Un soffio di vita

Chi sei tu?

I suoi amici non l’avrebbero mai detto, ma Dylan era un ragazzo molto riflessivo. 

I suoi amici… Cosa sapevano poi, davvero, di lui? Sapevano che era biondo, questo sì, che era alto quasi un metro e ottanta, che al liceo non perdeva mai una partita di basket. Ignoravano il resto, forse, ma alla fine a che serviva? Con quei dati alla mano erano stati già in grado di costruirsi l’immagine del Dylan perfetto: Dylan che beve spesso, ma senza scomporsi; Dylan che offre i passaggi per la discoteca il sabato sera; Dylan a cui le ragazze non dicono mai no. 

La verità era che si ritrovava alla soglia dei vent’anni senza neanche sapere quale fosse la sua musica preferita, dato che per tutto quel tempo si era sforzato di fingere che quel che piaceva ai suoi amici piacesse anche a lui. 

Fu proprio quella riflessività di cui nessuno lo credeva capace che lo portò a tentennare un attimo di più. D’altro canto, ripensandoci, era autorizzato a farlo? C’era davvero qualcosa che non andava nella sua vita? Ma soprattutto, cosa avrebbero risposto i suoi amici quando avrebbero posto loro la fatidica domanda? Avrebbero detto che non aveva dato alcun segno? Era un ragazzo educato e salutava sempre? 

No, pensò, scuotendo la testa, come quel gesto potesse riportarlo coi piedi per terra, è proprio questo ciò che non va nella mia vita: non è mai neanche esistita in partenza. Anche in un momento come questo, l’unica cosa di cui mi preoccupo è il giudizio degli altri. 

Fissò per un’ultima volta la lama che aveva poggiato sul letto e si ripetè in testa il jingle della pubblicità. Com’era che faceva? Il rasoio che gli ostacoli li taglia alla radice. Non era neanche sicuro di azzeccare tutte le note, ma quello che gli interessava era tenere la testa impegnata, almeno per quegli ultimi minuti. 

Il rasoio che non ha ostacoli. No, il rasoio che gli ostacoli li rade… no, li taglia… 

Il respiro gli si fece pesante man mano che portava su la manica della felpa. Si distrasse un solo istante, il tempo che gli bastò per gettare uno sguardo fuori dalla finestra ed essere accecato dalla luce calda, preludio del tramonto. L’idea che quella fosse l’ultima volta che il sole avrebbe carezzato la sua pelle lo sfiorò di sfuggita, ma a quel punto era andato troppo oltre perché quel pensiero potesse significargli qualcosa. Aveva avuto tanti ultimi momenti: l’ultimo bacio, l’ultima pasta al sugo, e nessuno di questi gli aveva fatto male come avrebbe voluto. Era tempo. 

Chiuse gli occhi e ignorò la mano tremante. Cercò a tentoni la lama e quando vi strinse piano le dita attorno era ormai tanto sicuro da non avere più bisogno di canticchiare nessun jingle. 

La avvicinò a sé e…

Ding dong. 

Il suono del campanello, improvviso, lo fece balzare in aria. Restò immobile dov’era, seduto a gambe incrociate al centro della sua camera. 

Ding dong. 

Cercò di ignorarlo e concentrarsi su ciò che stava facendo. Non doveva essere nessuno di importante e, anche se fosse, ancora qualche istante e non sarebbe più stato problema suo. Mai più. 

Ding. Dong. 

Sbuffò e si mise in piedi di getto: non poteva farlo così. Doveva cacciare chiunque fosse alla porta e doveva farlo in fretta. Coprì il corridoio che lo separava dall’ingresso in meno di un secondo e aprì la porta:

“Ma insomma…” cominciò, irritato, aspettandosi forse la vicina o dei testimoni di Geova. Si bloccò a metà frase e corrucciò lo sguardo quando si trovò davanti un ragazzo suppergiù della sua età, esile e un po’ più basso, dal volto snello e ulteriormente slanciato dal maglione largo e dalla sciarpa che gli cingeva il collo. “E tu chi saresti?”

“Ehm…” tentennò quello, abbassando lo sguardo e  avvampando in viso. 

Dylan si morse la lingua per il rimorso: ce l’aveva con sé stesso, non con quel tipo, chiunque egli fosse. Così riformulò: “Scusa, non volevo spaventarti”

“Va tutto bene” lo rassicurò lui, sorridendogli e stringendosi la sciarpa addosso ora che il vento stava rinforzando. “Sto cercando Catherine”

“Ah” escalmò Dylan, sorpreso. “Mia sorella non è a casa però. Sei un suo amico?”

“Sì, sono Adrien” si presentò, tendendogli la mano.

“Dylan” rispose, stringendogliela e rabbrividendo per quanto gelida fosse. “Tornerà tra qualche ora, o magari riprova domani.”

“No!” fece quello, con fin troppa enfasi. “La aspetterò qui”

“Qui…?” ripetè, sconcertato. Adrien annuì. 

Che cosa avrebbe dovuto fare? Con quello sconosciuto a casa avrebbe dovuto rivedere i suoi piani per il prossimo futuro. E il prossimo futuro era tutto ciò che gli restava. 

“Scusa, ma preferisco di no”

“Perché? Dai, non mi va di tornare indietro” scherzò, con una risata genuina che tradì una punta di imbarazzo. “Stavi studiando? Ti prometto che sarò silenzioso”

Non avrebbe potuto cacciarlo via a calci. Sbuffò e, rassegnato, gli fece cenno di entrare. Lo guidò fino al salone e fece per mandare un messaggio a sua sorella, quando il telefono gli vibrò in mano. 

Johnny: “Sta sera si beve al Blue Star. Passi a prendermi alle 21?”

Cathy non sarebbe tornata prima delle 22.

Cosa farà Dylan?

  • Andrà alla festa insieme ad Adrien (67%)
    67
  • Chiederà ad Adrien di accompagnare Johnny alla festa al suo posto (0%)
    0
  • Non andrà alla festa e aspetterà il ritorno di sua sorella insieme ad Adrien (33%)
    33
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13 Commenti

  • Ciao, bentornato!!! Un capitolo pieno di pathos e… amicizia nascente, bravo. La pausa ti ha fatto bene. Attento ai refusi (fosse state lui, lo vista, ecc.) e alla frase “esclamò, in un sospiro, la sua voce ora era tirata”. Suon meglio così: “esclamò in un sospiro, la voce ora tirata”.
    Ho votato per continuare la scommessa il giorno dopo, i due hanno bisogno l’uno dell’altro per guarire.

  • Beeeello! Mi piace come scrivi, solo un piccolo appunto (anzi, due): nella frase “… ce l’aveva con sé stesso” quel “sé” deve andare andare sostituito con un “se”; in “Sta sera ci vediamo al Blue Star” bisogna scrivere “stasera”, dato che è una parola unica; e alla fine di un dialogo, dopo le virgolette, devi decidere se mettere il punto oppure no. Non so se hai capito, quindi ti faccio un esempio: nella frase “Scusa, non volevo spaventarti” non hai messo il punto, mentre in “… o magari riprova domani” l’hai messo.
    Ciao e, se vuoi, passa a trovarmi!

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