Follia

Dove eravamo rimasti?

Per un degno ultimo episodio, ci sarà un colpo di scena, con protagonisti due personaggi. Uno lo sceglierete voi, tra: Peter (50%)

Spannung

Un’altra notte di sonno agitato, inquieto.

Era stata una giornata davvero pesante per Peter, più di tutte quelle passate al Manicomio fino a quel momento. Si addormentò rivivendo all’infinito la lite in corridoio con il direttore Koch e le sue ultime parole, urlate a squarciagola, gli rimbombarono nella testa finché non prese sonno, distrutto dalla stanchezza.

«BUCHERÒ LA TUA MERDOSA FACCIA A SUON DI PROIETTILI… FOSSE L’ULTIMA COSA CHE FACCIO!»

Era un desiderio che non riusciva a soffocare e la sua astinenza da Pervitin non lo aiutava certo a tranquillizzarsi. All’improvviso, però, il suo sogno cambiò di colpo, come se la sua mente fosse lo schermo di un televisore e qualcuno avesse cambiato improvvisamente programma. Si trovò in una piccola stanza, interamente occupata da un enorme dispositivo elettronico che la riempiva completamente, diviso in due parti: da un lato, il pannello di controllo per gestire le impostazioni di decodificazione; dall’altro, i nastri in cui vengono impressi i dati decrittati. Non era la prima volta che vedeva quel posto.

Capì subito che quelle immagini che invadevano la sua mente erano la riproduzione di qualcosa di reale, una situazione che aveva vissuto veramente ma di cui aveva dimenticato tutto, fino a quell’istante.

Non ne sono erto, ma credo che sia il 1940…

Fu l’ultimo pensiero logico che fu in grado di avere all’interno del sogno, prima di perdere totalmente la lucidità. La testa cominciò a girargli vorticosamente. Attorno a lui e all’enorme macchinario di decrittazione apparvero, improvvisamente, alcune api – ne riuscì a contare quattro – che cominciarono ad eseguire una strana danza, prima ondeggiando ripetutamente dall’alto verso il basso, poi in modo da creare ripetutamente la forma di un otto.

Seguire il loro movimento lo rese ancora più confuso e gli indusse uno stato ipnotico: la sottilissima linea che divideva sogno e realtà era ormai quasi del tutto svanita e non sapeva più come distinguerli. 

Poi, il buio totale.

Anche quella era una situazione che aveva già vissuto, a casa sua. Uno dei suoi peggiori incubi era tornato, più reale che mai.

Non vedeva assolutamente nulla, ma sapeva di non essere solo. Oramai era solo un’eco lontana, ma riusciva comunque a percepire ancora il suono prodotto dalla danza delle api. 

CHI C’È??

Nessuna risposta.

Non riuscì più a dire nulla e le sue mani cominciarono autonomamente a battere forte contro la fronte, a percuoterla in continuazione, con violenza. Non poteva fare nulla per fermarle. Fu in grado di fermarsi solo quando notò un minuscolo spiraglio di luce in fondo alla stanza, sulla destra. Era sempre lo stesso ma, questa volta, aveva una funzione diversa rispetto alla volta precedente.

La prima volta che l’aveva sognato, aveva molto probabilmente rappresentato per Peter esclusivamente una fonte di speranza, quella luce in fondo al tunnel che ti costringi a vedere per non lasciarti andare completamente. Ora, però, aveva una funzione ben diversa; serviva ad illuminare qualcosa, ma dovette avvicinarsi per riuscire a distinguerlo. Si mosse lentamente, le braccia protese in avanti a protezione di eventuali ostacoli che non avrebbe potuto identificare attraverso la vista. Quando fu di fronte a quel minuscolo spiraglio di luce, seguì con lo sguardo la direzione verso cui puntava, alla sua sinistra. 

Vide un piccolo mobile, un comodino, occupato da due oggetti, una fotografia e una scatola di Pervitin. Era identico a quello della sua camera da letto. Nonostante l’astinenza, in quel momento la concentrazione di Peter era tutta focalizzata sull’immagine all’interno della cornice. I suoi occhi fecero uno sforzo enorme, ma alla fine si abituarono a quella minima quantità di luce nella totale oscurità e riuscirono ad individuare tutti gli elementi e le persone presenti nella foto. 

Il primo elemento che riconobbe fu il giardino di fronte alla casa in cui viveva con la madre e il fratello. Erano proprio loro i protagonisti della foto, ma c’era una quarta persona.

AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

Si svegliò di colpo, urlando. Di fronte a lui, un corpo penzolante appeso per il collo ad una corda. Era quello del direttore Koch.

L’ultima cosa che gli rimase impressa fu il contenuto del piccolo biglietto che l’uomo impiccato teneva chiuso nella mano destra, prima che il buio e l’abisso rappresentato dalle sue paure più grandi lo inghiottissero nuovamente. Il messaggio diceva:

Non potrei mai farti del male.

Ti chiedo scusa, per tutto.

Tuo padre, J.L.A. Koch

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