Think the Same
Mi capita questa vecchia pubblicità Apple, “Think Different”.
Il mio cervello partiva da una posizione di colpevolissimo riposo telematico. La responsabilità di tale riposo è attribuibile al collage sconnesso e arbitrario col quale ho più o meno volontariamente scelto di autoipnotizzarmi una trentina di minuti fa. Il collage è frutto di un accordo umano tra quei ghiacciati algoritmi YouTube e quello che mi passava per il cazzo di vedere oggi. Video di ragazzi che dividono precisamente in due le sacche testicolari degli amici svegliandoli con dei petardi, seguiti da dei tentativi molto andati affanculo di glorificarmi l’anima con l’ascolto attivo della Missa Brevis di Buxtehude, a cui si sono casualmente aggiunti scandagliamenti oziosi e meravigliati delle avanzate tecniche eristiche di Sgarbi, in possibile ottica imitativa. Chissà se faccio lite ‘naltra volta sul tram, che mi piace mettere i piedi sull’altro sedile. Sì, mi piace. Non mi rompete il cazzo.
Comunque mo’ mi è capitata quella pubblicità di ‘sta grandissima minchia.
La mia massa grassa encefalica ritira fuori dal fodero le armi ideologiche. Accumulate ed incarnite in un pluriennale e doloroso processo di cementificazione neurologica fatto di letture appassionate e gotiche emorragie spirituali. Spero non marciscano presto. Ho lo stesso livello di attività cerebrale di una base militare colta da un bombardamento notturno.
Però sta ‘na differenza con la base colta alla sprovvista: che io sto preparato, Steve Jobs del mio grandissimo cazzo. Io sono i Romani, Jobs, e questo tu lo devi capire. I Romani, prima che iniziassero a fare i porci. Non l’Impero, non Tiberio, non Commodo, ma l’antica Repubblica. Gli Scevola, i Mure, i Gracchi, gli Scipioni. E se ti aggrada puoi scegliere di aggiungerci anche i romani che sognando di essere degni della Repubblica lo divennero davvero, degni e pure di più: i Trajano, o i Marco Aurelio. Quelli che si sarebbero infilati di colpo l’avambraccio nella trachea, e tredici secondi dopo l’avrebbero estratto col cuore in pugno pronto per bruciarlo: basta che nessuno glielo metteva nel culo a Roma.
E, ideologicamente parlando, manco a me me lo metti nel culo, caro Steve.
Per me sei offensivo, ecco cosa sei.
Estasiato da questa sega mentale classicista, ritrovo il mio cervello filosoficamente armato nel medesimo range temporale in cui un maschio adulto configurerebbe che la risposta giusta da dare sarebbe “Sì” nel caso in cui ricevesse la proposta cosmologicamente irrealistica di subire l’indomani stesso, senza alcuno svantaggio, un’appassionata prestazione orale di tre quarti d’ora da Sara Sampaio. Mentre Gigi Hadid porta da bere. Nuda.
La mia anima si imbastardisce, si accartoccia come un foglio di carta velina esposto ad un brillamento solare, si annerisce come quelle lenti da sfigati storici che diventando nere al sole ti privano dell’unico gesto davvero figo ed eroico che puoi fare nel 2020, cioè prendere e metterti gli occhiali da sole. Perché non siamo nell’antica Repubblica.
Ci vuole pure culo per avere la possibilità di diventare un eroe.
E Steve Jobs l’ha avuta, nascendo nel posto giusto al momento giusto con gli interessi giusti.
Ma per me, eroe non lo è mai stato.
Ed ecco che il caricamento del video si interrompe. Opto affinché il mio inconscio rimanga vergine e clicco su “Salta l’annuncio”. Non mi voglio subire due pubblicità di fila.
Lo spot, trasmesso a fine degli anni ‘80, si apre con “Here are the crazy ones”, e poi fa vedere Einstein. Albert, non un altro. Ecco che il mio arsenale entra in gioco. Vaglielo a dire ad Edmund Einstein, il figlio di Albert, malato di schizofrenia per 40 anni fino alla morte. Albert se ne disinteressò. “… the crazy ones”… ma vattene affanculo. Non l’avevo mai vista ‘sta pubblicità clandestina e fetente. Mi sento bravo. Mi sento Batman. A dispetto del fatto incontrovertibile che il New York Stock Exchange non valuti le mie idee un triliardo di dollari quanto la capitalizzazione Apple, non mi sento meno di ‘sto qua.
Poi John Lennon, intellettuale banale e miliardario che si sentiva in colpa per aver fatto per dieci anni canzoncine di tre minuti e cantava di spogliarsi di tutto, ma non lo faceva. Ci lucrò non solo miliardi, cazzi suoi, ma soprattutto la gloria a discapito di gente come Cale, Thomas, o Buckley. Sono loro i veri artisti. Poi Picasso, lo sanno tutti che la sua opera è insulsa perché tecnicamente ridicola. Poi c’è Luther King, massimo rispetto per quello che ha fatto ma proprio “different” non pensava dato che di pensatori pauperistici e giustizialisti la storia è piena come le mie palle guardando questo video.
Decido di chiuderlo.
Prima però guardo il titolo. “Think different” ci sta scritto. Al massimo sono loro a volerla pensare differentemente. Lui, Jobs, voleva fare quello che la pensa diversamente.
La verità è che i prodotti Apple sono stupidproof, a prova di stupido, fatti per gente che non deve pensare.
O meglio, gente che la deve necessariamente pensare uguale.
Ciao, grazie di esservi subiti il pezzo. Se avete preso l'ardita decisione di continuare a leggere, cosa vorreste che accadesse?
- Il protagonista riceve una telefonata (33%)
- Il protagonista continua a vedere video (0%)
- Il protagonista esce a prendersi un caffé e fa incontri (67%)

28/02/2020 at 13:45
Uno tsunami il tuo incipit ?. Vediamo che succede con una telefonata?
20/01/2020 at 10:40
Be’ uno così lo vedrei incontrare il prossimo, chissà chi gli capita! Mentre leggevo pensavo a che fortuna ho di essere così ignorante dal poter vivere senza troppi grilli e brucare pacificamente la mia insalata.
p.s.: devo andare a chiedere a Google chi è ‘sta Sara Sampaio.
Ti seguo, alla prossima! ciao?
27/01/2020 at 23:46
Ciao fander, grazie per aver letto la storia! 🙂