Delitto a Villa Serena – Un giallo della terza età

Un professore all’ospizio

Mi chiamo Carmine Santoro. Ho 79 anni, un passato da docente al liceo, una moglie passata a miglior vita tre anni fa, due figli, sei nipoti, due ernie al disco e una dentiera ballerina che mi ha quasi convinto a rinunciare al piacere del cibo solido.

Da poco più di una decina d’anni sono in pensione.

Anche se, a essere onesti, non ho mai abbandonato l’insegnamento. Certi mestieri non si lasciano e basta. È un po’ come fare il prete o il medico. Nessuno può dirti che non sei più un insegnante solo perché hai raggiunto un’età da sovrintendente di cantiere. Non è così che funziona. Il prete muore prete, il medico muore medico e l’insegnante muore insegnante.

È una cosa che faccio anche qui a Villa Serena, la casa di ricovero per anziani dove la mia amorevole prole mi ha sistemato in attesa di una dipartita che tarda ad arrivare.

Un luogo che sarebbe anche gradevole, se non fosse per l’amara considerazione che ci sono finito perché nessuno dei miei figli mi ha voluto tra i piedi.

Per fortuna sono sempre stato un buon incassatore e pure a ‘sta botta ho retto bene; anche se devo ammettere che le prime settimane non sono state affatto facili.

Ma lasciamo perdere, è acqua passata. Tempo un paio di mesi, sono riuscito a ritagliarmi uno spazio mio, liberandomi di quell’odioso signor Santoro e riappropriandomi dell’unico titolo di cui mi sia mai importato qualcosa, quello di Professore: Professor Santoro, sovente abbreviato in un più confidenziale Prufesso’ che, a dirla tutta, mi piace pure di più.

Non prendo soldi per le mie lezioni. Anche perché quasi nessuno dei miei nuovi allievi potrebbe permetterselo, visto che le loro pensioni sono gestite da figli taccagni come genovesi. In pratica è tutto aggratis, come ripete il mio fido Don Armando nel tentativo di reclutare nuovi studenti. Le lezioni si tengono dal lunedì al venerdì, rigorosamente di mattina, ché la mente è più sveglia e pronta, e sono intervallate da almeno una decina tra pause caffè, terapia, bisogni fisiologici e sigaretta.

Anche se sulla sigaretta non tollero più dei canonici cinque minuti.

La prima a cui, un po’ per caso, mi ritrovai a dare ripetizioni fu Gabriella Neri, l’infermiera del turno di notte, una ragazzona burbera, con una cinquantina di chili di troppo, che, in quel periodo, stava preparando il concorso per un posto all’Ospedale del Mare: 16000 candidati per 23 nuove assunzioni. Praticamente un terno al lotto.

Per la cronaca, al concorso risultò idonea non vincitrice, che, tradotto, vuol dire che tutto quello che potevamo fare l’avevamo fatto. C’era mancato giusto un pizzico di fortuna; anche se Don Armando non era dello stesso parere: ce vò ‘o cavece ‘nculo Prufesso’, nun ce pigliammo pe’ fessi, diceva, e, chissà che, anche quella volta, non avesse ragione.

In seconda battuta venne la signora Nunziata, donna raffinatissima, che a ottant’anni suonati, sapendo di non sapere, cercava, in tutti i modi, di rimediare: cercava risposte, indagava ogni argomento dello scibile umano e si dannava l’anima perché, se solo avesse intensificato gli sforzi un po’ prima della terza età (magari anche solo a metà della seconda), chissà quante cose meravigliose avrebbe potuto imparare ancora. Alla Annunziata si aggiunsero le sorelle Carfora, un inscindibile duo di vedove artritiche, dipendenti dall’aglio e dalla nicotina, ansiose di saperne di più sull’universo, sulla particella di Dio, sul perché Piero Angela non rimbecilliva come gli altri e sul Pirata Barbarossa… o era Barbanera? Ah no, Barbanera era l’Imperatore… o forse era il contrario?

Insomma, nel giro di pochi mesi quasi la metà degli ospiti dell’ospizio si era unita a noi.

Una bella soddisfazione, certo, ma pure una bella fatica.

