzo, si mette seduto a gambe incrociate; la testa gli gira ancora mentre pian piano gli occhi si abituano a quella strana penombra. Si guarda intorno. L’unica luce, fioca e fredda, filtra da rare fessure disseminate nelle quattro pareti che lo circondano, rischiarando appena uno spazio angusto.
«Che cazzo…»
Si alza in piedi sbattendo la testa sul soffitto, deve piegare leggermente spalle e ginocchia per poter camminare e avvicinarsi ai muri e alle lame di luce. Tenta di infilare le dita nelle fessure: sono troppo strette. Inclina la testa e avvicina l’occhio a uno dei pertugi per guardare attraverso, ma una luce intensa lo abbaglia. Indietreggia di qualche metro, fino a sbattere con la schiena contro la parete opposta. Si massaggia le reni ammaccate. La luminosità nella stanza sembra essere aumentata: non riconosce il luogo in cui si trova, né ha la minima idea di come ci sia finito. O quando. Non sa nemmeno dire quale sia il suo ultimo ricordo. Cerca di frugare nella memoria, inutilmente. Si guarda intorno stranito.
Non ci sono mobili, eccetto una sorta di branda in ferro, in un angolo. Sicuramente la superficie fredda su cui si è risvegliato. Non c’è nient’altro.
“Nemmeno un cesso”, pensa nervosamente, né porte o finestre. Preso dal panico, inizia a tastare febbrilmente ogni centimetro delle pareti. Sembrano essere metalliche e lisce, ma, se qualcuno lo ha messo lì, deve esserci un’apertura. Un modo per uscire.
Ha già esplorato con i polpastrelli un intero muro quando si accorge che il respiro gli diventa affannoso; rigoli di sudore gli percorrono la schiena facendolo rabbrividire, mentre un caldo via via più soffocante gli toglie il fiato. Si sforza di esaminare la seconda parete, ma la temperatura sembra aumentare di minuto in minuto e rende ogni gesto più difficoltoso. Tenta di asciugarsi la fronte madida con la manica, rinuncia: è già fradicia.
Il ricordo della sensazione di freddo provata al risveglio gli appare come una promessa di refrigerio. Camminando curvo sotto il soffitto troppo basso, si precipita sulla branda, speranzoso.
La superficie metallica è ora calda come sabbia sotto il sole d’agosto. Si lascia scivolare a terra, in cerca di un ristoro che non trova.
«Dove cazzo sono? Perché?», urla, con una voce che non riconosce: la gola è riarsa, solo ora se ne rende conto; parlare gli costa fatica e dolore. In risposta al suo grido, la cella si inonda di luce bianca, costringendolo a chiudere gli occhi. Li riapre cautamente, aspettando che si abituino alla nuova luminosità. Ma non c’è modo di abituarsi alla temperatura. Non crede di aver mai avuto così caldo in vita sua.
“Sete. Devo bere”, pensa massaggiandosi il collo con la mano.
Come in risposta ai suoi bisogni, sul suolo davanti a lui si apre una botola quadrata da cui spunta una sorta di tavolino, della stessa taglia dell’apertura. Sul ripiano, una bottiglietta trasparente. È piena fino all’orlo di un liquido ambrato. La gola gli duole solo a vederla. Ha bisogno di bere, ma chi diavolo sa cosa contiene quella bottiglia. La mano gli trema dal desiderio di afferrarla e portarla alla bocca, ma esita. La temperatura della stanza aumenta ancora, più velocemente di prima; l’uomo si sente quasi svenire. Non c’è il tempo d’aspettare, s’impossessa della bottiglia e la tracanna avidamente.
Non saprebbe definirne il gusto, non ha mai bevuto nulla di simile. È un liquido denso, quasi vischioso; il sapore è dolce, con un retrogusto speziato. L’unica cosa che sa è che concede un ristoro immediato alla sua gola riarsa. Quando posa la bottiglia vuota, il tavolino scompare da dove è venuto portandola con sé; il pavimento riprende il suo aspetto iniziale. Intatto.
L’uomo si lascia andare all’indietro e appoggia la schiena alla parete che ora non brucia più. Con sorpresa, si rende conto che anche la temperatura nella stanza è tornata respirabile.
