IL DOTTORE PULEO

Dove eravamo rimasti?

cosa farà il dottore Puleo per punire il barone? accuserà il barone dinanzi a tutto il paese in modo eclatante? (75%)

la giustizia costa cara a Vittorio Puleo.

Egli la prese tra le braccia, i neri capelli della bimba s’erano inanellati e la boccuccia, semiaperta, mostrava due dentini, era inerte e le braccia pendevano senza vita. Un grido disperato uscì dalla gola dell’uomo e gli scosse il petto un pianto inarrestabile, mentre gli occhi si fissavano su un cielo nero tempestato di stelle: “Sii maledetto Tancredi Cangialosi, che tu possa bruciare all’inferno!”.

La mattina di Pasqua dell’anno del Signore millesettecentotrentatre, don Liborio scese nella cappella a preparare l’altare per la funzione domenicale. Avrebbe partecipato tutta la popolazione del paese e molti sarebbero venuti anche dalle contrade. Le piccole cappelle laterali erano oscurate, in segno di lutto per la passione e la morte di Gesù, con drappi di velluto nero, frangiati d’oro e recanti al centro lo stemma del casato baronale ricamato con filo di seta blu e argento. Nel matroneo erano schierate le poltrone per la famiglia del barone, che avrebbe assistito al rito.

“Austino, Austino, unni si, scellerato? Ancora mancu i cuscina hai misu ne seggi du baruni.  U tappitu vecchiu mettilu fora o purtuni. Ora c’arrivanu tutti sti viddani n’allordanu a chiesa chi scarpuna nfangati.”. E si agitava don Liborio, passando da un punto all’altro della cappella con passi veloci, facendo traballare il pancione mal trattenuto dal bianco cordone, che cingeva alla vita la tonaca nera. Il sagrestano, lemme, lemme sistemava tutto secondo gli ordini dati a gran voce dal monaco.

Quando tutto fu pronto, si accesero i turiboli e l’odore d’incenso si diffuse con volute dense e odorose; il portone della chiesa fu aperto e i fedeli entrarono in massa ad occupare i posti migliori. Avevano indossato i loro abiti della festa: le donne avevano il capo coperto da scialli ricamati; gli uomini a capo scoperto, impacciati, tenevano in mano coppole di velluto scuro e indossavano gilet di raso. Il chiacchiericcio si tacque, quando don Liborio risalì l’altare in magna pompa; i più preziosi paramenti, confezionati dalle suore di clausura del convento di sant’Orsola rivestivano la sua figura goffa, conferendogli dignità e autorità. Il monaco alzò gli occhi verso il matroneo per accertarsi che la nobile famiglia avesse già preso posto e fosse pronta per assistere alla funzione gioiosa della Resurrezione. Sì, erano tutti pronti. Il barone lussuosamente infagottato in una redingote rossa e dorata, con la parrucca di bianchi riccioli incipriati, con l’espressione di chi consapevole del suo lignaggio si degna d’offrire la sua presenza a bifolchi e mercanti di basso lignaggio; accanto a lui la baronessa pallida e smunta, pur indossando ricchi abiti, dava l’impressione di una rassegnata infelicità, manifestata dalla piega amara della bocca, sembrava sul punto di piangere. Dietro di loro i parenti, orgogliosi dell’opportunità che veniva loro concessa.

Prima dell’inizio della Messa il barone alzò la mano per ordinare che i drappi luttuosi posti sugli altari laterali venissero levati, tutti insieme, tramite una corda che li reggeva legati gli uni agli altri e, quando essi caddero, uno spettacolo curioso si presentò agli occhi dei presenti. Pendeva dall’altare laterale un’indistinta sagoma scura, nascosta da un mantello; i più vicini capirono subito di cosa si trattava, poiché dall’orlo del mantello spuntavano un paio di stivali e, pur se il viso era rivolto verso l’altare, la corda robusta che lo reggeva, gli cingeva strettamente il collo.

Lo stupore si trasformò in superstiziosa paura e il mormorio divenne clamore:

“Ma viri stu scomunicatu dunni s’iu a mpiccari!”

“Bedda Matri chi sacrileggiu!”

“Ma cu è, stu senza Diu?”.

E mentre le donne si erano radunate tutte all’angolo opposto dell’altare dell’impiccato, formando un’orante massa colorata, gli uomini si avvicinarono. Don Liborio lanciava anatemi all’indirizzo del cadavere e lo condannava all’inferno: “Anima persa, dannato, lu nfernu, lu nfernu ti teni in eternu!”.

Infine l’impiccato venne girato col volto verso la folla, il silenzio stupefatto che segui, venne interrotto da un confuso tramestio proveniente dal matroneo: “Don Liborio fate sgombrare la chiesa.”, ordinò il barone alzatosi di scatto, facendo cadere la poltrona su cui era seduto e lanciando un’orrenda bestemmia.  La baronessa con un grido era stramazzata a terra, poi tutta la famiglia lasciò la chiesa, portando fuori a braccia la povera donna.

Tutti avevano riconosciuto nel volto tumefatto del suicida il dottore Vittorio Puleo, ma era strano che si fosse impiccato tenendo legato al petto un esserino deforme, e perché uccidersi proprio in chiesa davanti alla lapide della baronessina nata morta.

“ Mah, disse, mastru Nzinu, va trasi rintra a testa di cristiani. Cosi di pazzi.”.

