RACCONTI RANDAGI

Dove eravamo rimasti?

Che cosa accade? Il professore resta in osservazione dei fatti, come uno spettatore a teatro (100%)

PROLOGO - PARTE II

Enrico, uno di questi ragazzini detto «’a mulletta» per la sua mania di girare con in tasca un coltello a «serramanico», nonostante avesse non più di undici anni, guardava la partita stando alle spalle di uno dei due giocatori. Faceva questo perché, a suo detto, voleva aiutarlo a vincere, suggerendo (ogni qualvolta al suo «prescelto» toccava fare il proprio gioco), quali carte scegliere per mandare avanti la sua partita. E siccome aveva un carattere abbastanza incazzoso, quando l’amico dopo averlo lasciato decidere per un paio di volte, non gli aveva dato più retta, ma anzi, lo aveva caldamente «invitato» a non «scassargli il cazzo», Enrico lo attaccò verbalmente, dicendogli: «tu si’ ‘nu strunz’! He’ capito o no? Io te dico ‘e ‘ccarte che he’ ‘a vuttà, pe’ te fa’ vencere, e tu, faje sempe ‘e capa toja… Si’ proprio ‘n’omme ‘e ‘mmerda»!

Quello lo guardò storto, ma non gli disse niente, un po’ perché era tutto concentrato sulla sua partita a scopa, e pure per il fatto che di mettersi a discutere con Enrico, proprio non gli andava. E proprio come se avesse voluto provocare «’a mulletta» per fargli saltare i nervi, buttando come se volesse disprezzarla, una carta sul tavolo che poco prima proprio Enrico gli aveva «suggerito», rivolgendosi al suo avversario, disse: «io ‘sti ‘ccarte, ‘e jette proprio. Tanto, cheste… so’ ‘bbone sulo pe’ ji’ ‘a fernì rind’’a munnezza»! E guardò Enrico con una smorfia di perfidia. Come se volesse sfidarlo. Quello, di rimando, lo guardava quasi in cagnesco… come se fosse un «mastino napoletano» che ringhiando, sta’ già preparando la prima parte del suo attacco. Ma Enrico non parlava! Non ne aveva voglia… Per il momento almeno, sapeva che non gli conveniva fare «l’appicciafuoco», come era solito per il suo carattere scontroso e «fumantino». E aspettava, forse fiducioso, che si presentasse l’occasione propizia per poterlo aggredire anche fisicamente. Sicuro come la morte, che il vincitore della «disfida», senza ombra di dubbio, sarebbe stato lui!

La partita a scopa non aiutava certo. Era scontata, noiosa, ripetitiva ed a tratti, anche pedante. Perché da un gioco come quello che prevede purtroppo, forse per proprio «statuto», di fare sempre le stesse, non è certo paragonabile al gioco del calcio, dove, fino all’ultimo minuto, può succedere di tutto. Magari con gol impossibili, ogni tanto…

