Suicida

Giù un altro!

Il soffocante bagliore multicolore della città, filtrato da un velo di nebbia, avvolgeva il borgo come una cupola di vetro. Avvertì quasi la sensazione di poterla rovesciare sul proprio palmo, scuotendola, e nessuno avrebbe percepito alcun cambiamento. Avrebbe nevicato forte, per pochi istanti, poi tutto sarebbe tornato alla normalità.

Tirava un’aria gelida, a ottantaquattro metri al di sopra delle strade, sul terrazzo del grattacielo, nel punto più buio della città, eccetto per quel lampeggiante rosso, tiranno sopra ogni altra vetta. Scrutava il mondo come un occhio ardente. Era un po’ come vedere attraverso un sogno.

Come sono arrivato qui?

Quando aveva trovato il coraggio di violare una proprietà privata, forzando la catena ed il lucchetto che sigillavano la porta che dava sul terrazzo?

Sarebbero presto arrivati a prenderlo, e allora avrebbe dovuto dare spiegazioni, impilando un’idiozia dietro l’altra, inventando una storiella a stento credibile. Gli avrebbero fatto il quarto grado?

Avrebbe saputo rispondere?

Si sarebbe scusato?

Sarebbe servito a qualcosa?

Avrebbe dovuto ripagare i danni, questo era certo.

Stanno arrivando, pensò. O lo faccio adesso, oppure mi fermeranno. E il calvario che verrebbe dopo sarebbe ben peggiore del dover prendere questa stupida decisione.

Ma non arrivò nessuno. Quasi si sorprese di ciò.

Si chiese inconsciamente se avesse anche solo sperato nell’arrivo di qualcuno, dopo aver notato la telecamera che dava sulla porta. Ma come avrebbe potuto riconoscerne il funzionamento? Un lampeggiante rosso?

Ci illudiamo e vantiamo di sapere sul mondo ben più di quanto invero siamo in grado di spiegare. Allora inventiamo, perché l’idea di sembrare dei completi coglioni agli occhi degli altri ci terrorizza. Ci vergogniamo della nostra ignoranza, come fosse una colpa non sapere; e piuttosto che ammettere l’ignoranza anche sulla più banale delle informazioni, ci applichiamo nell’arte della menzogna. È il talento segreto degli esseri umani.

La storia sul fatto che le bugie hanno le gambe corte è un’assoluta stronzata, credetemi. Ogni giorno inventiamo una marea di strampalate idiozie, arrivando a convincerci di esse. Con quelle gambe lunghe che gli abbiamo fornito, dovreste ben sapere quanto diamine sono in grado di correre lontano. Poi, saltando di bocca in bocca, ci si ritrova addirittura a sentire questioni sulla terra piatta!”

Nella sua mente, una platea di invisibili ascoltatori lodavano il suo monologo, rendendolo lo speaker più trasgressivo della notte. Il nome del programma? Giù un altro!

La telecamera doveva essere spenta.

«Non verrà nessuno,» constatò a denti stretti. Non lo faceva per il gelo, pungente sul suo viso come un nugolo di spilli che, ad ogni folata, insisteva con più ferocia contro i pori della pelle. Era Novembre, ma nonostante l’altitudine, la notte ed il vestiario inadatto alle rigide temperature, non avvertiva freddo.

No, quella spiegazione sarebbe servita solo a mentire a sé stesso. Se lo avesse detto, chiunque avrebbe pensato che avesse caldo. Ma il calore era qualcosa che da lungi non ghermiva una fibra del suo corpo, quasi gli fosse impossibile avvertirlo. Il suo cuore era stretto in un’opprimente morsa gelida. Si era abituato.

I calzoncini da palestra sventolavano alla carezza del vento, e le cordicelle del cappuccio, calato sul viso, danzavano sul vuoto. Gli parvero le mani fluttuanti di un direttore d’orchestra. E il mondo interpretava, rispondendo alle sue direttive: i generatori alle sue spalle ronzavano come rulli di tamburi soffusi, ed i clacson delle auto imbottigliate nel traffico vibravano come violini scordati. Un coro di voci si levava dal vicino mercatino di natale, sollevandosi ed abbassandosi a ritmi regolari, con gli acuti dei più piccoli intrattenuti dai giochi festivi. Le fermate dei bus scandivano i cambi di tempo, come piatti charleston accarezzati dolcemente. Poi, le campane, sincronizzate, rintoccarono le diciotto.

Era quello il suono dell’abbandono.

Una melodia sgradevole. Una composizione bizzarra. Erano pochi però a saperla cogliere, addirittura finendo forse per apprezzarla. Si diventava sordi ad ogni altro suono, e tutto vibrava alla stessa frequenza: lontano dalla fantasia, e troppo vicino alla realtà.

«Sto sognando?» si chiese, inseguendo la nuvola bianca che abbandonava le sue labbra. La risposta si diradò verso il cielo con essa.

Avrebbe voluto darsi un pizzicotto per scoprirlo ma, pur impassibile al dolore del freddo, aveva perso sensibilità alle dita, come se ormai si fossero fuse alla ringhiera metallica del parapetto, alla quale era aggrappato; alta, ma non abbastanza da scoraggiarlo.

Anche i piedi erano diventati insensibili.

Aveva sempre sofferto di vertigini, eppure eccolo lì: sospeso nel vuoto a oltre duecento piedi dalla strada. Le persone sul marciapiede, minuscole, apparivano proprio come si sentiva da troppo tempo: insignificanti.

Come era arrivato lassù?

Non riusciva proprio a ricordarlo.

Invece, sapeva bene il perché: gli sarebbe bastato un passo.

Non esiste un genere adatto a questa storia, qui su The Incipit. Ogni vostra scelta sarà cruciale per il proseguo o la conclusione.

  • Come sono arrivato sin qui? (67%)
    67
  • C'è freddo, ma c'è ancora tempo: un altro monologo da "Giù un altro!". (17%)
    17
  • Non ha dubbi: si butta. (17%)
    17
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72 Commenti

  • Non sono sicuro di aver capito, quindi alla fine era tutto uno spettacolo teatrale? Bel finale in ogni caso, mi è piaciuta questa svolta, anche se i cambi tra prima e terza persona verso la fine mi hanno un po’ confuso. Poi ho trovato il messaggio esplicito contro il suicidio, per quanto condivisibile, un po’ didascalico, forse sarebbe stato meglio lasciarlo più implicito nella decisione del protagonista di non buttarsi. Tuttavia ripeto che questo finale mi è piaciuto, non sapevo bene che cosa aspettarmi però questa chiusura ci sta bene secondo me. Anche il gioco metanarrativo sulla corrispondenza tra le voci e noi lettori è stato interessante e originale 😀
    Complimenti per questo bel racconto e alla prossima storia!

  • Ascoltato e letto con molto interesse.
    Ciao, G.G.
    Il teatro della vita, il canovaccio di quel che saranno i nostri giorni a venire, forse, è già scritto, ma possiamo cambiare, i personaggi di ogni storia possono vivere, prendere possesso del proprio destino e farne quel che desiderano; lo vediamo con i nostri personaggi che, se abbastanza forti (o tondi come dicono gli insegnanti di scrittura creativa), riescono a cambiare il corso della storia, più, a volte, di quanto riescano a fare i lettori che votano le opzioni.
    Bella storia, bella l’idea di leggerla e generosa quella di leggere anche i testi degli altri autori. Allegra ringrazia e così anche io.
    Spero di ritrovarti presto con un nuovo racconto e ti auguro ancora che quello appena cominciato sia un anno Felice e pieno di soddisfazioni!

    Alla prossima!

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