IBISCUS

ARDEA

L’auto, una Lancia Ardea superbamente invecchiata per settant’anni, scivola via su una costola ondulata di terra a braccetto col mare, nell’aria cristallina dopo un pomeriggio di pioggia. La strada è una lama grigia che taglia lo scenario autunnale, lambisce la macchia, sfiora le dune, e a tratti sembra protendersi verso il cielo.

Ardea è in viaggio, corre solitaria, verso una destinazione là in fondo, oltre i rossi del tramonto; è leggera, onesta, obbediente ai comandi gentili quasi impercettibili del volante.
Alla guida c’è la carezza di una giovane donna, Marina, e le sue mani eleganti dalle dita affusolate. La radio modula una vecchia canzone, uno slow, e lei muove la testa piano, come rapita; canta senza voce, e nell’abitacolo si respira il suo profumo su una nota maschile di cuoio, e tabacco.
C’è un uomo seduto accanto alla ragazza.
Come lei è giovane, come lei è composto, discreto, sembra a suo agio, perché ha gli occhi chiusi; addirittura, forse, sta dormendo.
— Finalmente potrò guardarti per ore — dice a sorpresa — e tu non ti voltare.
Lei però s’è voltata, e ha sorriso. Poi torna a guardare la strada, sorride ancora. Il suo profilo agli occhi di lui è la cosa più bella del mondo.
— C’è di meglio da guardare. Guarda che bello l’autunno: i colori gridano, prima di morire. È tutto così tragico e dimesso là fuori.
— Uhm, meglio qua dentro. È, questa un’occasione unica per indagare i battiti delle tue ciglia, posso contarli!, e, che dire: hai davvero un bel nasino greco. E la tua bocca? scusami, ma qua dentro sembra già Natale.
— Natale? Oddio, perché Natale?
— Questa macchina, il fascino che ha, e il fascino che hai tu. Non è un complimento, è la pura verità. Tu e lei, e la musica della tua radio, siete una cosa sola.
— Che si chiama Natale?
— No, però potrei chiamarla casa se solo mi appartenesse.
— Ah, ok. Allora, puoi chiamarla Natale. Io però preferisco l’autunno. Per me suona le note de les feuilles mortes. Lo sai quanto amo il jazz.
— Tutti amano quella canzone, e anche io leggo, ho letto, Prévert.
— E bravo Ale, romanticone. Ti accontenterai di guardarmi, o vuoi provare a sedurmi, vivere un’avventura?
— Il viaggio è lungo, si fa sera… Chissà! Anche se quello che succede davvero, purtroppo, è che si torna a casa; altro che avventura.
— Ah, ecco! Attento, però: adesso sei scortese. Guarda che le donne a queste cose ci fanno caso.
— Sì, scusa è vero; anche se a te l’avventura non si addice; tu non sei semplicemente una donna. Tu, amica mia, sei quella parete inattaccabile che ha resistito alle avances di un mese di scalata, e quindi…
— Ti sei arreso?! No, a chi la racconti. Inattaccabile da chi? In realtà non ci hai mai provato veramente.
Lui non replica, tace; si gira a guardare fuori dal finestrino; certo sta pensando. Lei si è innervosita, Ardea se ne accorge, e chiede un cambio marcia.
Poi l’uomo torna a fissare la ragazza.
— Vorrei essere mio padre — dice serio.
— Eh?
— Adesso, dico, vorrei per un minuto essere mio padre.
Marina torna a guardarlo per un attimo. Adesso è seria anche lei, turbata, forse addirittura irritata.
— Perché tuo padre? Lui che c’entra adesso?
— Perché lui ti conosce. E ti sa prendere. Io invece di te so solo che sei meravigliosa e non mi fili.
— Tuo padre mi conosce da quando ero piccola.
— Da quando eravamo piccoli. È appunto quello che stavo dicendo. Lui ti ha vista crescere, ha frequentato la tua casa, tua madre, tuo fratello. Io non c’ero, io ho conosciuto mia madre, solo lei, e di lui so quello che lui sa di me, cioè nulla, o quasi.
— Tuo padre ha fatto molto per noi, mia madre lo ama ancora, a modo suo lo ama. Perché dobbiamo parlare di lui?
— Scusa. Scusami, non so che mi prende. Però ogni volta che penso a te, ecco, puntuali, anche loro. Quei due sono la nostra rovina.
— Che vuoi dire?
— Facile: che siamo quasi parenti, e io non ti voglio come sorella, quasi quanto lui non ti vuole come figlia.
— Se non ha sposato mia madre non sarà per questo.
— Al tempo… oggi il discorso è diverso; e io, in questo momento, in questa macchina, vorrei essere mio padre.
Nell’auto cala il gelo.
Lui guarda ancora fuori, prende a mordersi le unghie, mentre lei alza il volume della radio e accelera nervosa. Ardea risponde con un soffio felino, mentre fuori il cielo si fa scuro.
— Per me è solo Sandro, — riprende Ale — non mi ha filato per vent’anni e adesso sono un suo dipendente. Mi da, bontà sua, un lavoro. Tu invece…
— Io cosa? Cosa stai insinuando?
— Niente. Ma se parliamo di sentimenti… non è la stessa cosa. Chi è più figlio, tu o io? E se non ti ha voluta come figlia, cosa vuole da te, perché ti gira intorno? Perché non ha dato semplicemente un lavoro del cavolo anche a te, e invece ti vuole in casa sua?… Mi chiedo a far che…
— Tu sei matto. Tu, tu di lui non sai niente, e niente sai di me.
Nel dire Marina, rallenta e ferma in una piazzola di sosta.
— E adesso che fai? — chiede lui.
— Hai voglia di parlare? Bene: parliamo. Oppure fammi vedere che faresti se fossi davvero tuo padre.