“Dovrei ricominciare a cercare una via d’uscita,” riflette. Non ha ancora finito di formulare il pensiero che, sulla parete opposta, una porta sembra materializzarsi dal nulla, esattamente come il tavolino. Il battente scorre silenzioso aprendosi.
L’uomo non crede ai suoi occhi. Forse è un miraggio, forse una trappola, ma non ha nulla da perdere. Si alza, diretto alla porta. Realizza di non avere più bisogno di chinarsi per camminare, può tenersi diritto. Ancora una cosa a cui non sa dare una spiegazione. Alza le spalle e attraversa la soglia.
Una voce calda e gioiosa lo accoglie.
«Roberto, sei arrivato! Ti stavo aspettando».
A chi appartiene la voce oltre la porta?
- Un uomo (0%)
- Una donna giovane (25%)
- Una donna anziana (75%)

26/08/2020 at 10:32
l’uomo a un certo punto capisce che era in una cella di un carcere.
28/07/2020 at 11:11
Luomo cerca di ribellarsi con chi la fatto finire in quel brutto posto
18/12/2019 at 21:12
Wow. Ho recuperato gli ultimi due e devo dire che siete andati oltre ogni più rosea aspettativa. Avete osato, pur senza venir meno alla coerenza interna alla storia con il risultato affatto scontato che tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati alla perfezione. Bene, benissimo anzi. Direi che potete dirvi soddisfatti dell’esperimento. Storia che avrebbe meritato molta più attenzione. Peccato davvero.
Su questo però Vi rimando alla lettura del mio penultimo commento. Alla prossima (sperando che ce ne sarà una)
10/12/2019 at 13:37
Credo che Roberto sia un soggetto schizofrenico, siccome immagina persone che non esistono, ma sono proiezioni di se. Questo racconto è cyberpunck, mi piace il genere.
16/12/2019 at 10:51
Ciao, Luigi.
Intanto, grazie per essere tornato a leggere il finale. Roberto è stato molte cose, figlio di sei menti diverse che lo hanno generato, fatto muovere in mondi costruiti da molteplici idee. Questo racconto è stato portato avanti come un esperimento e possiamo ritenerci soddisfatti del lavoro svolto.
In relazione alla tua interpretazione della storia: Roberto ha subito l’interazione di droghe, di esperimenti sadici volti a riportare a galla ricordi sopiti e meritevoli di condanna, ha dovuto vivere e rivivere esperienze del passato e di un presente fittizio. In qualche modo, per come lo abbiamo pensato, un po’ schizofrenico lo è. Felici che ti sia piaciuto, chissà se ci rivedremo…
Nel frattempo vorremmo augurarti Buone Feste Imminenti.
30/11/2019 at 19:04
Potete votarmi? Sono rimasto troppo indietro.
10/10/2019 at 13:41
Mi piacciono queste storie. Una storia di faiglia, di un uomo che in un primo momento sembra un normale detenuto, di cui non dice mai il motivo per cui sta in carcere, in un secondo momento, semra che si tratti di un uomo cieco ed in fin di vita, costretto a prendere una medicina che gli fa uscire del liquido dall’ombelico, e poi si scopre che quelle cose che vedeva nella mente, non erano ricordi reali. Non era la sua famiglia.
16/10/2019 at 09:30
Ciao, Sauro e benvenuto.
Sono contento che la storia ti piaccia!
Mi scuso per il ritardo con cui ti rispondo, ma per fortuna tua, arrivando ora non hai dovuto attendere tra un capitolo e l’altro 🙂
Sì, ci sono un sacco di cose, in questa storia, forse pure troppe 😀 ma contiamo di dare un finale coerente a questo marasma.
Forse 😀
Grazie mille del voto e del commento
Ciao, a presto
12/09/2019 at 17:44
Dopo tanto tempo sono tornata e ho recuperato il vostro racconto. Siete veramente una grande squadra, la vostra scrittura coglie sempre di sorpresa. Ancora sono un po’ confusa, ma presto attenzione per arrivare al finale. Magnifica, unica e ben riuscita quest’esperienza di ‘sei scrittori in uno’. Non è facile, ma voi siete stati bravissimi a mettere sei teste insieme in completa armonia.
Alla prossima!
13/09/2019 at 09:07
Buongiorno, Charlot, e grazie per i tanti complimenti 🙂
Riguardo alla confusione, be’, periamo di diradarla un po’ negli ultimi due capitoli, ma non te lo posso garantire 😀
Grazie di tutto, a presto
11/09/2019 at 08:18
Decisamente in un corpo artificiale.
