BIANCO

Dove eravamo rimasti?

Ti va di scegliere una parola che caratterizzerà il prossimo capitolo? Cibo (71%)

Giulia mangia la marmellata

Siamo seduti attorno al tavolo, la luce del lampadario è accesa. L’ha deciso Papà, e inizialmente io e Mamma siamo rimasti perplessi.

«Mi devo scusare con voi», ha detto Papà, stamattina. «Con tutti voi.»

Ci ha spiegato che la mancanza di approfondimenti, di ragguagli, di comunicati, l’ha fatto andare fuori di testa. Ci ha confessato che ha un tremendo bisogno di capire, di ascoltare le notizie all’autoradio, di leggere i tweet degli addetti ai lavori, di seguire i servizi al telegiornale.
Ha bisogno di una risposta, Papà, ha bisogno di capire quel che sta succedendo.

Ci ha detto queste cose guardandoci dritto negli occhi, cercando di controllare il tremore delle mani; spesso si asciugava la fronte dalle gocce di sudore invisibile che, evidentemente, lo stanno tormentando.
Papà non sta bene, il suo colorito mi preoccupa, e da stamattina finisce tutte le frasi con una risata così secca, così amara, che mi fa gelare il cuore.

«Stasera ci prepariamo una bella cena, eh?, ah ah ah!», ha detto Papà. «Finiamo tutte le lattine, le cuciniamo tutte, ah ah ah! Ci facciamo una bella abbuffata, e domani usciamo a cercare cibo vero: è o non è un’idea geniale? Ah ah ah!»

A me non è sembrata affatto, un’idea geniale. Ho guardato Mamma, accoccolata insieme a Giulia sotto la coperta, indaffarata a sussurrarle cose nell’orecchio: neanche lei m’è sembrata convinta.
Ma l’alternativa? Qual è, l’alternativa? Il cibo che abbiamo, se lo razioniamo, finirà entro una settimana. E poi?

Siamo seduti attorno al tavolo, la luce del lampadario ci scalda un poco.
C’è silenzio, mentre i nostri cucchiai affondano nei piatti colmi di minestra di fagioli.
Minestra calda, bollente, che scende nello stomaco freddo. È una situazione irreale.
È una sensazione irreale.
Giulia chiede se può avere crostini e marmellata, e Papà, tutto sorridente, apre il barattolo e glielo mette davanti. Il coperchio fa poff!, e Giulia scoppia a ridere.
Era da tanto, che non la sentivo ridere così, eppure quella risata mi dà i brividi.
Giulia ha solo tre anni, ma i suoi occhi ne dimostrano molti di più.
Cerco di ricordarmi com’è il suo viso senza berretto di lana che le nasconde i capelli notte e giorno, senza sciarpa di pile che le avvolge il collo. Non me lo ricordo.
Giulia inzuppa i crostini nel barattolo della marmellata di fragole, se li ficca in bocca senza preoccuparsi delle buone maniere. La marmellata le tinge le labbra di rosso, e quell’immagine mi spaventa terribilmente.
Raccolgo un altro mestolo di minestra, il cucchiaio raschia il fondo e realizzo che sta per finire. Una sensazione di profonda tristezza si fa largo, dentro di me, e mi chiedo quando sarà la prossima volta che mangerò qualcosa di caldo. O qualcosa.

«Ne vuoi ancora, mangione? Ah ha ha!», dice Papà. «Tieni, prendi la mia, ah ah ah!»

Papà mi versa la sua minestra nel mio piatto, i fagioli rimbalzano e schizzano la tovaglia bianca.

«Ops! Ah ah ah!», dice Papà.

Lo guardo: nei miei tredici anni non ho mai visto degli occhi così tristi.

«Domattina, quindi, andiamo via», dice Mamma sottovoce. Ha lo sguardo sul suo piatto vuoto, la mano destra, che regge il cucchiaio, trema leggermente. «Pensi di raggiungere il paese?»

Papà dice che sì, si andrà tutti in paese. Dice che il furgone non dovrebbe dare problemi, ché la batteria è praticamente nuova.

«Andrà tutto bene, ah ah ah!», dice Papà. La sua risata mi spaventa moltissimo.

*

Mi sveglio presto, devo fare pipì. Non sono abituato a mangiare tutta la minestra che ho mangiato ieri sera.
Sul divano ci sono Mamma e Giulia che dormono abbracciate, sepolte da una mezza dozzina di coperte. La poltrona sulla quale dorme Papà è vuota. Qualcosa mi si rompe dentro.

«Mamma, Mamma», le sussurro all’orecchio. Il suo orecchio è caldo, e sa di buono lo stesso. Anche se non ci facciamo la doccia da settimane.

Quando apre gli occhi una lacrima le scende giù, le attraversa il naso, e viene assorbita dal cappello di lana di Giulia. Vorrebbe dirmi qualcosa, ma le tremano le labbra. Labbra livide.
Arretro, gli occhi fissi su quelli di Mamma. Mi butto una coperta addosso ed esco.

Il vento mi fischia nelle orecchie, facendomi socchiudere gli occhi. Faccio due passi nel bianco, cercando di trattenere l’urlo che ha una gran voglia di esplodere. Vorrei gridare Papà!, dove sei, Papà?
Poi vedo la sua giacca a vento mezza sepolta dalla neve caduta durante la notte. Mi inginocchio, scavo con le dita infreddolite, resistendo alle fitte di dolore. Estraggo la giacca e scavo ancora, fino ad arrivare al terreno. Non c’è.
Scatto in piedi, mi guardo attorno, cerco le sue impronte. Non ne vedo.
Avanzo nel bianco, mi proteggo gli occhi con le mani già intirizzite, guardo dappertutto.

Poi lo vedo.
È appoggiato con la spalla al tronco di un grande pino.
Mi incammino verso di lui, e nella neve vedo spuntare le sue scarpe, i suoi jeans. Il suo maglione arancio con la striscia bianca, la sua maglia a collo alto blu elettrico.
Le sue mutande, le sue calze.
Gli appoggio una mano sulla schiena: è completamente congelata.

Ti va di decidere dove andare?

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  • Io andrei in cerca di un rifugio nelle vicinanze, ovvio! (0%)
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