“Ma ch’era c’avia attaccatu n’pettu?”.

“Mah? Paria n’agnidduzzo scucciatu.”.

“A mia mi parsi na picciridda…”.

Il giorno dopo una notizia sconvolse il paese. La baronessa era impazzita e aveva ucciso il barone nel sonno. Andava ripetendo: “Il diavolo è tornato all’inferno.”.

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34 Commenti

  • Buongiorno Anna!

    In questi giorni sto riprendendo a leggere e a scrivere dopo il mese di dicembre, che è dedicato al lavoro. mi sono letto d’un fiato gli ultimi episodi della storia, che purtroppo non sono riuscito a seguire in tempo, diciamo così, “reale”.
    Me ne scuso, non ho potuto partecipare e mi dispiace, perché la triste storia del dottore Puleo è stata scritta davvero splendidamente. Una vicenda di onore, sopruso, violenza senza pietà, che poteva finire solo così, oppure con la morte per omicidio. Nessuno sconto nel diciottesimo secolo.
    Spero di leggere ancora di lei, presto
    Arrivederci!

    • Grazie per l’attenzione. Mi sorge spontanea una curiosità, poiché dici che il mese di dicembre lo dedichi al lavoro, non sarai mica Babbo Natale? Bando agli scherzi. Apprezzo davvero tanto il tuo interesse per il mio racconto. Forse tornerò ancora a scrivere su questo sito, e spero di ritrovarti.
      A presto Anna

    • ???
      No, niente Babbo Natale! Lavoro in un ipermercato, quindi l’ultimo mese dell’anno (ed anche l’inizio del primo) è assai caotico e mi fa dimenticare tutti i passatempi extralavorativi.
      Mi auguro scriva ancora qua; iniziando lei una storia comunque mi arriverà la mail di notifica, e lo verrò a sapere.
      Quindi a presto, spero!

  • Che dire, prof! Il finale è tragicamente crudo, non potevo prendere dal dottor Puleo che proseguisse a vivere in serenità col peso di una lotta del genere sul cuore. Nessun santo né salvatore in questa storia, ma almeno i demoni che meritano di stare all’Inferno ci vanno.
    Complimenti davvero, non avrei potuto immaginare un finale migliore.

    Grazie davvero per avermi emozionata e tenuta col fiato sospeso fino allo scioglimento della vicenda.
    A presto!

    • Grazie a te per aver avuto la pazienza di seguire fino all’ultimo il mio racconto.
      Certo era evidente fin dall’incipit che non ci sarebbe stato un lieto fine. Comunque un atto di giustizia sebbene cruento, secondo il mio parere, doveva punire la crudeltà e la tracotanza di un uomo che alla fin fine era un vigliacco.

  • Salve, prof! L’atmosfera dolorosamente realistica degli eventi mi farebbe pensare ad una conclusione comunque tragica, ma alla fine anche nella realtà ognuno si becca il suo avere. Il barone ha veramente passato il segno, non può andargli bene per sempre. Ammetto di essermi commossa per il coraggio tardivo della badessa, maturato dopo anni di risentimento.

    Il dottore, esasperato, accuserà il barone di fronte a tutti, portando la povera creatura a testimonianza. Che poi si concluda con una giustizia pulita o con un linciaggio sta a te!
    Ancora tanti complimenti, sono qua col fiato sospeso.

  • Buongiorno prof, finalmente ho l’occasione per commentare quest’ottimo racconto. Mi lascia addosso la sensazione di una novella realista, anche se alcuni tratti e la caratterizzazione di personaggi mi danno l’impressione di avere in mano un romanzo di Victor Hugo.
    Vediamo cosa riserva il prossimo capitolo a seguito di una risposta inaspettata!

  • Buongiorno Anna!
    Ho letto d’un fiato i quattro episodi: davvero complimenti. Ben scritti, avvincenti, le descrizioni mi consentono di essere presente ai fatti! Inoltre si parla di Sicilia, terra che adoro. Ti chiedo di mantenere i pezzi in siciliano, magari spendendo qualche carattere per le spiegazioni. Seguo!!

  • Ciao Anna,
    Ho letto con molto interesse il tuo incipit e devo dire che, alla fine, mi è piaciuto.
    In generale è scritto molto, molto bene, è coinvolgente e invoglia il lettore a volerne sapere di più. Tu, però cominci la storia parlandoci della morte del dottore e poi passi a raccontare di qualcos’altro. Anche se la notte di cui racconti è la notte della morte di Puleo avresti potuto gestire meglio questa informazione da dare al lettore perché così passa quasi inosservata. Altra osservazione che ti faccio è per a frase in dialetto, bellissima ma troppo complessa. Richiede una conoscenza minima del siciliano e ha bisogno del tuo supporto per essere tradotta!
    Non vedo l’ora di leggere i prossimi episodi, a presto!

    • Ciao Trix,
      grazie per l’apprezzamento espresso al mio incipit. devo confidarti che la prima riga del racconto dice solo come finirà e ti dirò che la storia è ancora lunga. Per quanto riguarda le frasi in dialetto che forse ritroverai nel corso della storia, mi riprometto di tradurle o almeno di renderle più comprensibili.
      Apprezzo molto le tue parole e vedrò di far tesoro dei tuoi consigli. A risentirci.

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