Ragazzi ma quanto siete diventati bravi? E quanto bene vi sta facendo quest’esperienza? Ma voi una roba così la dovete assolutamente replicare, ché insieme funzionate alla grande! Molto, molto bello questo ottavo, forse il più bello tra quelli letti fin’ora… non ho consigli da darvi, solo non vedo l’ora che sia finito per rileggerlo dal principio, ché la sola cosa che manca è un po’ di regolarità negli appuntamenti ma quello si spiega con i sacrosanti tempi del confronto che deve essere una roba non facile, immagino. Bravi, solo questo dico.
Ah e fossi in voi non mi farei troppi problemi a dare maggior risalto al racconto ricorrendo a pratiche che sono sicuro avete scartato in ragione della vostra onestà.
Non si fa, lo so, ma nel vostro caso sarebbe un po’ diverso dacché theIncipit, come sapete perfettamente, è fatto di scambi di opinioni; insomma è anche commentando gli altri che ci si fa conoscere, solo che commentare gli altri come Six Pistols per voi è impossibile e questa cosa vi sottrae una bella fetta di visibilità ed è un peccato perché il racconto merita e meritate voi… si tratterebbe di compensare in fondo, niente di più. Si, lo so, non mi ci vedete nei panni del demonio tentatore e non mi ci vedo manco io per la verità però ci dovevo provare anche se so già come andrà a finire…
12/09/2019 at 08:50
Ah Ah, Lou, sei troppo buono e il mostro dodecapodo che risponde a questo nick ti dedica ben sei sorrisi riconoscenti, uno per cefalo 😀
La “sregolatezza” degli appuntamenti, per quanto di certo non l’unico, è effettivamente un grave problema, ma in effetti mettere il signor (o la signora) SixPistols d’accordo con se stesso/a non è facile. A tal proposito, una delle sue teste borbotta spesso “Sesi concas, sesi berrittas”: ogni testa indossa un cappello diverso 😀
Un minimo di “promozione” ce la facciamo, leggiamo qua e là, proviamo a dare consigli… Proveremo a farne un po’ di più, chissà che qualche autore/lettore non sia ancora in tempo di innamorarsi tardivamente del nostro fantascienzosmagorico racconto 😀
Grazie ancora, grazie davvero
Ciao, a presto…o almeno “a non tardissimo” 😀
10/09/2019 at 20:41
La mia confusione regna. Purtroppo, non ricordavo molto dei capitoli precedenti, già volutamente incasinati.
Sullo stile, la scrittura, la scorrevolezza e l’effetto WOW delle immagini che evocate, non si discute. Sono solo profondamente annebbiata e ho paura di non aver capito tutto.
Spero che alla fine ci sarà una spiegazione che unirà tutti i pezzi.
11/09/2019 at 08:06
Ciao Caterina,
grazie per la pazienza. Eh sì, un po’ di confusione un racconto del genere la crea, non è semplice per noi autori, figurarsi per il lettore 🙂
Vedrai che nel finale i pezzi andranno a posto e il racconto assumerà un significato e si troverà una dimensione a quanto scritto fin qui… almeno spero.
Perdonaci per l’attesa e rimani con noi, male che vada ti sarai fatta un giro nella testa di sei persone, non male no?
Buona giornata!
16/08/2019 at 01:34
Ottimo racconto! Ho letto tutto stasera, era da tanto che non frequentavo la piattaforma… Attendo gli ultimi capitoli!
10/09/2019 at 17:06
Buonasera, HOPE! Benvenuto/a e grazie per i complimenti.
La mia risposta giunge con un ritardo pazzesco, così come, ahimè, la pubblicazione dell’ottavo capitolo. Spero che non ti sia dimenticato/a di questa storia e che abbia ancora voglia di sapere come va a finire 😀
Ciao, grazie ancora!
14/08/2019 at 19:16
Ciao ragazzi, solo per dirvi che ho cominciato un nuovo racconto, se vi va sapete dove trovarmi…
10/09/2019 at 17:04
Ciao, Lou!
Sì, abbiamo notato la tua nuova, bella avventura.
Adesso dicci che pensi di quest’ultimo capitolo (a parte che è molto in ritardo, si intende 😀 )