Una serie di spaccati, quasi singole scene, brevi sequenze di inquadrature.
Mescolate e, forse, ulteriormente mescolabili.
Una storia spezzettata, non troppo. Tendente all’hard-boiled. Forse pulp, molto pulp, pure troppo. Forse pulp proprio per niente. Forse solo un passatempo. Ma comunque una storia.
Una vestaglia azzurrina, portata aperta su di un pigiama a righe, a mo’ di mantello. Una corsa nei corridoi di una casa di cura. Un vecchio e suo nipote.
La storia inizia lì, più o meno in quello svolazzare, ma poi andrà a finire da tutt’altra parte.
Dall’autore di “E all’improvviso… niente”, un racconto che con “E all’improvviso… niente” non ha nulla a che spartire. Così mi dicono, almeno.
Nella tediosa Wikiville, cittadina un po’ più a sud di alcune e un po’ più a nord di altre, il tempo scorre sempre uguale a se stesso.
Dag, indigeno indolente, non fa nulla per cambiare tutto questo, ma il “tutto questo” cambierà da solo.
Forse.
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