The Bar Guest

Il bar al confine

Era da un paio di settimane che Jeremie aveva iniziato a frequentare quel piccolo bar. Ci andava quando si sentiva particolarmente giù di morale.

Ormai non era una novità che, in quel periodo della sua vita era un pò persa senza più sapere cosa fare della sua vita, ma quando la confusione si faceva talmente insopportabile che la spingeva a scaturire pensieri cupi e sterili senza volerlo, prendeva su e s’incamminava per quel posticcino, dove poteva prendersi qualcosa da bere, a passarci una mezzoretta, o addirittura un paio d’ore, a osservare le persone, ad analizzarle tra sé e sé, o semplicemente stare per conto suo a rimuginare su tutto e niente, guardando nel vuoto. 

“Stare in mezzo alla folla ti farà del bene!” Le diceva spesso il nonno, lui che conosceva molto bene la nipotina insieme al suo gusto per il silenzio e per la solitudine. 

Camminava a passi lenti e trascinanti sul suolo della stradina della campagna deserta. Il baretto si trovava su un lato della strada periferica, era una di quelle case nell’ultima fila, al confine tra Winth e le zone collinari. La strada periferica era quasi sempre vuota, di macchine ne passavano raramente. Dall’altra parte c’era un’altra viuzza che s’inoltrava nel profondo delle foreste, dalle quali man mano s’innalzavano i pendii delle colline andando verso l’est. 

Quel giorno Jeremie a malapena riuscì a intravvedere le linea ricurve delle colline in lontananza, essendo essi nascosti tra le nuvole, ma anche a causa di una foschia blu biancastra che aleggiava nell’aria, rendendo l’intero paesaggio laggiù parecchio offuscato, quasi paludosa. Il tempo non era tra i migliori. 

Era l’inizio autunno, gli alberi appena iniziati a perdere foglie, ma quelle poche foglie cadute per terra, rinsecchite e marce, davano già una lieve sensazione della morte. C’era un freddo strano. Era un freddo poco allarmante per essere tale, nel senso che non ti faceva venire l’idea di coprirti bene prima di uscire da casa, ma una volta che sei fuori, sentivi i fili sottili dell’aria viscidi e fastidiosi, entrare tra le fessure dei vestiti, attravverso il collo, le caviglie, i polsi ecc. in men che ti aspettavi, facendoti rannichiare imprecando qualche frase del tipo: “Porca l’oca che freschino che fa.”

Infatti così fece Jeremie. Presto si fermò davanti ad un locale dall’aspetto modesto, con fuori qualche tavolino e sedia messi qua e là. Un asse in legno cerato pendeva giù orizzontalmente dall’alto con sopra la scritta “Drift Borders” in corsivo, “I confini alla deriva”. Pensava Jeremie che quel nome rispecchiava in qualche modo il suo stato d’animodi quei giorni, sempre di più in bilico tra i pensieri spaventosamente negativi e la curiosità di andare ancora un pocchetto più avanti, nonostante la frustrazione interiore, a vedere cosa poteva capitare ancora, nella vita. In poche parole voleva morire ma non aveva abbastanza coraggio di farlo. 

Al bancone del bar ordinò un tè caldo alla menta, aveva bisogno di riscaldarsi un pò. All’interno della saletta c’era un pò più di gente rispetto al solito. Durante l’attesa notò che era arrivato un nuovo cameriere. Il barista lo chiamava David da dietro il bancone, doveva essere arrivato da pochi giorni, quel giovanetto dall’aspetto piacevole, col fare gentile e la voce calma. Dall’accento sembrava esser venuto anche lui dalla città di Z., così come lo era Jeremie. Ma non lo conosceva, e pensò che era meglio così.

Ognitanto capitava che qualcuno dalle città venisse a fare dei lavori stagionali a Winth, a differenza di lei che ci si era trasferita semlicemente per una “questione filosofica”, così come la definiva lei stessa. Voleva stare in pace, per conto suo. Grazie ai lavori che aveva svolto durante le sue vacanze estive e molti dei suoi pomeriggi liberi negli anni di studio, con il risparmio che aveva messo da parte poteva permettersi di farlo. Voleva stare in un posto dove finalmente ha la possibilità di lasciarsi scivolare nella propria disperazione senza cadere negli occhi di nessun conoscente, neanche quelli dei suoi genitori. Soprattutto quelli dei suoi genitori. Anche se la cosa suonava bizzarra per la sua età, eppure essendo cresciuta in una famiglia dove gli standard erano stati perennemente alti, non poteva che finire di sentirsi consumata a forza di accontentare le aspettative dei suoi e di cadere nella depressione, ma certamente non era soltanto per via dei genitori che si trovava sotto quelle condizioni, non solo. Per esempio non le andava a genio neanche sapere che le persone bisbigliassero di lei alle sue spalle. Era troppo orgogliosa di natura. 

Il tè arrivò. Jeremie lo portò a sedersi fuori nonostante il freddo. In quella sala c’era troppa gente per i suoi gusti e aveva deciso che quel tardo pomeriggio non si sarebbe interessata di nessuno e di nulla, tranne che di godersi la vista dall’altra parte di quella strada di confine, anche se quasi irreale e in qualche modo lugubre, immergendosi nell’immaginazione che la veduta suscitava nella sua mente..

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Di che cosa parla il prossimo capitolo?

  • Incontra una persona speciale. (50%)
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  • Conosce David il cameriere. (50%)
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  • Altre informazione su Jeremie. (0%)
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4 Commenti

  • Molto interessante come inizio. Forse un po’ troppo “creepy” per i miei gusti, ma si vedrà… siamo solo al primo capitolo 🙂
    Se posso darti un consiglio, fai attenzione ai verbi: molte volte hai cambiato due o tre tempi verbali nella stessa frase.
    Voto che conosce David, spero che in questo modo scopriremo qualcosa in più anche su Jeremie.
    Ti seguo 😉

    • Grazie dell’incoraggiamento eemmaa,
      Chiedo scusa per il terribile riardo della mia risposta e stranamente non ho ricevuto nessuna email di notifica al riguardo, accipicchia! Quindi ho letto solo ora ma mi ha fatto molto piacere! Per l’effetto creepy forse era in parte voluto perché genere horror, ma non vorrei mica esagerare troppo 😀 Le coniugazioni dei verbi non sono mai state il mio punto forte ma cercherò di farci caso e spero di migliorare. Hai fatto proprio bene a farmi notare! Volevo introdurre Jeremie a David ma il numero limitato delle parole mi frega, spero di riuscire a recuperare nel prossimo capitolo!

  • Pollice su:
    le atmosfere dei luoghi che ti sforzi di descrivere. ?

    Pollice giù:
    i tempi verbali. La frase “Voleva stare in un posto dove finalmente ha la possibilità..” spiega cosa intendo. ?
    Alcuni termini “arditi”. Posticcino, baretto, freschino. Mmh….?

    Andrò avanti a leggere, e se potrà aiutarti esprimerò ancora le mie opinioni. Buoin lavoro! ?

    • Grazie per il tuo commento Livio,
      Non sono proprio abituata a scrivere ma vorrei iniziare a farlo nonostante il poco tempo che ho a disposizione, infatti perdonami se ho risposto con tanto di ritardo! Dovrei controllare più volte prima di pubblicare ed evitare di fare correzioni all’ultimo momento perché missà che in questo modo commetto ancora più errori ? già che, come hai segnalato, di errori ne faccio, e non riesco a fare correzioni e non so perché, sigh.. che vergogna. Ma le opinioni costruttive sono sicuramente ben accettate, mi aiutano solo a migliorare, ma altrocché! Un saluto. ?

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