ORIGINI

OCCHI DI RAME

Il bosco stava cambiando colore al ritmo dell’autunno iniziato da pochi giorni, l’umidità, alle sette del mattino, brillava sull’erba colpita dalla poca luce che filtrava dalle fronde degli alberi. Gli odori del bosco avevano un effetto rilassante su Luca e lo preparavano a una nuova e intensa giornata di lavoro. Gli piaceva correre ma non sopportava farlo sulla strada, amava sentire il fruscio delle fronde degli alberi, lo scricchiolio dei rametti sotto i piedi e per questo non ascoltava mai la musica utilizzando gli auricolari come molti suoi amici.  Aveva percorso sei chilometri degli abituali dodici, l’esatta misura della distanza tra casa sua e il posto di lavoro dove, nello spogliatoio, aveva pronti gli abiti e tutto il necessario per farsi una doccia.

Fermò la sua corsa, gli era sembrato di sentire un lamento o qualcosa di simile provenire a destra tra gli alberi. Attese alcuni secondi e lo sentì nuovamente, forse era un animale. Guardò l’orologio indeciso se proseguire o andare a verificare, avrebbe fatto tardi al lavoro rimettendoci un permesso, ma era curioso per natura e il lavoro poteva anche aspettare.

Attivò il GPS sul telefono e salvò la sua posizione, abbandonò il sentiero conosciuto e si addentrò tra gli alberi seguendo quel suono con attenzione a passo lento per evitare di fare rumore. Non conosceva bene quel posto, ci passava solo in mezzo per stare un po’ a contatto con la natura e non era mai uscito dal sentiero battuto. Certamente non si sarebbe allontanato di molto, ma la sicurezza non era mai troppa e non aveva voglia di perdersi nel bosco e fare una figuraccia con i suoi colleghi. Camminò per alcuni minuti seguendo il suono che si manifestava alternato a silenzio per parecchi secondi, ma era sulla strada giusta e in quel momento lo aveva sentito decisamente più forte della volta precedente. Era circondato dagli alberi e da alti cespugli di more e altre bacche che non conosceva, avanzò in direzione di un albero storto che sembrava voler cadere da un momento all’altro e che era alto più di venti metri. Si accorse che a piegarlo era stato l’impatto con qualcosa di grande e pesante che qualcuno doveva aver rimosso, si capiva dalla spaccatura del tronco che aveva il diametro di una novantina di centimetri.

Eppure non ricordava di aver letto nulla sui giornali locali, di recente.

Il lamento si manifestò nuovamente e Luca si rese conto che doveva essere particolarmente vicino a lui, osservò bene attorno a sé e trasalì alla vista del corpo appoggiato a un albero qualche metro dietro di lui, non lo aveva notato mentre gli passava accanto per osservare da vicino l’albero spezzato.

Si avvicinò, si trattava di una persona. Era appoggiata con la schiena al tronco di un albero e indossava una tuta molto simile a quelle utilizzate dai piloti dei caccia militari, solo che il colore era diverso, nera con delle fibre che riflettevano la luce in modo strano. La testa era protetta da un casco dello stesso colore della tuta che non permetteva in alcun modo di vedere il viso ed era inclinata verso la spalla destra, segno di svenimento. L’altra cosa che lo colpì furono le scritte nella zona del torace, assomigliavano agli ideogrammi giapponesi ma non aveva mai visto nulla del genere su internet, e sicuramente non erano  scritte arabe.

Il militare non indossava armi e decise di tentare di sfilargli il casco e provare a capirne la nazionalità. Forse, pensò, era meglio che chiamasse le forze dell’ordine, ma non voleva essere estromesso da quella scoperta di cui si sarebbe potuto vantare con amici e colleghi di lavoro.

Cercò la fibbia per lo sgancio ma non riuscì a trovarla e si accorse che il casco copriva completamente anche il collo del militare. Rovistò ancora con delicatezza, il torace dell’uomo si alzava e abbassava lentamente, finché i polsi di Luca finirono stretti nelle mani guantate del tizio.

«Ektra uhmn trsenar!»

A quelle parole, Luca trasalì cadendo all’indietro sul sedere. Non aveva mai sentito quella lingua e la voce era femminile.

La visiera del casco sparì e lo stesso si aprì a metà rivelando il viso di quella che era una donna militare sui trent’anni. Luca si trovò a fissare due occhi di rame, come quello nuovo e lucido. I suoi occhi grigi, a confronto, erano una schifezza. Lei lo fissò alcuni secondi, non c’era paura in quello sguardo, poi si toccò un punto sotto l’orecchio destro parzialmente nascosto dai capelli talmente chiari da sembrare bianchi, ma non lo erano e avevano striature azzurrine percepibili solo contro luce.

«Vattene da qui!» la donna ora parlava italiano.

«Ora ti capisco!» sorrise Luca «Sei ferita, devo portarti in ospedale».

«No!» urlò la donna «Devi andartene, è pericoloso per te!»

Luca ignorò la richiesta e si abbassò per prendere in braccio la ragazza, aveva capito che non riusciva ad alzarsi da sola. Lei si dimenò per alcuni secondi, ma quando si trovò sollevata da terra gli si aggrappò al collo.

Era straordinariamente leggera.

«Ti prego non portarmi in ospedale».

Luca deve portare la ragazza in ospedale anche se lei non vuole?

  • Decide prima di portarla a casa per trovarle qualcosa di normale da farle indossare e poi deciderà cosa fare. (0%)
    0
  • No, la porterà a casa sua rispettando la richiesta e cercherà di conoscerla meglio. (43%)
    43
  • Sì, ma nel farlo si accorgerà che non ha documenti di riconoscimento addosso. (57%)
    57
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82 Commenti

  • Come ti hanno già detto un finale un po’ affrettato, ma penso che su questa piattaforma sia meglio arrivare alla fine piuttosto che lasciare una storia incompleta, in fondo siamo qui anche per divertirci e questo fa parte del gioco.
    Comunque al di là della fretta il finale mi è piaciuto, è aperto ma comunque conclusivo e non ti fa sentire la necessità di un seguito, inoltre la battaglia finale pur essendo un po’ striminzita funziona piuttosto bene. Alla prossima storia allora!

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