LA MERAVIGLIA DI DOVERTI RAGGIUNGERE

Zoolandia

Quella notte Palmira sognò la pubblicità di un biscotto: “Il mattino ha l’oro in bocca” recitava; e subito seguitava con l’immagine d’una Agata bella, perfettamente truccata e spettinata che, di prima mattina, in braccio a un espressivo armadio a due ante, addentava un savoiardo e aveva un brillante al posto della pupilla. Sembrava rilassata e felice, è vero; ma come faceva col maritino? Forse lui dormiva fuori? Certo che lui dormiva fuori, certissimo: eccolo che inzuppa il frollino nella tazza fumante offerta dalla segretaria con gli occhiali!

“Che schifezza di sogno.” si disse appena sveglia. Allora cancellò tutto con un sano sbadiglio, si appoggiò al bordo del lavandino del bagno con le braccia tese, e facendosi largo con lo sguardo tra le pesanti ciocche ondulate che le ricadevano addosso, cercò lo specchio.

Ripassò su quello schermo tutto il catalogo della fauna di villa chimera: dal leone al drago passando per la capra, fino a Bea… già, Bea la cuoca: “Mm, di lei che so? È una volpe? Furbacchiona lo è: sembra sapere tutto; è molto sicura di sé. Come mai Agata non l’ha ancora cacciata? Mi incuriosisce. Devo conoscerla meglio, e mi serve un pretesto; esempio: domandare a caso “Ti piacciono le galline? Oppure: possibile che non hai a disposizione un pollaio, o uno straccio di cantina? Bea tu che dici? Dove metti i salami e i fiaschi di chianti?”

Più tardi la volpe, interpellata, rivelò, mentre staccava la testa a certe spigole, che una vecchia cantina c’era, ma da tempo non era più utilizzata.

«Vediamola!» disse Palmira.

«Adesso?» disse lei.

Passarono nel ripostiglio attiguo alla cucina. Lì c’era tra l’altro una scaffalatura a giorno dove stavano poggiati i rotoloni di panno carta. Bea facendo leva nel punto giusto lo aprì come fosse una porta.

«È qui?» chiese Palmira.

Il varco aperto svelava un grande ambiente mal illuminato e odoroso di terra. Aveva un perimetro regolare ed era tutto vuoto, nudo, scavato nel tufo a colpi di maleppeggio, così che il soffitto, per la luce radente, sembrava fatto a scaglie. C’erano, a sinistra una porta, sprangata, chiusa chissà da quanto, e a destra l’imboccatura di un cunicolo.

«Fico!» esclamò Palmira «Cavolo! Hai visto? Dove porta lo sai?»

«Il cunicolo? Senti, è inutile menare al cane… nell’aia.» disse Bea, (salendo di un gradino la scala della simpatia) «Carlotta ha confessato? Sono io che le ho insegnato il “trucco”. Una volta ero qui, dico la verità, per curiosare. Sentii delle voci venire da lì, dal cunicolo; lo seguii, e mi ritrovati davanti a un pannello uguale a questo dello sgabuzzino. Dalle voci capii che dall’altra parte c’era la camera di Diletta. Mi voltai per tornare indietro e mi ritrovai fra i piedi lei, la scimmietta maghetta che sorrideva. Magia! Mi disse, e io risposi Magia! Così ho messo una lampadina in più ed è cominciato il gioco. Non lo sa nessuno: è divertente no?!»

«Hai capito Carlotta che birba!» disse Palmira ridendo di cuore «Oddio!… E tu sai anche cosa c’è dietro quella porta sprangata? C’è un lucchetto vedo.»

«Quale porta? Ah, quella! Non ne ho la più pallida idea. Sono entrata qua dentro non più di quattro cinque volte e non l’ho mai vista aperta. Forse può aiutarci “zia micia”, – la chiamano così -, quella che era qui tanti anni fa, prima di me.»

«Cavolo, fico! Certo, grazie.»

«Sì,» disse Paride, «la cantina è stata anche un ricovero antiaereo; per questo c’è il cunicolo verso il primo piano. Quella porta invece chiude l’imbocco di un’antica cava di pozzolana; Roma ne è piena. È un posto molto pericoloso perché soggetto a frane; ci sono cisterne d’acqua là sotto, c’è un mondo… vengono i brividi solo a pensarci. Anche io non l’ho mai vista aperta.»

«E, cavolo, non ti è mai venuta la curiosità di curiosare?» chiese Palmira.

«Cosa? Io non ci andrei per tutto l’oro del mondo!»

«Ci verresti con me?»

«Tu sei pazza!»

«Ma dai, è una cosa fichissima, pensaci temperino, pensaci.»

«Ok, ok temperina, ci penso. Ma dimmi di nonna. Che te ne pare, le hai parlato?»

«Uhm, molto poco, Bea mi dice che in questi giorni dorme più del solito; sembra molto stanca, forse è meglio se mi dici esattamente cosa vuoi da me.»

«Ecco, abbreviamo. Non vorrei sembrarti cinico, ma non sappiamo nulla di quello che intende fare col suo patrimonio, quel che le resta. Un argomento tabù per noi, con lei. Noi non abbiamo bisogno, ma dobbiamo tutelare Carlotta; crediamo sia giusto. Nonna crede invece che se scopriamo a chi lo ha destinato la facciamo fuori… è una fissa. Mia moglie poi non la può vedere, quando si incontrano o finge di dormire o… si mette le dita nel naso solo per farla incazzare, e quella poi se la prende con me: chissà che pretende.»

Nei giorni che seguirono iniziò il lavoro vero per Palmira: accontentare Paride che l’aveva assunta, ma soprattutto capire cos’era quel profumo invitante di mistero che permeava tutta la casa, e quel languore che la prendeva quando era là dentro, la fame che solo un bel piatto di verità rivelata poteva soddisfare.

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