Siamo di Rodi

Dove eravamo rimasti?

Fine della storia Fine (100%)

La casa nella cittá vecchia

La cittá vecchia di Rodi, le sue mura antiche conservano misteri e magie a noi invisibili, ma presenti in ognuno di quei grossi sassi che ogni giorno sfioriamo camminando verso casa o andando al lavoro.

Entra pian piano in noi questa magia, o piuttosto il desiderio di esserne parte, c’é chi cominciando a sentirsi diverso chiude gli occhi e viaggia indietro nel tempo fino a credersi forse parte delle idee la cui proiezione ha creato il mondo. Ovviamente un sogno, ma su questo sogno, i poveri e gli artisti costruiscono una loro esistenza piena di vittorie e piaceri, sono avvolti loro dal vento caldo di Rodi come da una coperta magica, se in paradiso c’é il vento é cosí.

Nessuno di noi seguiva un piano, un’ordine, si viveva cosí, si sceglieva a caso, si seguivano i consigli delle vecchie mura, si giocava con i gatti si dava spazio ai sogni, si era in paradiso e si godeva del suo vento caldo.

Una di queste case é stata la mia, e poi la nostra.

Come l’ho trovata? Per caso. Era quella col cortile interno a piastrellone bianche e nere, in quel piccolo cortile ci si doveva scendere, era piú basso della strada dove si trovava l’entrata, la porta di legno vecchio aveva un nastro rosso come lucchetto, cosa particolare anche per la cittá vecchia di Rodi, si scioglieva quel nodo e si scendevano 5 gradini.

Una cucina una doccia e una piccola stanza da bagno stavano tuut’intorno al cortile.

La doccia era stata ricavata in un sottoscala abbastanza ampio dove giá da tempo esisteva un lavandino di considerevoli dimensioni, ideale per lavare i panni e per lo spazzolino da denti.

Sulla parete interna del sottoscala era stato incollato uno specchio grande quanto la parete stessa e dal lato opposto, sul muretto giá esistente una bella vetrata concludeva l’opera.

Chi stava sotto la doccia poteva osservare se stesso da un lato e le persone presenti nel cortile dall’altro.

Si faceva colazione in cortile.

Quando lei faceva colazione io stavo sotto la doccia, e quando lei era sotto la doccia io facevo colazione, non la perdevo mai di vista, si puó dire.

Quel cortile quasi sprofondato era l’anticamera del nostro mondo, la nostra Atlantide.

Era pieno di colori il nostro mondo, le sue forme erano vivaci, pur essendo piccolo ci regalava spazio a non finire, e aveva le sue leggi, le sue difese, le aveva create lui per noi e nessun’altro, vivevano con noi le leggi, in amicizia, senza contrasti, erano famiglia.

Il nastro rosso proteggeva dagli assalti, le mura antiche dai suoni sguaiati della “superficie”. Qui sono stati ospiti di riguardo i nostri primi giorni insieme. Qui abbiamo messo ordine in quello shangay sparpagliato che erano le nostre anime.

Cosí un giorno siamo usciti, pronti al confronto, pur sapendo che paragonarsi agli altri poteva significare non capirsi piú. Siamo usciti, ci siamo uniti alla folla, teste confuse fra migliaia di teste, incapaci in quanto folla di avere un pensiero, di vedere di percepire.

Eccoci pronti a dimostrare qualcosa, la corsa stranamente ci eccitava, tutto era nuovo per noi. Ci siamo fatti avanti li dove gli altri avrebbero esitato, lei la mia forza, io il suo coraggio, insieme come i ciechi vedevamo l’invisibile, ma il gioco non tardó a trasformarsi in realtá sotto i nostri stessi occhi che pian piano persero l’invisibile per il giornaliero. Si parlava di soldi, di lavoro, di tasse di merce di percentuali, di guadagni, si facevano piani per il recupero del capitale. A volte quando sembrava non ci fosse piú nulla di certo, interveniva lei, in lei era un’angelo che nulla toglieva al suo essere donna, e insieme il pomeriggio ci si riposava, si andava su all’ultimo piano con le finestre aperte alla corrente calda e ai rumori dell’estate.

La sera si lavorava, si entrava cosí attraverso una porta che non é mai stata vista , nel mondo dove piacere agli altri é dovere.

Ci si arrangiava a convivere coi personaggi che si erano scelti, si pensava al domani a scapito dell’oggi e ci si affannava alla ricerca di una giustificazione valida.

Poi per ritrovare pace si rientrava nel sogno.

cosa sará di noi

  • il sogno diventa realtá (0%)
    0
  • si lascia la realtá per il sogno (100%)
    100
  • si perdono i sogni per la realtá (0%)
    0
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16 Commenti

  • Ciao
    Questo capitolo sembra uscito da un quadro del surrealista Magritte.
    Scale che finiscono nel nulla, elementi che ci sono e poi scompaiono, apparentemente sconnessi tra loro… forse un sogno ma anche no…
    il protagonista mi ha fatto venire in mente il quadro. “La riproduzione vietata”…
    Mondo parallelo

  • Ciao Francesco
    Alcune frasi di questo episodio confermano, mia opinione personalissima, il senso di estraneità del narratore/protagonista, lungo i sei capitoli. Ad esempio:
    “Eccoci alberi che vogliono a tutti i costi crescere nel giardino sbagliato”
    “Le strade che giornalmente si percorrono, sono cambiate, la pioggia stessa ha suoni diversi, non é piú uscire ogni tanto per stuzzicare il mondo, é scappare dal mondo e riposare in paradisi concessi.”
    Se permetti, ai tuoi scritti manca organicità. Per usare una metafora culinaria: dovresti mantecare la pasta, prima di servirla ai lettori. Vale a dire, gli ingredienti sono buoni ma, alla fine, non li leghi in modo uniforme, in modo da dare consistenza a quello che scrivi.
    …qualcosa di nuovo ma importante.

  • …Certo come no, però non aspettarti che qualcuno legga. Provocazione va bene ma non è sufficiente buttare dei mattoni a caso in una buca per costruire una casa. Chiediti perché e per chi scrivi. Hai potenzialità inespresse o forse spinte troppo avanti… chissà? Auguri

  • Ciao Francesco
    mi chiedo perché il tuo racconto, che è interessante, non venga letto.
    Se credi, prova a leggere e commentare anche i racconti degli altri, se non altro ti faresti conoscere. Qui funziona così.
    Bella l’immagine: “sulla cresta di un’onda che per far loro piacere si allungava e allargava un po’ in modo da favorire l’atterraggio.”
    Questo treno è davvero molto speciale, l’idea dei diversi vagoni mi è piaciuta.
    Marvin e Victor sono due persone diverse.

  • Ciao, Beh, simpatico il tipo, vediamo che FINE farà.
    Il racconto è piacevole, la storia scorre via bene; c’è solo una cosa che devi controllare con attenzione: l’uso degli accenti e dell’apostrofo: sembra che ce ne siano di giusti solo una sparuta minoranza… A dopo la “fine” ciao.

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