L’alba del demone

Primo passo verso l’alba

-Non sei una guardia. – Osservò D’jakèl mentre scendeva i pochi gradini del patio insieme a Xharo, il fratello zoppicante.
– Non lo sono. – Rispose lo yannikho con fare pacato. Ancora incredulo, guardava i due ragazzini quasi con cupidigia, come un ladro avrebbe osservato un inestimabile tesoro. Erano lì, ed erano suoi. Intanto la donna dell’orfanotrofio, con il piccolo ma incommensurabile bottino tra le mani, si chiuse la porta alle spalle.
– Non ci porterai a palazzo. – Ne convenne il ragazzino dopo un colpo di tosse. Prima di rispondere, l’uomo sentì l’oro di quegli occhi provati su di sé, dentro di sé. 
– Non lo farò. – Annuì lo yannikho e studiò come tale notizia mutasse la loro espressione. E per quanto D’jakèl lo aveva intuito, non riuscì a nascondere il suo stupore. Xharo invece, che non aveva ancora parlato e che s’era limitato a guardare freddamente lo straniero, rimase impassibile. Nascosto dietro le spalle del fratello lasciò che la speranza di poter finalmente essere accolto a palazzo, morisse davanti a sé lasciandolo imperturbato. D’jakèl invece prese velocemente il braccio del fratello intimandolo a seguirlo, lui non sarebbe rimasto a guardare. Tentò di trascinare Xharo con sé, avrebbe imboccato il primo vicolo e sarebbe sparito. Un soldato li avrebbe trovati, li avrebbe portati a palazzo e finalmente avrebbero ottenuto la loro tanto sperata ribalta. Ma Xharo inciampò al primo passo instabile e si ritrovò per terra.
– Perché pensi che la Regina rossa, che durante la sua incoronazione si è macchiata col sangue dei suoi consiglieri, stia cercando i bastardi del suo divino sposo? – Chiese lo yannikho senza togliersi quel sorriso pacato dal volto. – Pensi che queste campane assordanti stiano intonando il vostro trionfo? – Chiese l’uomo con calma. Quelle parole dovettero stupire il ragazzino perché guardò velocemente il fratello in cerca di risposte. Xharo gli ricambiò lo sguardo e senza mutare quell’espressione apatica, forse leggermente malinconica, forse completamente inespressiva, scosse impercettibilmente il capo. D’jakèl tornò a guardare lo yannikho notevolmente confuso.
– Perché fare entrare nella propria dimora un cucciolo di lupo se una volta cresciuto ti divorerà? – Chiese l’uomo e protese la mano un po’ per gentilezza, un po’ perché avevano già perso abbastanza tempo.   

     La botte in cui i due ragazzini vennero nascosti per oltrepassare lo sguardo accorto delle guardie, era umida, maleodorante e piccola. Ma grazie ai loro corpi resi sottili dalla fame, riuscirono ad entrarvisi abbastanza velocemente, intrecciando gambe, braccia e respiri. Con gli occhi vigili tentavano di decifrare i vari suoni che oltrepassavano la coltre di paglia sopra i loro capi. Respiravano piano, respiravano il meno possibile. E vedendo l’espressione all’armata di D’jakèl, Xharo gli serrò la bocca con una mano prima che il ragazzino iniziasse ad avere uno dei suoi attacchi di tosse. Per un primo momento egli non si divincolò, riuscendo a resistere, poi il carro si fermò improvvisamente. Il fastidio alla gola iniziò a diventare insopportabile, Xharo poteva leggerlo negli occhi del fratello ma invece di liberarlo, gli strinse ancor di più la mano sulla mandibola. Un soldato stava parlando con lo yannikho. Gli occhi di D’jakèl serrati mentre si sforzava con tutto se stesso di stare immobile e combattere quel disagio. La voce dolce e gentile dello straniero penetrava in quella botte come un piccolo serpente forestiero, sensuale ma impossibile a dirsi se fosse innocuo o mortale. Il carro riprese a muoversi, nel rumore delle ruote il ragazzino poté liberarsi del suo male e nel buio di quella stretta botte Xharo si asciugò sulle vesti il sangue ritrovatosi sulle mani. Non sapeva che D’jakèl stava arrivando ad un passo dall’Altrove, non fino a quel momento. Era un male comune nel Quartiere degli stranieri, suo fratello non sarebbe stato il primo a morire di esso.

    Riuscire ad evitare il controllo della guardia si dimostrò più difficile di quel che lo yannikho si fosse aspettato, e prevedeva che non avrebbe mai potuto superare le porte della città. Non il giorno in cui tutti i guerrieri della Regina rossa erano stati sguinzagliati per il territorio. A malincuore si rese conto che non avrebbe lasciato Azha tanto presto, non finché le campane avrebbero suonato, e conscio di ciò guardò la strada che aveva davanti. Si stava lasciando alle spalle il Quartiere degli stranieri, ed al suo interno aveva qualcuno che avrebbe potuto aiutarlo, per quanto poco raccomandabile fosse. Se invece proseguiva dritto ed andava verso est, avrebbe raggiunto il Quartiere del palazzo e del tempio, dove l’oro scorreva a fiumi e nessuno avrebbe notato qualche gemma in più. Oppure, se girava verso nord, sarebbe entrato nel Quartiere della terra, dove metà della popolazione era indebitata con Yannikha ed i suoi abitanti.

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