Continua…

Diamo un seguito a questa storia

  • Una notte da scordare (20%)
    20
  • Una bella notte (0%)
    0
  • Una notte insonne (80%)
    80
Loading ... Loading ...
Categorie

Lascia un commento

107 Commenti

  • Ciao Keziarica, grazie.
    Quale che sia il destino di Marina oggi comincia tutta un’altra storia che la vede finalmente protagonista responsabile.
    Nel racconto della sua fuga-partenza o quel che sia, ho voluto inserire tutti gli elementi anche puramente simbolici che, avendo tempo e voglia, possono far riflettere. Ognuno coglierà quel che vuole ma Tu, intanto hai voluto sottolineare il gesto, di lei che, “gelosa” della cieca stupida felicità di un fiore, lo coglie per condurlo via, a condividere i suoi drammi, perché solo quando la realtà in cui esso è nato e maturato sarà consumata, per lei potrà iniziare una nuova stagione. Grazie ancora, a presto!??

  • Ciao, Ottaviano.
    Conclusione un agrodolce, il povero fiore strappato per essere visto appassire è un’immagine tragica che porta con sé un messaggio poco propizio per la buona riuscita di vita della nostra Marina.
    Hai creato questa storia con garbo e maestria, lucidità e qualche tocco di nostalgia. L’ambiente, i personaggi, i dialoghi hanno contribuito a mostrarci gli avvenimenti di uno spaccato all’Italiana, di quelli che i grandi maestri del cinema ci hanno raccontato nel passato. Bello, te lo ripeto: il mio preferito. Ora ne aspetto un altro e ti auguro una bellissima giornata.

    Alla prossima!

  • Capitolo 10)

    Ciao Ottaviano!

    Questa parte conclusiva è filata liscia verso il finale, offrendo al lettore quel tocco di amarezza e speranza per un futuro più roseo, ma anche a molti potrebbe far dare di matto. Le fughe sono belle – non sempre – a immaginarsi, meno a farci i conti. Tanto per coloro che partono quanto per chi resta.
    Mi piace, e come sempre le tue storie attingono a piene mani dall’umani, senza la necessità di “invitare un mondo” ma semplicemente descriverne le sfumature. E lo fai sempre con un tocco invidiabile!
    Aspetto di sicuro la prossima avventura!
    Continua così: sei fortissimo!

  • Questo sito usa i cookies per migliorare l'esperienza utente. Cliccando su Accetto acconsenti all'utilizzo di cookie tecnici e obbligatori e all'invio di statistiche anonime sull'uso del sito maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi