Dove eravamo rimasti?
CAPITOLO II: “Il Passo Falso”
Allora io me ne vado. “Lei sta dando di matto, e glielo dico io che negli anni la calma mi ha reso più pazzo di chiunque altro!”. Va bene, allora, rispondevo a Cacciadiavoli. “Se ne vada quindi: qui ho da fare i miei bagages“.
Avevamo consumato la parola: adesso non restava altro che ammutolire un oneroso dubbio che frullava come un mixer della Brondi. Il malumore mi attanagliava. “Se ne vada suvvia, io vedo in lei nient’altro che un porco maldestro!”. Oll correct: me ne vado, me ne sto andando. L’accento suadente di quel fastidiosissimo “ok” pronunziato dal dottor Cacciadiavoli, irritante come un’Arpia amiantina, mi aveva indotto alla spaghettificazione più assoluta. Era un “Black Hole” quel dottore. Un pazzo di altri tempi. Di colpo Cacciadiavoli, torcendo verso di me all’indietro il busto, riprendeva la parola. Finalmente! Ero esausto di continuare a pensare alla cavalcata mentale che mi stava ottenebrando le membra. Parli! Sputi quello che deve dire! Si faccia forza. “Si esprima al meglio delle sue capacità. Non arretri e mi salvi da questa mirabile cottura di parole!”. Allora ri-iniziava a parlare. “Ah, ecco, finalmente. L’altro dì, mentre stavo conducendo le mie ricerche di consulenza ho trovato, sotto uno dei tanti dispositivi di diffusione termica della mia casa, un libro intitolato “La meravigliosa Storia dei Cocci, da Apelle a Guido Adloviz“. Le sembra un caso che sia un libro che ricalchi anche alcune opere di Zeusi? Ebbene, a me no. Io non ho mai creduto al Caso, ma ora sto incominciando a pensare che qui l’universo, caro marchese, le voglia comunicarle un messaggio. La sincronicità di Jung. Non si spinga oltre queste barriere poste dagli Antichi, non faccia Il Passo falso. Ma non induca anche me in errore”. Cacciadiavoli mi diede il libro e se ne andò. Ero solo. La stanchezza mi aveva spinto a coricarmi. Ero stanco, ma i miei occhi pareva che fossero stati trattati con un balsamo rinvigorente. Lessi una decina di pagine de “La meravigliosa Storia dei Cocci” e sprofondai lentamente in una prima fase di dormiveglia.
La mattina mi sarei svegliato coccolato da un torpore abbacinante.
Ormai infiacchito da Morfeo, avevo sfogliato senza fortuna le numerose pagine del libro, ma qualcosa mi spingeva a continuare la lettura abortita. Tra le tante immagini di ceramiche provenienti dall’Est Europa, spiccava, per non so quale preciso motivo, un’allegra foto di Alpini Friulani sui primi degli anni Cinquanta. Molto probabilmente la foto era stata scattata prima di una escursione, ipotizzo, domenicana. Un cane dalla vegliarda postura, precisamente un San Bernardo, allevato nelle Alpi Carniche, emergeva dal gruppo con singolare guizzo di sguardo. Bernard Charpertièr Louassòn, anche detto Poisson. Il suo nome era stato inserito in appendice sotto la foto, quasi per gioco. Fin lì non avevo colto il motivo per cui era stata aggiunta quell’immagine di repertorio in un volume del genere. Ciononostante, continuavo a re-immergermi tra le pagine del libro ormai ebbro di sonno.
Ricordo che l’ultima visione che avevo avuto prima di assopirmi era riferita a quel maledetto cane, Bernard.
Imperversava una tempesta e io avevo paura, molta paura. Non sapevo dove mi trovato, forse in qualche zona del Caucaso di difficile accesso. Biascicava nell’ombra il terrore di vedermi morto per ipotermia sotto una tenda squarciata chissà da chi, o da cosa. Ero da poco uscito scoperto, in piedi sotto un cielo terso di stelle. Avvertivo, non so per quale sparuta ragione, il suono vibrante di pesanti campanacci nella valle sottostante: era giorno o notte? La tempesta si era acquietata, ma, per precauzione, avevo indossato in quattro e quattr’otto delle vecchie ciaspole che avevo portato con me. Il cielo, come d’un tratto, aveva cominciato a scatarrare vento e neve in una bufera allucinante. Il passo mi si era fatto pesante. Perchè? Da un cucuzzolo sporgente, elucubrazione della mia irrimediabile scoliosi, scorgevo dei lampi fluttuanti, dall’apparenza paranormale. Percepivo la stanchezza dei movimenti che solo nei sogni si può provare. Erano le ciaspole che mi conducevano verso la mia vaga e sconosciuta meta, e non io che comandavo loro.
In lontananza vidi il primo corpo; quand’ecco che, nel biancore del terriccio, una macchia di morte mi si parava dinanzi. Come un fungo, un corpo emerse dalla neve con il cranio orribilmente sfondato. Era Igor Djatlov, povero diavolo. Quale forza sovraumana avrebbe potuto fare una cosa del genere? L’apocalisse era sopraggiunta. Il “timor dei” era stato catturato dal morso rapace della Grand Pute. Che Dio salvi la regina e Alfred Dreyfrus dal loro amaro destino. Che Cristo mi si pari davanti e mi osservi con degli occhi carichi di mestizia: avevo ucciso io tutte quelle persone. Ero un assassino. La mia mano aveva oltraggiato quel posto che non era stato ancora lambito dagli orrori della presenza umana. Ma dovevo aspettare un altro po’, affinché io scoprissi quale destino mi attendeva ai bordi del mio miraggio.
Quale visione orripilante celerà il sogno del dottor Mancuso?
- La sua mera follia (50%)
- Un monstrum mai visto (50%)
- Una profezia sulla Terra Cava (0%)

24/01/2023 at 17:50
Capitolo 2)
Ciao Cacciadiavoli!
Credo di averti mandato in pari le opzioni.
La seconda parte del capitolo, dove hai lasciato respirare la narrazione, è di certo più fruibile, anche per i lettori meno attenti ai dettagli e in cerca di una lettura più accomodante. Hai posto le basi per iniziare questo viaggio nella follia.
L’idea, come già detto per il precedente episodio, mi piace.
Continuo a starti dietro, incuriosito da quel che sarà. 😉
Al prossimo!
16/01/2023 at 23:47
Capitolo 1)
Ciao Cacciadiavoli!
Ti leggo per la prima volta sul sito, e come tuo primo lettore ci tengo a darti il benvenuto.
La storia che ci presenti ha un tono divertente, ricco di citazioni, di riferimenti e si vede che hai già giocato con la scrittura.
Salta però all’occhio una certa complessità narrativa, per scelta voluta, che comporta al lettore parecchia attenzione a ogni singola battuta, rendendo la lettura decisamente impegnative, un po’ come se si cercasse di decifrare una poesia. Il mio è un complimento, poiché ho apprezzato l’impregno, ma altresì un critica. Lo stile potrebbe scoraggiare parecchi lettori, ma sono certo che tu l’abbia messo in conto, iniziando una storia simile.
Altro punto che voglio segnalarti, l’impaginazione. Forse hai trasportato il file di scrittura senza prestare attenzione all’impaginazione sul sito, e purtroppo al storia non può che uscirne danneggiate. I dialoghi si mischiano con le azioni, e si ha l’impressione che tutto sia un unico grande blocco.
Con le storie che richiedono la massima attenzione, come questa, gli spazi sono fondamentali per consentire al lettore di tornare velocemente a un punto prestabilito, dove potrebbe ritenere di essersi perso qualcosa. Come hai presentato il primo capitolo, però, rende complicato e confuso il tutto. Prestaci più attenzione nel prossimo capitolo! 😉
Sono curioso di scoprire come porterai avanti la storia, e quale impatto avrà il nostro intervento di lettori nelle vicende.
Aspetto il prossimo.
A presto!
22/01/2023 at 04:12
Buonasera,
Accolgo con piacere i suoi consigli. Per quanto riguarda lo stile narrativo, quello adottato nel racconto è, come ha già fatto intendere lei, volutamente impegnativo. Sebbene sia nato e continui a svilupparsi come scherzo, questo progetto è sottoposto a un continuo e costante “labor limae” che mi riempie di una genuina gioia ogniqualvolta mi ci avvicino per un’eventuale sua correzione o estensione. Finora sono stati scritti tre capitoli e su “TheIncipit” è stata pubblicata solo una vecchia versione del primo. A breve verranno pubblicati gli altri sotto-capitoli, adattati alle capacità del sito.
Resti in ascolto per ulteriori pubblicazioni.
A presto