Per fortuna, a un certo punto di questa mia nuova avventura, spuntò Don Armando, valente collaboratore ottuagenario autoproclamatosi mio secondo nell’intervallo di Caccia a Ottobre Rosso, film di cui avevamo condiviso la visione nel corso di una notte insonne per entrambi.

Don Armando si occupava di tutto: dalla gestione della cancelleria al registro delle presenze al caffè, oltre a concedersi domande imbarazzanti e improvvide che scatenavano l’ilarità delle Carfora e facevano incacchiare di brutto la signora Annunziata.

A 79 anni, se sai prenderla, la vita è bella e spensierata. Il meglio e il peggio sono alle spalle, ormai, o, almeno, così si è portati a pensare. Non resta che mettersi comodi e godersi, ancora per un po’, le meraviglie di questo fazzoletto di magma solidificato alla periferia dell’universo; senza stress, con calma, slow, come si dice oggi.

Non serve molto. E la routine è di conforto: il caffè di Don Armando che scaracchia sul bruciatore, la convivialità del pranzo in sala mensa scandito da ritmici risucchi di minestra, le terapie del pomeriggio, i peti epici del signor Covella durante il cineforum del lunedì e le mani impiastricciate di colori dopo la lezione di pittura del sabato… quella che per tutta la settimana Anna Senese, della stanza n° 13, attendeva con ansia.

Come detto si tratta di un giallo e in un giallo è d'obbligo che ci sia un vittima, perciò vi chiedo: come è morta la signora Senese?

  • Impiccata (14%)
    14
  • Avvelenata (71%)
    71
  • Accoltellata (14%)
    14
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129 Commenti

  • Lou, bravissimo! La storia fila che è una meraviglia, i personaggi ci sono tutti e i dialoghi tra il professore e don Armando sono esilaranti, direi con un tocco cabarettistico che alleggerisce la storia ma non distrae dalla curiosità verso la individuazione del colpevole. Ad majora e complimenti !

    • Ciao G. G., ho appena ascoltato la tua ultima lettura: tutto perfetto. Ti ringrazio per la recensione, sono onorato, davvero.
      Forse un pizzico troppo generoso, dai, anche se i complimenti fanno sempre piacere. Non so quando tornerò con una nuova storia. Devo dire che ho ritrovato al mio rientro un’accoglienza sorprendentemente calorosa e storie molto interessanti. Mi piacerebbe farlo presto ma prima ho un po’ di faccende altre da sbrigare. Ancora grazie di vero cuore per l’attenzione che hai dedicato al mio racconto e per le belle letture.

  • Ciao, Lou.
    Anche con te mi sono persa il capitolo precedente, ma ho rimediato.
    Finale non scontato e ben confezionato.
    Quando ero molto più giovane, con la scuola, ho fatto visita a una casa di riposo e ricordo i sorrisi dei ricoverati, così felici di averci lì, anche se eravamo un gruppo di giovani estranei che non sapevano cosa fare e cosa dire. Perciò, mi piace immaginare un posto dove gli anziani abbiano le sembianze dei tuoi protagonisti e dove possano vivere qualche avventura, anche nell’attesa lunga di una visita che stenta ad arrivare.
    Bello, ma non avevo alcun dubbio in merito. 🙂
    Solo un appunto, nella frase: “Vorrei che lo volessi a prescindere da quello che è successo” io avrei usato “facessi”, ma non conosco la tua intenzione.

    Alla prossima, spero presto con una nuova storia.

    • Grazie K., i complimenti, inutile nasconderlo, fanno sempre piacere. Si, è bello pensare che in un luogo di quel tipo ci si possa anche divertire, fare squadra e vivere persino una qualche avventura, dedicando il poco tempo che rimane a chi lo merita. Giusta la tua osservazione. Anche se bisognerebbe più che altro chiedere al Professore il perché della scelta di quel ‘volessi’. ?

  • Degno finale di un giallo grazioso, molto leggero e godibile, complimenti.
    La parolaccia finale ci sta benissimo anche se tutti o quasi gli ospiti di RSS la pensano e nessuno mai la dice.
    Un giusto tributo alla legge del racconto dove l’eccezione la vince sulla regola. Bravissimo, ti aspetto alla prossima, se vorrai. Ciao!?

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