L’adunanza

OMBRE

Il primo a sedersi al robusto tavolo di quercia è Aleph.

Curioso: in ossequio al suo nome, è con lui che inizia la storia.

Come soldati all’arrembaggio, le sue mani invadono sprezzanti il cono di luce che sovrsta la porzione centrale del tavolo, escludendone i contorni.

La rimanente parte della stanza è consegnata all’oscurità.

Appena al di fuori del perimetro esterno del cerchio luminoso, è tutto un brulicare famelico di mani.

Aleph non è solo.

L’odore acre di muffa che cola lungo le pareti della stanza irrita le mucose di Aleph: non riuscirà mai ad abituarsi a quel puzzo stantio, avrebbe rinviato con infinito piacere quell’incontro.

Gli eventi, però, erano precipitati.

Sul ring della superficie scabra del tavolaccio, le mani che fronteggiano le sue appartengono ad una donna. Sono giunti contemporaneamente, lui e l’Ape Regina, anche se non si sono detti una sola parola, né si sono guardati in faccia.

In lontananza, il rumore attenuato di uno stillicidio, come se giungesse loro attraverso un sistema di cunicoli interconnessi.

Intorno a loro, il silenzio.

Non hanno mai visto i rispettivi volti, e non se ne rammaricano: sanno che è meglio così.

Non ne hanno mai avuto alcun bisogno, del resto: i loro scambi hanno sempre avuto luogo nella penombra complice, i loro nomi in codice calati sulle loro identità come maschere per preservarne l’anonimato.

A giudicare dalle movenze delle loro mani, i loro stati d’animo appaiono alquanti divergenti: Aleph ostenta movimenti fluidi e misurati, dando a vedere di avere l’esatto controllo della situazione; al contrario, le mani dell’Ape Regina sussultano nervose, disegnando delle saette nell’aria.

Non bisogna essere un fine psicologo per concludere che tradiscono una partecipazione emotiva al limite della sopportazione, impossibile da dissimulare.

“L’hai portato ?” il suono squillante della voce dell’Ape Regina è l’incipit brusco con cui il dialogo esordisce.

“Ogni cosa a suo tempo, prima dobbiamo parlare”, la risposta stringata di Aleph fende l’aria come un pugnale: sembra voler tenere banco fin dalle prime battute di quella bizzarra conversazione.

“Siamo qui per questo”

La voce stentorea proviene da un punto imprecisato prossimo al perimetro esterno della stanza: qualcun’altro è entrato nella stanza.

“Ben arrivato, ti stavamo aspettando”, il compiacimento nella voce flautata dell’Ape Regina è tangibile.

“Sei in ritardo”, insinua risentito Aleph come a farle da contrappunto, accompagnando le sue parole con uno sbuffo di disappunto.

La risposta del Monaco non si fa attendere “Ero qui quando vi ho visti entrare”

“…ti nascondi nel buio: brutto lurido…”, lo incalza Aleph, e non sembra scherzare: tra i due sembra proprio che siano diversi i conti rimasti in sospeso.

“Ehi amico, non scaldarti! Diciamo che tollero l’oscurità”, lo liquida senza affanni il Monaco, che rimane padrone della situazione e subito dopo riprende “avverto una punta di concitazione più che giustificata nelle parole di stasera: sapete bene che Indaco non tollererà altri passi falsi, ma sapete altrettanto bene che raccordarci è il primo passo”.

“Siamo qui proprio per parlare”, una quarta voce irrompe nella conversazione senza chiedere permesso; è cavernosa e sembra provenire da un’altra stanza, o chissà forse da un altro tempo.

Le note squillanti di una pessima acqua di colonia annunciano inequivocabili l’arrivo del Basilisco, la cui statura troneggia sui presenti, pur nella penombra che circonda il cono di luce.

Sembrano ombre, fantasmi di persone un tempo esistite, consegnati all’oblio.

Come ad un cenno invisibile, i quattro si siedono attorno al tavolo.

Date le condizioni di illuminazione, da quella posizione il Basilisco riesce appena a scorgere il profilo degli altri: esile e sinuoso quello dell’Ape Regina, possente e fiero quello di Aleph, curvo come la radice di una mangrovia quello del Monaco.

D’un tratto, una sirena assordante ulula nella stanza: è il segnale convenuto.

L’adunanza può dirsi ufficialmente aperta.

Nel modo più singolare: anziché esporre ciascuno le proprie ragioni e addurre le relative motivazioni in merito, tutti fanno silenzio all’unisono.

L’atmosfera è visibilmente tesa, le parole andranno spese con cura.

Sin dai primi istanti il Monaco mostra di volersi assumere l’incombenza di guidare i lavori, prendendo la parola “Mi aspetto che da questa adunanza usciremo con un accordo: abbiamo perso del tempo prezioso con la faccenda del camion, non potremo tirare ancora per le lunghe, è confermato che il denaro arriverà domani”

“Ne sei proprio sicuro? Come fai a dirlo?”, il tono di voce di Aleph tradisce il suo spiazzamento.

“Saprete tutto tra un istante”, lo zittisce senza tanti complimenti il Monaco, mentre si prende la scena. Si è alzato, la sua mano fruga nella tasca della giacca, da cui lentamente estrae…

Cosa estrae il Monaco dalla tasca ?

  • UN REGISTRATORE VOCALE (25%)
    25
  • UNA CHIAVE (50%)
    50
  • UN BIGLIETTO (25%)
    25
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11 Commenti

  • Letto questo terzo capitolo mi trovo in imbarazzo su quale continuazione votare. E questo è dovuto al fatto che il vero giallo di questa vicenda è capire da cosa sono legate quattro persone così diverse, oltretutto di nazionalità disparate( come fanno a comunicare tra loro, in inglese?).
    Fossi in te chiarirei al più presto quali sono gli obiettivi di questa “congrega” di soggetti ( sono forse agenti segreti o sono delinquenti?…mah). In questo modo il lettore si sentirebbe più coinvolto…non ti pare? ciaociao.
    P.S. il Presidente morto mi pare l’opzione che lascia alla storia più gradi di libertà…

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