Il «rivale» di Enrico giocava forte e vinceva pure. Pareva, infatti, che non volesse «accordare» neppure mezzo punto al suo avversario. Come un assetato di vendette, vittorie e denari, combatteva peggio di un soldato in battaglia. E tanto era la sua determinazione, che il suo avversario non riusciva più a ragionare! Un rincoglionito sembrava! Inoltre poi, quando il vincitore infilò l’ennesima «scopa», con un gesto di stizza, gettò le carte per aria bestemmiando peggio di un turco: «e che sanghe ‘e chi t’è ‘mmuorto! Tu tiene ‘nu mazzo che fa’ schifo»! Al culmine della rabbia e dell’esasperazione più completa, riprese poi a sbraitare in un modo pressoché bestiale: «ma io po’ nun me faccio capace… Tu ch’’e ‘ccarte ‘mmane nun si’ stato mai buono, e mo’ tutt’assieme, accussì, comme si’ niente fosse, vince ‘na partita ‘e chesta manera»! Rimase zitto per qualche secondo pensieroso, quasi rassegnato. Poi, d’improvviso, come punto da uno «spillone», fece un sobbalzo e gli disse con un tono che rasentava quantomeno il sospetto che l’avversario stesse tentando di giocargli un brutto tiro, le seguenti parole: «ue’! Ma niente, niente, tu avisse fatto cocche ‘mbruoglio»? Ma siccome più che un sospetto, sembrava avere già l’assoluta convinzione di quello che pensava, con gli occhi talmente insanguinati che lo facevano sembrare un pazzo, gli si avvicinò lentamente, ma in modo molto pericoloso. Infatti, chiunque avrebbe visto una scena simile, avrebbe certamente pensato che quello voleva fare, come minimo, a «mazzate»! E siccome il «vincitore» adesso metteva proprio in bella mostra il «terrore» di “abbuscare” veramente, si affrettò a scagionarsi dicendogli: «no! No! Nunn’aggio fatte ‘e ‘mbruoglie… t’ho giuro»! Parlava come se fosse stato un bambino che sta’ per mettersi a «piagnucolare». Il sospetto di malafede da parte del vinto, ebbe una tragica conferma quando quello che piangeva, fece, sempre da seduto, un movimento eccessivamente brusco e un intero «mazzo» di carte napoletane, che quello si era nascosto tra le gambe (probabilmente per «barare» e vincere), per servirsene al momento giusto, senza che nessuno se ne accorgesse, cadde a terra spargendo un po’ dappertutto le sue quaranta “cartuscelle”. L’altro, come vide cadere l’altro mazzo di carte a terra, come un toro quando vede rosso, s’inferocì e lo prese per la giacca scuotendolo e mettendogli paura, con quegli occhi rossi di sangue e una vena del collo, pronta ad esplodere per la rabbia, come se una nuova bomba atomica, appena lanciata sulla terra, avesse scelto quel corpo ribollente di risentimento, per testare l’efficacia della distruzione «umana».

Che cosa accade?

  • Niente aggressione (0%)
    0
  • L'aggressione c'è, ma gli altri presenti fermano il picchiatore (50%)
    50
  • L'episodio prosegue con un'aggressione fisica fino alla morte (50%)
    50
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5 Commenti

  • Ciao, benvenuto, e buona scrittura, visto che hai davvero una buona mano per te non dovrebbe essere difficile.
    Non ho al momento rilievi ( a parte qui dove credo manchi una parola ‘Mosse? Cose?’ “…forse per proprio «statuto», di fare sempre le stesse, non è certo paragonabile…”
    Scrivere in dialetto è difficilissimo bisogna aver studiato e io non ho studiato il napoletano, quindi non giudico, mi limito a dire che lo trovo semplicemente meraviglioso.
    Ultima cosa: ho l’impressione che la storia sia già scritta, e mi dispiacerebbe se fosse così. Su the iNCIPIT i lettori sono protagonisti, e leggono per indirizzare la storia…
    Voto aggressione senza morto, ciaooo?

    • Ciao, innanzitutto, grazie del commento. Effettivamente, manca la parola “cose”, perchè purtroppo, non me ne sono reso conto mentre scrivevo. L’ho capito soltanto dopo aver pubblicato. Ma purtroppo, non credo ci sia la possibilità di correggere.
      Per quanto riguarda il dialetto napoletano, gioco in casa”, perchè sono Napoletano.
      Veniamo anche alla storia: quando ho scelto questo sito, non sapevo del limite di cinquemila parole. Io, in parte, avevo cominciato a scrivere di getto il prologo. Quindi, ammetto che qualcosa era già preventivato, come ho detto in uno dei precedenti commenti, quando ho spiegato, che la storia sarebbe pure continuata, se il limite di parole, non mi avesse bloccato. Per una scrittura lunga come la mia, è un problema!

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