BIANCO

Dove eravamo rimasti?

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Speciale

Clo ha perso la madre e una sorella gemella, dice che a volte sente una specie di nodo alla gola. Dice che fa così fatica a respirare che le sembra di morire, ché sua sorella le manca tantissimo. Tremendamente. Mi dice queste cose prima di dormire, mentre ce ne stiamo vicini, accoccolati nei sacchi a pelo che abbiamo trovato nel retro del bar. Lei mi guarda fisso negli occhi, non stacca mai lo sguardo, mi dice che non potrebbe sopportare di perdere anche me: dice che le mancherei tremendamente. Clo usa spesso la parola tremendamente.
La notte ci teniamo per mano, e attendo sempre che le sue palpebre si abbassino e che il suo respiro diventi regolare. Poi mi addormento anche io, e a volte sogno.
I miei sogni sono fantastici, pieni di cose belle, e c’è sempre il sole che splende. Fa sempre caldo, nei miei sogni, e la mattina mi capita spesso di risvegliarmi sudato.
La prima cosa che faccio è quella di controllare se Giulia sta bene: le piace dormire tra me e Clo, tutta accoccolata nel suo sacco a pelo rosa. La seconda cosa che faccio è spostare i capelli che di notte ricadono sulla fronte di Clo.
Quando i suoi occhi si riaprono, quando le sue labbra formano un sorriso, il mio cuore incomincia a battere fortissimo. E per un piccolo momento mi scordo dei mostri e della neve, di mamma e di papà. Quell’istante mi dà la forza per resistere: è qualcosa di magico, di speciale.
Siamo rifugiati nel bar da cinque notti, le scorte di cibo trovate nella dispensa stanno calando. Ieri abbiamo cenato condividendo un pacco di patatine fritte.
Erano buonissime.

*

«Dobbiamo andare», dice il papà di Clo. Non facciamo domande, e iniziamo a preparare gli zaini che abbiamo trovato nel retro del bar.

Nei giorni scorsi il papà di Clo è uscito spesso, in perlustrazione: ha trovato una jeep funzionante, col serbatoio pieno.
Lasciamo il nostro rifugio dopo aver fatto colazione: quattro caramelle gommose alla fragola per uno.
Il papà di Clo toglie la legna che sta scoppiettando nella stufa e la affoga in un secchio pieno di neve.
Per un attimo ce ne stiamo a fissare la stufa, Clo dice che quel bel calduccio le mancherà tremendamente.

*

Abbiamo percorso esattamente quattrocentocinquantadue chilometri, viaggiato su superstrade e strade secondarie, pranzato in ristoranti abbandonati e piccoli negozi di alimentari: non abbiamo incontrato nessuno.

«Siamo gli ultimi rimasti?», ha detto Clo, mentre come sempre cercava di sintonizzare l’autoradio della jeep su qualche stazione radiofonica.

«Non lo so», le ha risposto il suo papà. «A volte lo spero.»

*

Oggi, per la prima volta, stiamo viaggiando in autostrada: direzione sud, ché il papà di Clo è convinto che a sud faccia più caldo.
Oggi è una giornata grigia e piovosa, e l’acqua che cade dal cielo sta sciogliendo la neve rendendo l’asfalto viscido.
Il papà di Clo guida con attenzione, con lo sguardo concentrato sulla strada.

Sono seduto come al solito dietro il sedile del guidatore, accanto a me c’è Giulia: sta guardando il panorama dal lunotto posteriore, di tanto in tanto si gratta il naso. A un certo punto la vedo che alza la mano e incomincia a salutare verso il retro dell’auto, un gran sorriso le si allarga sulla faccia: un brivido mi percorre la schiena, e ci metto qualche secondo prima di guardare la strada dietro di noi.
C’è una macchina che ci segue.

«C’è qualcuno», dico.

«C’è qualcuno!», urlo.

Il papà di Clo guarda lo specchietto retrovisore e bestemmia, poi ci strilla di metterci le cinture. Sento la jeep che prende velocità, allungo il collo per riuscire a guardare dallo specchietto retrovisore senza riuscirci.

Clo guarda dallo specchietto laterale, dice che la macchina ci sta raggiungendo, che si sta avvicinando tremendamente. Poi mormora oddio, e sentiamo il primo sparo.
Chiudo gli occhi, e quando li riapro vedo Clo accucciata sul suo sedile. E Giulia in ginocchio, senza più la cintura di sicurezza, che guarda incuriosita la strada dietro di noi.
La mia mano scatta verso di lei, ma non ci arriva, e allora faccio per slacciarmi la mia cintura e in quel momento sento il secondo sparo e il lunotto va in frantumi e Giulia urla e il suo corpo viene sbattuto con violenza contro lo schienale del sedile di Clo.

«Tenetevi forte!», grida il papà di Clo. Poi la jeep gira bruscamente a destra, e il rumore della fanghiglia spostata dalle sue grandi ruote, amplificata dallo squarcio sul lunotto, diventa insopportabile.

Fango, vento e grida di terrore.

Mi accorgo di avere gli occhi chiusi, e quando li riapro vedo Giulia: il suo corpo è rannicchiato sul tappetino.
Mi slaccio la cintura di sicurezza, con il cuore che sembra volermi uscire fuori dalla bocca, con le orecchie piene di rumore del vento e del fango che schizza sotto le grandi ruote della jeep che si mischia con le urla di Clo.
Afferro Giulia, la giro delicatamente: ha la faccia tempestata di frammenti di vetro, mi viene da vomitare.

«Vin!», strilla Clo. «Che succede, Vin!»

Il tempo si ferma, la voce di Clo va e viene. Mi gira la testa.

«Ospedale», riesco a dire. 

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